400 persone mancano all’appello dopo il naufragio del 21 settembre al largo dell’Egitto ma nessuno sembra accorgersene.
Questa mattina sono arrivate 300 persone circa al molo Favarolo di Lampedusa, bambini siriani con le mamme e giovani provenienti dall’Africa subsahariana. Erano salvi, provati da un viaggio durato due giorni, ma comunque salvi. Ieri l’altro invece c’è stata una tragedia al largo delle coste egiziane, i media ci hanno comunicato che 42 salme sono state recuperate in mare mentre 150 persone sono state salvate.
Nella maggior parte dei casi però le notizie hanno omesso di dire “il resto”, ovvero che in quell’imbarcazione c’erano 600 persone e che ci sono stati circa 400 dispersi in mare. Hanno anche dimenticato di dire che i “salvati” sono stati poi arrestati dalla polizia egiziana. La notizia oggi è pressoché scomparsa, finita nel dimenticatoio come una goccia di pioggia che evapora alla luce del sole estivo. Per avere idea della tragedia occorre paragonare questo avvenimento al terremoto del Centro Italia dove sono morte 297 persone, solo allora si può comprendere di cosa stiamo parlando e di come l’impatto mediatico sia in grado di modificare l’opinione pubblica del nostro paese. Certo, un conto è una tragedia che riguarda gli “altri” che avviene a qualche centinaia di chilometri dalle nostre coste, un altro una tragedia che riguarda noi, che avviene nel cuore del nostro paese. Eppure tutto questo ci riguarda, perché quelle centinaia di persone erano dirette verso le nostre coste. Lavorando a Lampedusa ho visto gli sbarchi delle imbarcazioni che provengono dall’Egitto, sono barche piene di minori, ragazzini tra i 13 ed i 18 anni al massimo, e famiglie. Famiglie siriane con bambini piccoli come quelle che sono arrivate questa mattina ai quali abbiamo dato succhi di frutta e merendine.
Nei titoli delle notizie, però i morti sono 42 e non 442 come è invece nella dura realtà. Il numero dei “dispersi” nel mare non ha nome né storia, è un numero stimato, che cresce alimentandosi dell’indifferenza della politica. In uno dei miei schizzi, ho disegnato una montagna di barche sotto il mare Mediterraneo che perde colore: la perdita del colore sta a significare che gli oltre 30mila dispersi non solo hanno perso la vita, ma anche la propria memoria. In questi anni di lavoro sulla frontiera ho capito che i numeri delle persone sono molto meglio utilizzabili che le storie, infatti tutti possono appropriarsi dei numeri ed utilizzarli a seconda della propria convenienza politica. Utilizzarli per chiedere più investimenti alle agenzie che si occupano del contrasto dell’immigrazione clandestina, utilizzarli per pagare regimi autoritari per bloccare i flussi di persone che scappano da guerra e miseria.
Mi chiedo allora chi parla per loro? Come mai non ascoltiamo la richiesta di quelle madri e padri che cercano i propri figli? Forse perché questa ricerca rimanda a delle responsabilità dei governi? Circa due anni fa, ho conosciuto all’aeroporto di Lampedusa un padre di un ragazzo nigeriano che era venuto dalla Francia. Aveva girato per il paese con una fotocopia della foto di suo figlio che aveva deciso di prendere la via del mare nonostante lui lo avesse sconsigliato. Era entrato nei bar, nella caserma dei carabinieri, nell’hot spot, chiedendo se avessero visto suo figlio. La sua ricerca così drammatica mi aveva colpito molto, e da lì ho cominciato a riflettere su quanto fosse importante fare in modo che quei numeri si traducessero in storie. Su quanto fosse importante raccontare tutto, cercare di dare nome e cognome a queste persone, di quanto fosse importante raccontare come è finita la vita di Welela, o dare una lapide a Yassin sepolto nel cimitero di Lampedusa. Non è semplicemente importante per la loro dignità di esseri umani, quello che conta è la ricerca. Ricercare i dispersi, i migliaia di dispersi infatti vuol dire anche ricercare le responsabilità. Mi viene spesso in mente, quando racconto la storia dei dispersi in mare, la lotta coraggiosa delle madri di Plaza de Mayo. Loro sapevano in cuor loro che non avrebbero mai ritrovato i propri figli, eppure quella ricerca ha permesso a un intero paese di ritrovare la propria coscienza, la stessa che l’Italia e l’Europa hanno perso in fondo a questo mare.
Immagini: By Sara Prestianni / noborder network – http://www.flickr.com/photos/noborder/2495544558/, CC BY 2.0, https://commons.wikimedia.org/w/index.php?curid=13291993
di Francesco Piobbichi | Riforma.it
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