È l’orribile realtà denunciata da World Watch Monitor, che in un recente rapporto descrive le sofferenze subite dalle donne assunte presso ricche famiglie nei paesi della Penisola araba.
Donne cristiane asiatiche, assunte come babysitter e domestiche nei paesi della penisola arabica, subiscono abusi e vengono trattate come schiave dai loro «padroni». È l’orribile realtà denunciata da World Watch Monitor (Wwm), che in un recente rapporto descrive con straziante dettaglio alcune delle sofferenze sopportate da queste donne – la maggior parte proviene da India, Filippine e Nepal – assunte presso ricche famiglie arabe che prediligono le babysitter e le domestiche di fede cristiana per la loro integrità e affidabilità.
Molti datori di lavoro garantiscono alle loro dipendenti il giorno libero settimanale, le permettono di andare in chiesa e di fare visita ai loro amici. Ma molti altri le trattano come vere e proprie schiave.
È Virat (il nome è di fantasia), di origine asiatica, pastore di riferimento di alcune di queste lavoratrici cristiane, a raccontare a Wwm le indicibili sofferenze patite da queste donne che lasciano i propri paesi di origine per lavorare e provvedere al sostentamento delle loro famiglie e si ritrovano vittime di una moderna schiavitù.
Spesso denutrite, sono costrette a lavorare «come macchine» con orari disumani, a volte senza neanche percepire stipendio. In alcuni casi subiscono torture, violenze fisiche e abusi sessuali. I datori di lavoro, percependosi come «proprietari» delle ragazze, le trattano come «schiave», confiscano loro i passaporti quando iniziano a lavorare presso le loro abitazioni, impedendo in questo modo qualsiasi tentativo di fuga.
«Una tata che seguivo è stata ripetutamente violentata da tre generazioni di uomini presenti nella casa in cui lavorava – nonno, padre e figlio – prima che potesse fuggire e mettersi in salvo», ha raccontato Virat.
Alcune ragazze fortunatamente riescono a scappare e a trovare rifugio in case sicure gestite dalle ambasciate asiatiche, dove attendono i documenti di viaggio per poter far ritorno in patria.
Il mese scorso, due donne indiane che lavoravano come domestiche in Arabia Saudita hanno raccontato a RT.com come sono state «sequestrate» dai loro datori di lavoro, responsabili di abusi sessuali e torture. Sarebbero ancora centinaia le donne che vivono una simile condizione di sfruttamento e schiavitù.
Nel 2013, prima volta nella storia del paese, l’Arabia Saudita ha approvato il divieto di tutte le forme di abuso fisico e sessuale compiute a casa e sul posto di lavoro, punibili con la detenzione fino a un anno e con il pagamento di una multa. Voleva essere una di una serie di misure a lungo termine volte a rendere il Regno un paese islamico tollerante. Ma la realtà è ben altra. L’Arabia Saudita continua a fare notizia per le violazioni dei diritti umani. In un recente rapporto, ad esempio, Amnesty International ha affermato che le donne e le ragazze continuano a subire discriminazioni e non sono adeguatamente protette contro gli abusi sessuali e altre forme di violenza nel paese.
Anche Human Rights Watch ha ripetutamente denunciato il paese per la situazione dei diritti umani, affermando che più di nove milioni di lavoratori migranti in Arabia Saudita – la metà della forza lavoro – subiscono abusi e sfruttamento «pari alle condizioni del lavoro forzato».
Immagine: via istockphoto.com
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