È provato scientificamente… lamentarsi rende poco intelligenti

Wah!In ogni luogo, in ogni posto di lavoro, in ogni casa, in ogni luogo di culto, in tante circostanze pubblicate e private, è ormai semplicissimo poter ascoltare delle lamentele.

Lamentele su cose, fatti, persone, leggi, governi, modi di fare, modi di vedere, ecc…. È diventato molto difficile non trovarsi

ad ascoltare lamentele.
Non intendo sottolineare la lamentela sporadica, desidero evidenziare lì dove la lamentela diviene un vero e proprio atteggiamento, e quindi un vero problema.

LAMENTO: “Il dimostrare con voce cordogliosa e con lacrime il proprio dolore.” (Etimologia)
Il Lamento è un Espressione di risentimento, protesta, dolore per la morte di una persona. (Vocabolario in rete)

La lamentela riempie la mente di tossine emotive.

LAMENTARSI RENDE STUPIDI

“Recenti ricerche scientifiche fatte anche alla Stanford University, hanno dimostrato che ascoltare per più di 30 minuti al giorno contenuti intrisi di “negatività” nuoce a livello celebrale. La lamentela viene processata in quella parte di cervello dedicata alle funzioni cognitive normalmente usata per risolvere i problemi e la sua presenza causa letteralmente una rimozione di neuroni.
Senza prestare attenzione al nutrimento che diamo al nostro cervello i neuroni sono a rischio e il malessere è garantito. Un ulteriore studio di Eurodap sostiene che il 90% degli italiani vive in un costante stato di allarme. I media mettono in primo piano informazioni allarmanti, tragiche e scabrose, fornendo una selezione che può solo incoraggiare gli stati d’ansia e tensione come concimi per la paura, la disillusione e la perdita di speranza. Ma secondo quanto emerso dalle ultime ricerche, anche l’esporsi a negatività durante quella che dovrebbe essere una semplice pausa caffè, può avere lo stesso effetto “nocivo”, basti pensare ai tipici monologhi tra colleghi.
Per una forma di cortesia o per desiderio di compiacere, ci ritroviamo ad annuire e a subire, e senza nemmeno rendercene conto a rinforzare e incoraggiare “lo stato di lamentela”. Che è molto diverso dal prendere coscienza e condividere al ricerca di soluzioni.
Ecco l’amara verità decretata dalla ricerca: le vibrazioni emesse da chi si “lamenta” in nostra presenza emettono onde magnetiche sui neuroni dell’ippocampo del ricevente (i neuroni risolutori di problemi) spegnendoli. I suoi e i nostri.
I neuroni, i nostri “paladini e soldati dell’intelligenza” vanno in modalità off perché il nostro cervello, che cataloga gli impulsi ricevuti, reputa la lamentela un contenuto di basso livello. E se i neuroni si spengono, non è difficile immaginare quanto sia a discapito delle capacità cognitive, intellettive, umorali. Conseguentemente sarà facile perdere colpi in creatività e in capacità di risolvere agevolmente i problemi o uscire da situazioni critiche utilizzando inventiva e immaginazione di possibili soluzioni.
La dottoressa Francesca Poli ha raccontato che nutrire il cervello con pensieri negativi equivale a rinforzare le stesse reti neurali che hanno provocato il disagio iniziale, innescando un circolo vizioso da cui poi è difficilissimo uscire. Al contrario è proprio lo sforzo di superare un momento di crisi che crea nuove prospettive e nuove reti neurali.
Le persone che SCELGONO consapevolmente di trasformare le cosiddette “crisi in opportunità” sono di fatto i benefattori della neuroplasticità del loro cervello. Veri e propri architetti di reti naturali.
Una cosa è avere la capacità di vedere la negatività che abbiamo intorno, e un’altra è vedere le cose negativamente.
Il nostro cervello dobbiamo usarlo per trovare soluzioni alla negatività.” (Dalla rete)

Quando il nostro sfogo diventa lamentela?

Se a causa di qualsiasi situazione ci si lamenta per poter ricevere consiglio, aiuto, sostegno, soluzione al problema, la lamentela non è negativa. Se l’intento è denunciare quello che si prova per poter essere incoraggiati e ritornare nella situazione negativa per risolverla o combatterla in modo differente allora non si è a rischio.
Quando invece la lamentela è fine a se stessa, non fa che consolidare la propria interpretazione pessimistica degli eventi, svuotando le energie e bloccando le risorse personali.
Lamentarsi in una situazione che è impossibile risolvere è come dimenarsi nelle sabbie mobili … non serve a nulla. Molte volte noi non possiamo controllare gli eventi ma possiamo gestire la nostra reazione di fronte a questi.

Giobbe all’inizio della sua tragedia famigliare decise di non lamentarsi. Invece di lamentarsi sceglie la strada dell’Accettazione, in seguito però, qualcosa cambia.

UNA PROVA A LUI ESTERNA – perde tutti i suoi beni e i figli
Giobbe 1:20-22 Allora Giobbe si alzò e si stracciò il mantello e si rase il capo e si prostrò a terra e adorò e disse: 21 ‘Nudo sono uscito dal seno di mia madre, e nudo tornerò in seno della terra; l’Eterno ha dato, l’Eterno ha tolto; sia benedetto il nome dell’Eterno’. 22 In tutto questo Giobbe non peccò e non attribuì a Dio nulla di mal fatto.

UNA PROVA INTERNA – perde la sua salute
Giobbe 2:7-10 E Satana si ritirò dalla presenza dell’Eterno e colpì Giobbe d’un’ulcera maligna dalla pianta de’ piedi al sommo del capo; e Giobbe prese un coccio per grattarsi, e stava seduto nella cenere. 8 E sua moglie gli disse: ‘Ancora stai saldo nella tua integrità? 9 Ma lascia stare Iddio, e muori! ’ 10 E Giobbe a lei: ‘Tu parli da donna insensata! Abbiamo accettato il bene dalla mano di Dio, e rifiuteremmo d’accettare il male? ’ – In tutto questo Giobbe non peccò con le sue labbra.

Le prove interne sono più forti di quelle a noi esterne, e questo, il nostro avversario, lo sa molto bene!

Leggete le parole che il tentatore rivolse a Dio: “Pelle per pelle! Tutto ciò che possiede, l’uomo è disposto a darlo per la sua vita. Ma stendi la tua mano e tocca le sue ossa e la sua carne e vedrai e vedrai se non ti maledice in faccia” (Giobbe 2:4-5)

La faccenda inizia a diventare complessa per Giobbe.
• Dopo il primo attacco, è scritto che Giobbe non peccò e non attribuì a Dio nulla di male.
• Durante il secondo attacco è scritto che Giobbe non peccò con le sue labbra, cioè non disse niente di male, ma chissà cosa cominciò a meditare il suo cuore…
In questo scenario arrivano tre dei suoi amici, per cercare di consolarlo … e qui Giobbe (cap.3) comincia a lamentarsi. Il fardello era troppo grande, ora era troppo pesante, e comincia a fare discorsi insensati, vuoti, mettendo in discussione il modo di agire di Dio.

Nel corso della lettura del libro che lo riguarda troveremo tanti discorsi, finché al capitolo 35, una quarta persona si rivolgerà a Giobbe in modo differente rispetto agli altri tre.
Elihu è il nome della quarta persona, e dopo aver difeso la giustizia di Dio, si rivolge a Giobbe e dice così:

TESTO – Giobbe 35:9-14;
– 9 Si grida per le molte oppressioni, si levano lamenti per la violenza dei grandi (LND – si grida in cerca di aiuto a motivo della forza dei potenti); 10 ma nessuno dice: ‘Dov’è Dio, il mio creatore, che nella notte concede canti di gioia, 11 che ci fa più intelligenti delle bestie (LND – che a noi insegna più cose che alle bestie) de’ campi e più savi degli uccelli del cielo? ’
In questi primi versi vediamo che Giobbe, è accusato da Elihu riguardo a chi sono indirizzati i suoi lamenti. Giobbe si stava lamentando con i suoi amici, cercava da loro un aiuto rispetto a tutto quello che gli era accaduto. Ma quei tre amici non riuscivano con le loro parole ad aiutare e convincere Giobbe.
Qui il servo di Dio, Elihu, non sta dicendo che è sbagliato gridare per le molte oppressioni, lamentarsi quando i potenti esercitano la loro forza su di noi. L’errore sta nel NON gridare a Dio, il creatore, che nella NOTTE, concede canti di gioia. Si, perché solo Dio nelle notti più buie dell’anima può concedere canti di gioia.

– 12 Si grida, sì, ma egli non risponde, a motivo della superbia dei malvagi. 13 Certo, Dio non dà ascolto a lamenti vani; l’Onnipotente non ne fa nessun caso.
Un altro problema di Giobbe era quello che anche quando gridava a Dio, nel suo cuore vi era SUPERBIA. Giobbe credeva di essere qualcun altro, credeva di essere senza peccato, senza colpa, credeva di avere ragione e che Dio non stesse facendo quello che avrebbe dovuto fare in suo favore.
Un cuore pieno di se stesso, pieno delle sue convinzioni, potrebbe essere pronto per ricevere consigli che lo aiutino ad uscire dal problema? A ricevere parole che lo aiutino a stare “in piedi” nel problema? Assolutamente NO! LA SUPERBIA RENDE SORDO IL CUORE.
Elihu dice che Dio non dà ascolto ad un cuore così, non ci fa caso alle sue richieste, perché in realtà in quella situazione non c’è posto per Dio.

Osea 7:14 “Essi non gridano a me con il loro cuore, ma si lamentano sui loro letti…”

Alcune volte può capitare che mentre si chiede aiuto a Dio, si cerca la sua liberazione, in realtà il cuore sta cercando le proprie soluzioni. Il cuore cerca di essere INDIPENDENTE da Dio. Non ha l’umiltà per accettare la situazione per quella che è, non ha l’umiltà di riconoscere quello che egli stesso è, e si aspetta che Dio sorvoli sul tutto e dia una risposta … no, Dio non entra dove non gli si fa spazio.

 14 E tu, quando dici che non lo scorgi, la causa tua gli sta dinanzi; sappilo aspettare! (LND – Anche se tu dici di non vederlo, la tua causa sta davanti a Lui, e tu devi aspettarlo).
Un altro problema della lamentela di Giobbe è che lui non credeva che Dio avrebbe preso in considerazione le sue richieste e la sua condizione. Ecco perché la sua attitudine non andava bene. Lui non si lamentava davanti a Dio per poi aspettarsi qualcosa da Lui. Giobbe non vedeva Dio all’opera, non credeva che Dio aveva davanti a se la sua vita, non era più disposto ad aspettare, era impaziente, quella situazione lo stava consumando.
Elihu lo esorta dicendogli il contrario.
Dio è sempre all’opera anche quando non lo vediamo, la nostra causa la conosce, c’è l’ha sul suo banco da lavoro, a noi sta saper aspettare.
Dio oggi non ti dice che è sbagliato lo sfogo dovuto ad una situazione opprimente e pressante, ma ti dice che se la tua attitudine è quella di lamentarti spesso, su tutto e tutti, è estremamente vitale per te, che tu cambi posizione.

La tua attitudine deve cambiare
In questo ci viene in aiuto un giovane che commise degli errori, cominciò a lamentarsi, ma poi decise di cambiare posizione. Da persone con storie come quella del figliuol prodigo, alcuni credono che non ci sia granché da imparare, invece il figliuol prodigo ha da insegnarci qualcosa anche lui:
Luca 15:17-19; “Allora, rientrato in sé, disse: “Quanti servi di mio padre hanno pane in abbondanza e io qui muoio di fame! Io mi alzerò e andrò da mio padre, e gli dirò: padre, ho peccato contro il cielo e contro di te: non sono più degno di essere chiamato tuo figlio; trattami come uno dei tuoi servi”.

Sì trovò in una situazione estrema. Avrebbe potuto lamentarsi, farsi un sacco di paranoie rispetto a quello che era stato il suo comportamento e a quello che il padre gli avrebbe potuto dire … ma questo giovane era deciso ad uscire da quella situazione. Era pronto anche ad essere trattato come un servo da suo padre, al pari degli altri servi, ma non era più disposto a restare in quella condizione.
Con determinazione lui disse a se stesso: “Io mi alzerò e andrò da mio padre”!
Il figliuol prodigo, non sapeva cosa gli aspettava, ma di certo sapeva che voleva uscire da quella assurda situazione.
Non pensare a quello che ti accadrà, se sei davvero stanco della tua condizione, alzati, cambia posizione, non lamentarti più ma agisci.
Con questo gesto, il figliuol prodigo trovò benedizione. Trovò un padre pronto a benedirlo e a ridargli la dignità che aveva perso. Trovò tanta abbondanza, imparò ad apprezzare quello che aveva lasciato e di cui si era prima lamentato.
Cosa vuoi fare? Vuoi continuare a lamentarti o desideri cambiare atteggiamento nelle lotte di questa vita?
Dio ti dia tanta forza e una visione “divina” delle cose intorno a te.

Francesco Caldaralo | notiziecristiane.com

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