Le comunità evangeliche sono chiamate ad interrogarsi sul degrado etico – spirituale e biblico – teologico in cui vivono.
Il trionfalismo evangelistico ed ecclesiale che superbamente ostentano e di cui si vantano non è altro che uno avvilente soddisfacimento del proprio cuore, dando ragione ad un acerrimo nemico del Cristianesimo, Ludwig Feuerbach (1804-1872)
E’ il numero , la quantità, come merce pregiata acquistati al supermercato, quello che conta.
Si è di fronte a uno avvilente mercimonio delle cose sacre. La critica di Gesù al pragmatismo formale e legalistico dei Farisei non è soltanto a loro circoscritta : il “guai a voi”, scribi e Farisei ipocriti, perché scorrete il mare e la terra per fare un proselita e, quando è diventato, ne fate un Figlio della Geenna il doppio di voi” (cfr. Mt 23:15), è terribilmente attuale ogni qualvolta si ripresenta una religiosità cristiana fittizia e formale. La pungente invettiva di Gesù contro la classe dirigente religiosa e benpensante del suo tempo detentrice di una religiosità a basso costo raggiunge oggi la Sua Chiesa nelle sue molteplici confessioni e denominazioni. In particolare, investe il movimento evangelico fondamentalista e conservatore, che si vanta di essere detentore della Sana Dottrina.
Qui sta la paradossale, teatrale recitazione dell’evangelico, che indossa la maschera dell’integerrimo paladino difensore dell’onore di Dio, ma che in realtà difende l’onore proprio.
La sua religiosità è pelosa, come lo è l’esercizio dell’agape. I suoi “sacrifici” sono pari a quelli di Israele , che onorava a parole il Signore, mentre il suo cuore era lontano da lui. Lontana è l’ammissione del proprio fallimento incarnato da Davide nel Salmo 51, dove è richiesta contrizione e uno spirito afflitto, un cuore abbattuto e umiliato.
L’attuale evangelico è il prototipo neo-fariseo che dice e non fa, che mette i pesi sul groppone dei credenti, che neppure lui stesso riesce a portare. L’attuale evangelico è attaccato alla cosiddetta “Sana Dottrina divinizzandola come hanno fatto i Farisei con la legge, spostando il baricentro da Cristo a un sistema complesso di dottrine che, a volte, sfocia nell’eterodossia. Un siffatto evangelico mostra freddezza, ipocrisia, cinismo, arroganza, si sostituisce al Signore nell’evento della conversione, pilotandola con un frasario e una preghiera stereotipati: una conversione senza lacrime e compunzione è pari a un uomo che beve acqua fresca senza avere sete.
Di fronte a questo fallimento spirituale e, oserei dire, ideologico, si richiede una nuova comprensione dell’evangelo della grazia. Le comunità evangeliche dovranno abbattere il loro vitello d’oro, dovranno confessare il loro peccato di idolatria e mettersi o rimettersi in cammino dietro a Gesù con più lena e maggiore motivazione spirituale. In cammino, si, per recuperare il tempo smarrito nell’esercizio di una religiosità farisaica e riappropriarsi di una spiritualità autenticamente evangelica dominata dalla legge dell’amore-agape, che smuove e fa crollare i freddi ghiacciai dell’arido cuore umano. Incarnare il dettato etico- spirituale del Sermone sul Monte è un rivoluzionario segno di una chiesa in cammino, che si è liberata dalla zavorra di una religiosa comprensione della grazia a buon mercato. E le beatitudini evangeliche sono la carta d’identità del cristiano e lo stesso messaggio del Sermone sul Monte è il Manifesto programmatico del discepolato. Il discepolo di Gesù è mosso senza riserva dall’Amore che muove le stelle. Una simile esperienza è contemplata nella vita della Prima Chiesa, come atti 2:42-47, ci trasmette. La chiesa delle origini ha preso seriamente l’insegnamento di Gesù sull’amore-agape.
La comunità carismatica delle origini non è, e resta un fatto straordinario storicamente conchiuso, essa è il modella valido per tutte le epoche: essa è una chiesa che loda, prega, dà e va. La Chiesa è chiamata a vivere la libertà di amare, di quell’amore inneggiato da Paolo in 1°Cor. Cap. 13.
Camminare nello Spirito come direbbe Paolo in Gal. 5, che è l’espressione della libertà del Cristiano, libertà dal peccato, dalla legge, dalla morte, è salvezza per grazia a caro prezzo, è obbedienza senza condizione. Una pura adesione alla dottrina cristiana,, una generale conoscenza religiosa intellettuale della grazia, non è di per sé obbedienza a Cristo: è un Cristianesimo senza Cristo, una conoscenza senza obbedienza. La via che conduce alla fede passa attraverso l’obbedienza del discepolo in virtù della chiamata a seguire Gesù. Nella sequela Christi, nel camminare nello Spirito il discepolo impara a adempiere la legge e gli ordinamenti divini: ci si rende conto, ad esempio, che le divisioni, le liti, l’invidia, l’ambizione egoistica ed avida dell’esercizio autoritario di cariche ecclesiastiche di prestigio e ricercare fama e onore, dimenticando che il Signore ci ha chiamato a servire e non a tiranneggiare, sono peccati intollerabili, di cui bisogna vergognarsi, ci si rende conto che cadiamo nello stesso errore del Giudeo, che, pur conoscendo la sua volontà, commette gli stessi peccati degli increduli senza provare ribrezzo e repulsione, anzi trastullandosi nel fatto che “è salvato per grazia mediante la fede”: egli che insegna agli altri, ma non insegna a se stesso, egli che predica “non rubare” ruba, egli che insegna “non commettere adulterio”, commette adulterio, egli che detesta gli idoli, è anch’esso uno idolatra, egli che si vanta della legge, disonora Dio trasgredendo la legge, determinando questo atteggiamento ipocrita la reazione violenta della gente del Secolo verso Dio, bestemmiandolo.
Lo svegliarsi o il risvegliarsi è possibile, quando lo Spirito di Dio smaschera e abbatte il “Fariseo” che è in noi, ci convince di peccato, ci induce concretamente a rimediare al male commesso, ci rende abili a presentare la nostra vita in sacrificio vivente, santo, gradito a Dio.
“… Se perseverate nella mia parola, siete miei discepoli, conoscerete la verità, e la verità vi farà liberi” (Giov.8:31-32).
Paolo Brancé | Notiziecristiane.com
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