Ebola, trasmissione per via aerea o per contatto? L’esperto fa chiarezza

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ebola3L’utilizzo del sapone è il primo modo per prevenire il contagio. Perché l’igiene è così importante e perché questa epidemia è diversa dalle precedenti? Parla il dottor Bonfanti, esperto infettivologo.

La tensione intorno all’epidemia Ebola alle porte dell’Europa cresce di giorno in giorno. L’America si è trovata di fronte all’incubo del contagio proprio in questi giorni, dove a Dallas un uomo è morto. Malata anche un’infermiera di Madrid, dell’equipe che aveva seguito il 75enne missionario Manuel Garcia Viejo, morto in Spagna il 25 settembre scorso. Da Bruxelles sono arrivate richieste di spiegazioni su come sia potuto avvenire il contagio viste le altissime misure di sicurezze adottate dall’ospedale in cui il missionario era ricoverato, ben diverse dagli standard degli ospedali africani. Ad aumentare e a far dilagare il terrore sono anche le notizie infondate che spesso circolano in rete. Tempi.it ha intervistato il dottor Paolo Bonfanti, esperto infettivologo dell’ospedale di Lecco.

Finora sapevamo che il virus si era trasmesso solo per contatto diretto. Nei giorni scorsi invece molti quotidiani hanno scritto che Ebola si può contrarre per via aerea. Sono informazioni corrette?
È bene chiarire subito che un dato del genere è davvero ipotetico, così tanto ipotetico da poter essere definito semplicemente allarmistico. Un virus muta nella trasmissione da un corpo all’altro, più un virus viene trasmesso più ha possibilità di mutare. Ma è, appunto, una possibilità, in questo caso remota. E soprattutto ad ora non suffragata dai fatti. È bene ribadirlo.

Può spiegarci chiaramente come avviene la trasmissione? Anche su questo argomento c’è molta confusione.
Per venire a contatto con il virus bisogna sporcarsi con i liquidi corporei di un malato. E questi devono venire a contatto con le nostre mucose, degli occhi o della bocca. Ecco perché si continua a fare leva sull’igiene di base, perché il sapone è il primo modo per bloccare il virus. La differenza con le altre epidemie è anche nell’altissima percentuale di malati nel personale medico, perché negli ospedali di Sierra Leone, Nigeria e Liberia le mascherine e i guanti monouso vengono utilizzati più volte, visto che non se ne hanno molte a disposizione.

Quante epidemie di Ebola ci sono state finora?
Ce ne sono già state molte altre, a partire dal 1976 in Zaire, una di seguito all’altra. È come se il virus non avesse mai cessato di esistere in questa zona dell’Africa centrale, essendo sempre presente nell’animale ospite. Ci sono teorie discordanti su come il virus si trasmetta all’uomo, se attraverso il pipistrello o le scimmie. Si ritiene tuttavia più probabile che siano le scimmie le portatrici del virus, perché in quelle zone molto più spesso gli uomini hanno contatti con questi animali. Imbattersi in un pipistrello è invece molto più raro.

Perché questa volta Ebola fa più paura?
L’epidemia è più estesa in senso geografico, anche se la mortalità è inferiore alle precedenti. Un tempo i malati erano circoscritti in piccoli villaggi, ma questo non vuol dire che la mortalità fosse minore: i villaggi venivano messi in quarantena in modo da contenere l’epidemia, ma allo stesso tempo gli abitanti venivano abbandonati alla loro sorte. Dallo scorso marzo, invece, quando il focolaio del virus si è riattivato è velocemente passato dai villaggi alle capitali. Passando di persona in persona. Come estensione è davvero un’epidemia senza precedenti, ma non tutto è perduto. Speriamo di ricevere a giorni il comunicato dell’Oms che dichiari la Nigeria fuori pericolo: l’ultimo caso registrato risale ai primi di settembre e se trascorrono quaranta giorni senza registrare nuovi malati si può dichiarare lo Stato fuori pericolo. Questo è molto importante per l’Italia che ha un gran numero di immigrati nigeriani che viaggiando potrebbero inavvertitamente “trasportare” il temibile virus.

Quali sono i sintomi di Ebola?
Inizialmente si presenta come una qualsiasi forma influenzale, con febbre alta e ossa indolenzite, e per questo può essere facilmente fraintesa. Qualcuno presenta anche una leggera gastroenterite, e solo i casi più gravi presentano forme emorragiche. Da questo si deduce che per individuare un malato di Ebola bisogna innanzitutto non sottovalutare la provenienza della persona, i recenti viaggi che ha fatto. Il caso del paziente americano di Dallas sarebbe stato da non sottovalutare fin dall’inizio, e da isolare anche se lui aveva dichiarato di non essere venuto a contatto con nessun malato. Il virus ha una decina di giorni di incubazione, ma diventa infettante solo una volta che si sono presentati i sintomi. Basta una disinfezione accurata della stanza dove è stato il malato per evitare il contagio, cosa che purtroppo non avviene negli ospedali africani. È per questo che così tanti infermieri e medici locali si stanno ammalando.

Quali sono le terapie per curare i malati? Gli ospedali italiani sono attrezzati?
La situazione è assolutamente sotto controllo, soprattutto nelle grandi città molti degli ospedali hanno un’area dedicata a emergenze di questo tipo, per trattare malattie che richiedono di mettere in quarantena il paziente. In ogni caso, se si registrasse un caso di infezione il paziente verrebbe spostato in un reparto di infettivologia all’avanguardia. Due ospedali in Italia lo hanno, il Sacco di Milano e il Lazzaro Spallanzani di Roma. Le terapie che vengono utilizzate sono sempre a base di sali minerali da reintegrare, trasfusioni dove sia necessario e farmaci utili a facilitare l’abbassamento della febbre. I sieri contenenti anticorpi sono ancora purtroppo solo aneddotica scientifica.

Elisabetta Longo

Fonte: http://www.tempi.it/


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