DOV’È DIO NELLA PANDEMIA?

Stiamo vivendo dei giorni che lasceranno un segno indelebile nella nostra epoca. Molte delle vecchie certezze sono svanite, qualunque sia la nostra visione del mondo e qualunque sia il nostro credo. Che tu sia un credente o no, la pandemia del coronavirus e’ un fatto destabilizzante che suscita sconcerto nell’intera umanita’. In che modo possiamo cominciare a rifletterci per affrontarla nel modo migliore? Questo estratto dal libro ‘Dov’e’ Dio nella pandemia?’ e’ il frutto di alcune riflessioni proprio su cio’ che stiamo sperimentando in questi momenti.

SENTIRSI VULNERABILI
E’ difficile capire la portata di questa pandemia che potrebbe essere la peggiore di sempre, nella consapevolezza che tutte le nostre valutazioni attuali riguardo al suo impatto, sono probabilmente molto al di sotto delle stime piu’ realistiche. Mai prima d’ora abbiamo sperimentato il blocco di citta’ e intere nazioni, la chiusura delle frontiere, il divieto di viaggiare, l’interruzione di tutti i servizi tranne quelli essenziali, il divieto di svolgere raduni sportivi e il silenzio spettrale delle citta’ che gridano di paura nel loro auto-isolamento. Il ritmo con cui si sta diffondendo la pandemia mette a dura prova i sistemi sanitari dei vari Paesi, e la produzione delle risorse necessarie ad affrontare questa situazione ha subito un aumento senza precedenti. I posti di lavoro e le imprese sono a rischio. La paura sta dilagando nel mondo e cresce di giorno in giorno perche’ sempre piu’ persone ne sono colpite.
Un effetto rilevante e’ la sensazione di maggiore vulnerabilita’ che stiamo provando tutti. Molti di noi si erano abituati a un mondo abbastanza stabile, confortevole, dove la vita era ragionevolmente prevedibile. Ora che tutto sembra sgretolarsi, le cose su cui abbiamo sempre contato sono scomparse, e siamo esposti come mai prima d’ora a dinamiche che sfuggono decisamente a ogni controllo.
Come dobbiamo reagire a tutto questo? E’ possibile avere una stima obiettiva del problema? Come possiamo evitare di cedere al panico e all’isteria?

E DIO DOV’E’?
Nella storia dell’occidente, in tempi di calamita’ nazionali, la gente riempiva le chiese e i leader nazionali facevano appelli alla preghiera. Questi eventi oggi sono rari, anche se almeno alcuni leader nazionali hanno chiesto di pregare, cosi’ come, naturalmente, molti altri leader ecclesiastici in tutto il mondo. Il presidente della Corte suprema del Sudafrica, Mogoeng, ha rivolto un appello memorabile: ‘Il mio appello e’ a tutti quelli che possono pregare, considerate la preghiera come una necessita’ assoluta a partire da questo momento’.
Anche il presidente del Paraguay, Mario Abdo Ben’tez, ha pronunciato per l’emergenza pandemia da coronavirus un messaggio di speranza e di fede, citando dalla Bibbia il profeta Isaia 41:10 e incoraggiando il popolo alla preghiera individuale e familiare.
Ma oggi un numero sempre inferiore di persone ha una qualsiasi percezione della dimensione divina nella loro vita. Dal momento che in tutto il mondo le chiese vengono chiuse per limitare la diffusione del virus, molti si chiedono dove sia Dio, se esista e se sia da qualche parte. E’ in un’inaccessibile auto-quarantena? Dove o da chi si puo’ allora ottenere vero conforto e speranza?

PERCHE’ LE COSE SONO COME SONO?
Prova a ragionare in questi termini. Quando Dio creo’ gli esseri umani per farli vivere nella Sua creazione ‘molto buona’, li doto’ del meraviglioso dono del libero arbitrio che li trasformo’ in esseri morali. Per questo motivo c’era un’inevitabile possibilita’ di fallimento morale attraverso l’uso improprio di quella liberta’. E questo e’ esattamente cio’ che e’ accaduto, come illustra in modo molto vivido il terzo capitolo del primo libro della Bibbia, la Genesi.
Genesi 3 ci dice che la disubbidienza umana e’ nata da un fondamentale disaccordo con Dio sulla natura della vita e sulla possibilita’ della morte. Dio aveva esplicitamente avvertito i primi esseri umani, Adamo ed Eva, che, se avessero mangiato il frutto dell’albero della conoscenza del bene e del male, che per loro era off-limits (in altre parole, se avessero agito in totale disubbidienza e indipendenza da Lui), sarebbero sicuramente morti (Genesi 2:17).
E il peccato, come Dio aveva avvertito, porta automaticamente alla morte. Non c’e’ in se’ nulla di sbagliato nel godimento fisico o nel piacere estetico, ne’ nell’acquisizione di saggezza morale e di conoscenza. L’errore consiste nel credere che queste cose rappresentino la totalita’ della vita. Credere che si possa gustare pienamente la vita indipendentemente da Dio, ignorando e disprezzando la Sua parola, e’ un inganno fondamentale e tragico. Dio non solamente e’ la fonte di tutte le cose buone di cui godiamo; e’ il bene supremo che da’ senso e significato ultimo anche alle cose meno buone.

LA PROVA DELL’AMORE
Abbiamo bisogno di prove convincenti della bonta’ del carattere di Dio se vogliamo avere fiducia in Lui. Vi chiedo quindi, a questo punto, di ascoltare l’essenza dell’insegnamento cristiano (che lo conosciate o no) e di cercare di capirlo prima di concludere che la fede in Dio non e’ coerente con l’esistenza del coronavirus, o di qualsiasi altra pandemia, malattia o calamita’ nel mondo naturale. Il cristianesimo secondo l’Evangelo sostiene che l’uomo conosciuto come Gesu’, il Cristo, e’ Dio incarnato: il Creatore fattosi uomo. Al centro di questo messaggio c’e’ la morte di Gesu’ Cristo su una croce appena fuori Gerusalemme. Qui ci poniamo subito la domanda: se Gesu’ e’ Dio incarnato, che cosa ci faceva su una croce? Ebbene, significa che Dio non e’ rimasto lontano dal dolore e dalla sofferenza umana, ma l’ha sperimentata Lui stesso.
Quindi, un cristiano non e’ una persona che ha risolto il problema del dolore, della sofferenza e del coronavirus, ma e’ arrivata ad amare e ad avere fiducia nel Dio che ha a Sua volta sofferto. Questa, pero’, e’ soltanto meta’ della storia. Se quella sofferenza fosse stata la fine di cio’ che Gesu’ ha fatto, non ne avremmo mai sentito parlare. Ma non e’ stata la fine. Il messaggio che fece scalpore a Gerusalemme durante quella Pasqua (il messaggio che ha conquistato il mondo del primo secolo) fu che Gesu’ aveva vinto la morte: era risorto dalla tomba e un giorno sarebbe stato il Giudice supremo dell’umanita’.
L’importanza di questo messaggio non puo’ essere sottovalutata. Affronta una difficolta’ fondamentale che la visione atea del mondo e’ incapace di gestire: il problema della giustizia finale. Come tutti sappiamo, nel corso della storia milioni di esseri umani hanno sofferto gravi ingiustizie, e dopo una vita di miseria sono morti senza alcun rimedio. Senza dubbio questo sara’ vero anche per alcune delle molte vittime del coronavirus. Queste persone non hanno ottenuto giustizia in questa vita. Secondo l’ateismo, poiche’ la morte e’ la fine, non c’e’ un’altra vita in cui si possa ricercare una qualche forma di giustizia. Se non c’e’ un giudice finale, non ci puo’ essere giustizia.
Ma la risurrezione ci fa capire che la giustizia non e’ un’illusione e che il nostro desiderio di giustizia non e’ futile. I malfattori, i terroristi, gli uomini e le donne malvagi di questo mondo un giorno affronteranno la giustizia.
Il fatto e’ che tendiamo a vedere il male negli altri, non in noi stessi.
La Bibbia insegna, pero’, che ‘tutti hanno peccato e sono privi della gloria di Dio’ (Rom.3:23). Nessuno di noi ha mai rispettato del tutto le proprie norme morali, per non parlare di quelle di Dio: i Dieci Comandamenti ce lo mostrano fin troppo chiaramente. Pertanto, tutti noi abbiamo bisogno di una soluzione al problema del peccato e della colpa che si frappone tra noi e Dio, che ne siamo consci o no.
Secondo l’Evangelo, questa soluzione sta ancora una volta nella croce e nella risurrezione di Gesu’. Questi eventi non ci danno semplicemente la comprensione del problema del male e del dolore e la soluzione al problema della giustizia. Ci mostrano che cosa significa il nome di Gesu’: ‘Perche’ e’ lui che salvera’ il suo popolo dai loro peccati’ (Matteo 1:21). Grazie alla morte e alla risurrezione di Gesu’, quanti si ravvedono dal proprio male e dal proprio contributo al dolore e alla sofferenza umana e credono in Gesu’ come loro Signore, ricevono il perdono, la pace con il Dio che ha creato e sostiene l’universo, una nuova vita con nuove potenzialita’ e la promessa di un mondo dove la sofferenza non esistera’ piu’.
Un cristiano, quindi, non e’ una persona che ha risolto il problema della sofferenza, ma un individuo che e’ giunto ad amare e ad avere fiducia nel Dio che ha sofferto per lui.

LA DIFFERENZA CHE FA DIO
Come devono reagire i cristiani di fronte alla pandemia? Potremmo fornire una risposta a questa domanda a vari livelli.

Sul piano pratico, sarebbe saggio prestare attenzione ai migliori consigli medici che sono suggeriti quotidianamente. Il problema si pone quando un determinato consiglio non e’ coerente con altri, o quando appare ambiguo, come e’ accaduto in occasione della diffusione di alcune notizie. Per ridurre la propagazione del virus e’ stata introdotta la quarantena per le persone piu’ a rischio, soprattutto gli anziani con pregressi problemi cardiaci e respiratori. Nella Bibbia e’ interessante notare che gli antichi israeliti venivano istruiti sulla necessita’ della quarantena per prevenire la diffusione di malattie infettive. Il libro del Levitico prescriveva addirittura sette giorni di isolamento per alcune malattie e un periodo indefinito per altre. Osservare questi consigli medici non significa, naturalmente, dare prova di mancanza di fede. Dio puo’ proteggerci e guarirci, ma si aspetta che siamo saggi, usando tutte le risorse che ci ha fornito, compresa la medicina. E l’allontanamento sociale non e’ un’espressione di egoismo, ma di amore per il prossimo, al fine di proteggerlo.
Amare il prossimo significa anche, per quanti sono meno a rischio, avere un ruolo importante da svolgere nell’assistere (nei modi in cui le circostanze e le normative lo permettano) i piu’ vulnerabili, aiutandoli negli acquisti e fornendo loro la compagnia di cui hanno bisogno, anche se per poco tempo e osservando le dovute distanze.

Siamo chiamati ad amare. Cio’ non significa che dobbiamo ignorare le regole messe in atto per rallentare la diffusione dell’infezione e mettere noi stessi (e gli altri) inutilmente a rischio, soprattutto nelle situazioni in cui dobbiamo auto-isolarci e magari vivere in quarantena nel cuore di una citta’. Questo perche’ dovremmo capire come possiamo amare gli altri, anche a costo di noi stessi, poiche’ e’ cosi’ che Dio ha amato ogni essere umano nella persona di Suo Figlio, morendo per loro sulla croce. Amare il prossimo significa anche evitare quell’atteggiamento egoista e isterico nei confronti del cibo e dei beni di prima necessita’ che porta a svuotare gli scaffali dei supermercati a danno degli altri.

Questo ci apre una finestra da cui osservare un aspetto della speranza cristiana che spesso viene dimenticato. Perche’, in quarto luogo, abbiamo bisogno di ricordare l’eternita’. Non vi siamo ancora giunti, ma abbiamo un messaggio che proviene da esso, un messaggio che questo mondo terrorizzato e infettato dal coronavirus ha un disperato bisogno di udire.
La pace in una pandemia? Solo Gesu’ puo’ darla. La domanda per tutti noi e’: crederemo in Lui per riceverla?

John C. Lennox da ‘Dov’e’ Dio nella pandemia?’ – ADI-Media – Roma
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