Down sopravvive all’aborto, l’urlo che non si scorda

img-_innerArtFb-_641L’immagine del bambino Down sopravvissuto all’aborto alla 23esima settimana, che piange e urla fino a spirare sul tavolo di una sala operatoria dell’ospedale “Sacra Famiglia” di Varsavia, rimarrà scolpita a lungo nella memoria polacca. Perché questa immagine è stata capace di svelarne un’altra, quella di un secolo, il XXI, plagiato dal progressismo efficentista. Quella della finzione di una democrazia senza verità, puntellata dai media internazionali che hanno subito messo a tacere le polemiche. Quella del debole che grida aiuto mentre viene scartato dagli aguzzini civilizzati dalla legge per perfezionare con ferocia la specie. Rendendo sempre più incomprensibile il concetto di carità, ormai archiviato dai cervelli occidentali fra le astrazioni senza carne.

Sembreremmo inevitabilmente condannati a sopravvivere immersi in un freddo perbenismo. Se non fosse per la sofferenza senza colpe. Chi, infatti, non ha sentito almeno un fremito di compassione nel pensare al piccolo handicappato che piange agonizzante? Nemmeno gli animali si lasciano più morire in questo modo. E così quello scarto giudicato inutile, in poche ore di vita, ha fatto più di quello che tanti “sani” (secondo gli standard neopagani) sanno fare in ottant’anni di esistenza.

Anna Wiejak, la giornalista polacca che ha denunciato il caso, ha spiegato che «l’urlo del bambino è stato così traumatico che il personale ha confessato che non se lo scorderà mai». Inoltre, anche se l’ospedale si è difeso dichiarando che le procedure legali sono state tutte rispettate, anche l’ipocrisia dell’istituzione coperta dalla nomea cattolica ha vacillato, portando Henry Hoser, arcivescovo di Varsavia, a dichiarare di voler rimuovere dalla clinica il riferimento alla Sacra Famiglia, perché «con rammarico ricevo la notizia, che mina in modo significativo il senso e il diritto di mantenere un tale patrocinio».

Fuori dall’ospedale continuano da due settimane le proteste, mentre la conferenza episcopale polacca ha condannato l’omicidio e il pubblico ministero ha aperto un’inchiesta sulla base del fatto che il codice penale punisce con otto anni di carcere l’abbandono di un bambino partorito. Ma quale medico poteva soccorrere un neonato che fino a un minuto prima aveva provato a sopprimere proprio grazie alla legge? Questa volta non è stato possibile addomesticare la domanda. Tanto che il Parlamento ha dovuto accettare di creare una commissione speciale per scrivere una legge in difesa della vita, rimettendo in discussione la norma che dal 1993 aveva ristretto le maglie dell’aborto (legalizzato dal comunismo nel ’32) al caso di violenza, di pericolo di salute della madre e di malformazione del bambino. Anche se, sebbene il governo di Beata Maria Szyd?o eletto in ottobre abbia annunciato misure contro la “pillola del giorno dopo” e la fecondazione artificiale, e sebbene il 70 per cento dei polacchi si dichiari contrario all’aborto, è difficile che l’élite metta mano a una legge già considerata fra le più restrittive in Europa.

Non si sa dunque cosa accadrà in Parlamento, né se l’ospedale e il personale verranno condannati. Ma, come ha dichiarato Wiejak, «l’impatto di questo caso è senza precedenti, tanto da aver causato anche delle conversioni, mostrando che c’è qualcosa che viene coperto dal silenzio – intendo l’urlo di un bambino che muore soffrendo a causa dell’aborto, che ogni aborto significa sofferenza per il bambino in grembo e che gli abortisti lo sanno». A riconferma del fatto che la breve esistenza del piccolo Down polacco è davvero servita a infliggere un colpo alla menzogna grazie a cui ogni giorno vengono educatamente uccisi centinaia di migliaia di bambini (se malati anche in Italia sono soppressi oltre la 22esima settimana). Smentendo l’equazione utilitarista sanità = efficacia. E bucando la corazza glaciale del cuore moderno con il balsamo penetrante del dolore innocente.

di Benedetta Frigerio | Lanuovabq.it

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