Donne cristiane in Pakistan: convertite all’islam e costrette a sposare i rapitori

donne cristianeTahira, 21 anni, e Reema Bibi, 20, sono state rapite vicino alla loro casa lo scorso dicembre. Uomini musulmani le hanno violentate e costrette a sposarli, per poi tenerle segregate. Sono almeno 1000 le donne che ogni anno vengono convertite con la forza in Pakistan. Se riescono a fuggire, la polizia arresta un loro familiare.

Tahira, 21 anni, e Reema Bibi, 20, sono due ragazze cristiane pakistane. Il 2 dicembre 2015 sono state rapite vicino alla loro casa a Sargodha (Punjab) mentre tornavano insieme dal lavoro. Sono state prelevate da due uomini musulmani, che le hanno violentate e costrette a sposarli, per poi tenerle segregate nella loro casa di Islamabad. A raccontare la loro storia è la British Pakistan Christian Association (Bpca), un gruppo di attivisti che lavora per la libertà religiosa in Pakistan e che lancia l’allarme per le continue violazioni nei confronti delle minoranze, a danno soprattutto delle donne, che non vengono punite dal governo.

Quella dei matrimoni forzati, infatti, è una piaga che da anni affligge il Paese islamico, e che non sembra vicina alla fine. Il caso di Tahira e Reema è emblematico: l’11 febbraio scorso Tahira è riuscita a fuggire, ma il suo “marito” musulmano ha porto denuncia alla polizia, che ha subito arrestato sei membri della famiglia della ragazza. I parenti sono stati liberati grazie alle pressioni dei gruppi umanitari, ma le autorità hanno intimato alla famiglia di restituire Tahira a suo “marito”.

Il Bpca riporta un altro caso simile, avvenuto pochi giorni fa. Una donna cristiana è stata catturata e costretta a sposare il proprietario musulmano della casa dove faceva le pulizie. Dopo essere riuscita a fuggire grazie ad un collega, la polizia ha ordinato alla sua famiglia di consegnarla alle autorità, in caso contrario avrebbero arrestato un parente.

Secondo il Movimento per la solidarietà e la pace, almeno 1000 ragazze pakistane sono costrette a sposarsi contro la propria volontà ogni anno. Il numero reale è di certo molto più alto, visto che molti episodi non vengono denunciati. Tutti i casi seguono un schema simile: donne fra i 12 e i 25 anni sono rapite, convertite all’islam, fatte sposare e abusate. Anche se alcuni casi vengono portati in tribunale, i mariti fanno pressioni perché le ragazze dicano di essersi convertite in modo volontario. Spesso le vittime sono vendute come prostitute e immesse nel traffico umano. Alle ragazze che cercano di ribellarsi, viene ricordato che “la pena per gli apostati è la morte”.

Nel novembre del 2015, il ministro pakistano degli Affari religiosi, insieme al Consiglio per l’ideologia islamica, si è opposto a qualunque proposta di legge contro le conversioni forzate. I membri delle minoranze, inoltre sono molto poveri, e questo rende più difficile la loro adeguata rappresentanza politica e il poter ricevere giustizia.

Quello dei matrimoni forzati è solo uno dei tanti aspetti in cui le minoranze religiose ed etniche vengono private dei loro diritti, garantiti invece dalla Costituzione. Il 19 giugno 2014, una sentenza della Corte suprema, grazie al giudice Tassaduq Hussain Jillani, ha riconosciuto le ingiustizie di cui il governo si rende complice. Purtroppo, a questa sentenza non è seguita alcuna azione da parte dei politici pakistani a favore della libertà religiosa e per la salvaguardia dei diritti delle minoranze.

L’Asian Human Rights Commission – organizzazione internazionale nata nel 1984 e con base ad Hong Kong – ha chiesto che Tahira e Reema siano restituite alle loro famiglie e che sia iniziata una causa contro i loro rapitori e violentatori.

da: Asianews.it/

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