Come vivere la fede in tempo di coronavirus? Intervista al teologo evangelico valdese Luca Baratto.
(Gaëlle Courtens) L’emergenza sanitaria del coronavirus solleva molte questioni che ci riportano all’essenzialità delle cose facendoci riflettere su concetti come la vita, la morte, la sofferenza. Riemerge anche un’altra domanda: dov’è Dio in tutto questo? Abbiamo intervistato il pastore valdese Luca Baratto, segretario esecutivo della Federazione delle chiese evangeliche in Italia.
Pastore Luca Baratto, questa pandemia sta facendo molte vittime. Mai avremmo solo potuto immaginare che chi se ne va sarebbe stato costretto a farlo da solo. Le persone non sono accompagnate alla morte. Ma dove è Dio in tutto questo?
È la cosa più difficile e drammatica di questi giorni. Non solo il morire, ma il morire nella solitudine, nella vita che si fa vuoto, che si fa silenzio. Nella Bibbia ci sono degli esempi di persone che hanno vissuto qualcosa di simile, penso al Salmo 130 “Io grido a te o Signore da luoghi profondi”, il De Profundis, dove il salmista è avvolto dall’oscurità e dal silenzio eppure non smette di parlare perché ritiene che ci sia qualcuno in grado di ascoltarlo e di parlare a lui. E nel Nuovo Testamento l’apostolo Paolo ci dice che Dio è il Signore della nostra vita, sia del nostro vivere, sia del nostro morire. Nessuno di noi vive per se stesso, ma se viviamo, viviamo per il Signore, e se moriamo, moriamo per il Signore, sia dunque che moriamo o che viviamo noi siamo del Signore, il Signore è il Dio che ci accompagna. Questo crea dei legami, delle relazioni, perché noi apparteniamo al Signore. Anzi, crea una rete, un “web” – ragnatela in inglese – formata da piccolissimi fili che congiungono punti diversi, invisibili, ma tenacissimi.
Luca Baratto
Lei parla di relazioni: relazione con Dio e relazione tra noi. Ma con questa pandemia la dimensione comunitaria, pur centrale nella pratica religiosa, in realtà viene meno. Come vivere la propria fede in queste circostanze?
Certo, noi siamo nella situazione in cui non possiamo avere il numero statutario per dichiararci chiesa, “dove due o tre sono radunati nello stesso luogo”. Ma in realtà la comunità vive attorno alla Parola del Signore. In questa Parola, Dio è presente. Non soltanto ci parla ma è presente, e io credo che questo sia stato immediatamente chiaro per tutti ed è la spiegazione del perché abbiamo questa overdose di studi biblici e culti social sulla rete, perché quello che è il centro della vita comunitaria è la condivisione della Parola del Signore, e questa condivisione può avvenire anche a distanza.
Lei fa riferimento all’effervescenza che c’è in questo momento sulla rete. Questa creatività, che si esprime attraverso una moltitudine di proposte online, può cambiare il rapporto che abbiamo con Dio?
Credo che talvolta cose nuovissime si associano a cose antichissime, si ritrovano quasi speculari. La preghiera, che è un essere insieme davanti a Dio e portare davanti a Dio la nostra realtà e la realtà del mondo, in realtà è una creazione di un “web”, appunto, di una rete forte che unisce persone diverse anche distanti. La preghiera, infatti, non è soltanto qualcosa che avviene in un luogo, ma si chiede anche ad altri che sono lontanissimi di pregare, creando una relazione che è tra le persone, ma anche con Dio perché si porta tutto davanti a Dio. Io credo che questa struttura della vita di fede come preghiera, sia quello che noi vediamo nella creatività di oggi, per cui cose antichissime si uniscono a cose nuovissime.
Preghiera e profilassi
Come può parlarci Dio quando ci mancano i nostri punti di riferimento?
Credo che effettivamente dovremmo pensare a Dio in questo momento come al “Dio della storia”: non il Dio che determina la storia, ma piuttosto il Dio che ci chiede di avere un orizzonte più ampio della nostra vita personale e della vita del mondo. E ce lo chiede proprio in un momento in cui tutto cambia. Sembra che la storia, quella “cattiva”, stia tornando – già ce ne siamo ricordati con il ritorno dei sovranismi: “da soli è meglio”, “prima noi e dopo gli altri” – ma ce ne ricordiamo anche adesso quando vediamo una pandemia che non avevamo conosciuto. Allora forse dovremmo cercare di pensare a Dio come anche il “Dio della storia”. Cioè, il Dio che ci chiede di vedere le cose in prospettiva. Fino a qualche tempo fa preoccuparsi dell’ambiente, per esempio, era forse una cosa da “radical chic”, invece oggi è quanto mai necessario per non ritrovarci davanti a uno shock ben più grave con una crisi ambientale, invece che non una pandemia.
Come risponde a chi dice che questa pandemia è un castigo di Dio?
Di fronte a una pandemia che colpisce tutti indifferentemente, non credo sia così facile introdurre questo tema. Tuttavia, credo che questa sia una sciocchezza. Certo, è un momento per riflettere, per chiederci come mai siamo arrivati a questo punto, che cosa ha prodotto questa pandemia, perché siamo a contatto con dei virus che vivevano in un ecosistema e oggi invece sono a contatto con gli esseri umani? Delle risposte ci sono, ed è questo il giudizio che dobbiamo considerare, un giudizio su come noi siamo arrivati a questa situazione. Ma non nel giudizio di Dio, che ci sarà un giorno, io ci credo, ma non è questo.
In Marco 4, Gesù e i discepoli sono sulla barca nella tempesta, ma Gesù dorme. Allora i discepoli lo svegliano: maestro, ma come puoi dormire mentre noi rischiamo di affondare? Come interpretare questo versetto adesso?
Questo ci dice quanto elusiva sia la presenza di Dio. In realtà Gesù è sulla barca, Gesù è insieme ai discepoli, è con loro, eppure loro hanno l’impressione che non ci sia. Sta dormendo. Quindi per loro significa che è assente. Il brano ci interpella sulla difficoltà di capire cosa significa realmente questa presenza nella nostra vita. Quale forza ha questa presenza nella vita nostra e del mondo? Cosa che i discepoli evidentemente non hanno presente, per cui si preoccupano, si agitano, ma in realtà Gesù è lì, e secondo me la cosa importante oggi di questo versetto, è sapere che magari dorme, però è lì.
Parlare di Dio al tempo del virus (Segni dei Tempi RSI)
Noi, esseri umani, da questa pandemia usciremo probabilmente trasformati, qualcuno anche traumatizzato. Ci sarà un primo coronavirus e un dopo coronavirus. Ma Dio come ne uscirà?
Senz’altro meglio di noi. Però, a parte le battute, io direi questo: nella nostra vita abbiamo bisogno di trovare un senso alle cose. Ma ci sono cose, che non hanno senso che diciamo “gratuite”, c’è una gratuità negativa, quando diciamo quella persona è stata violenta per nessun motivo e ci sono tantissime occasioni nella nostra vita in cui questo succede, piccole e grandi, ed è forse questo il caso anche di questa pandemia. Poi ci sono altre cose “gratuite”, che non hanno ragione, che non hanno motivo, che sono dono e che sono grazia. Ecco, io credo che Dio, dopo questa pandemia, ci sfiderà a cercare nella nostra vita non quella gratuità che è violenza, ma quella gratuità che è grazia, continuerà a chiederci di cercarla e di offrircela.
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