Costrette in casa, costrette a sposarsi giovanissime, picchiate dal marito, stuprate per strada e prive di qualsiasi libertà civile: in alcuni paesi la donna vale meno di niente.
Afghanistan | Pakistan | India | Somalia | Congo
in foto: Donna afghana durante una protesta davanti alla Corte suprema il 24 marzo 2015 (Photo by WAKIL KOHSAR/AFP/Getty Images).
L’uguaglianza tra l’uomo e la donna è per molti paesi occidentali, Italia compresa, un obiettivo più che una realtà di fatto. Nonostante la difficoltà di rendere effettiva tale eguaglianza, il principio non viene messo in discussione. In molti paesi del Sud del mondo la situazione è radicalmente diversa, poiché è la legge stessa a sottomettere la donna al dominio dell’uomo. Si tratta di paesi per lo più islamici che interpretano i testi sacri in maniera particolarmente conservatrice. Come osservò Alfonso Desiderio su Limes, è interessante notare che gran parte dei paesi che applicano maggiori discriminazioni e violenza di genere si affacciano sull’Oceano indiano tra il subcontinente asiatico e il Corno d’Africa, un’area che, per scambi commerciali e influenze culturali, si configura come un’entità geopolitica ben riconoscibile. Secondo un’analisi pubblicata nel 2011 dalla Fondazione TrustLaw erano cinque gli stati che applicavano leggi più discriminatorie verso le donne, nell’ordine: Afghanistan, Congo, Pakistan, India e Somalia. Da allora la situazione è cambiata solo parzialmente. Vediamo come.
Afghanistan
Quando venne condotta la ricerca che definì l’Afghanistan “il paese più pericoloso al mondo per le donne” lo stato asiatico era in piena guerra. La situazione è cambiata ben poco proprio per la cronicizzazione dello stato bellico che impedisce riforme significative anche nella parte orientale del paese, maggiormente controllata dalle forze governative. Ancora oggi l’85% delle donne è senza istruzione, mentre il 50% si sposa prima dei 16 anni. La disperazione delle donne, prive di qualsiasi potere e sottoposte alla violenza del marito in casa, mentre fuori infuria la violenza della guerra, le conduce troppo spesso alla soluzione estrema del suicidio: nel 2014 120 donne hanno deciso di darsi fuoco.
Pakistan
Il paese che ha ospitato Osama Bin Laden prima della sua uccisione è un’altra terra di nessuno. L’opposizione del governo alle violenze dei talebani è incapace di garantire sicurezza ai propri cittadini, mentre le riforme sono fortemente limitate dall’esigenza di rendere ulteriormente instabile l’esecutivo. Rispetto agli altri paesi di maggioranza musulmana, il Pakistan è quello che probabilmente discrimina meno le donne, ma in realtà il grado di libertà del genere femminile varia molto in base alla zona di residenza. Le aree interne sono regolate da tradizioni che negano nel modo più assoluto l’uguaglianza di genere. È di aprile la notizia proveniente da Karachi, dove Sabeen Mahmud è stata uccisa mentre era in moto. Capelli corti e una vita dedicata ai diritti civili in Pakistan, non le è stato perdonato il peccato di essere una donna libera in una comunità maschilista.
India
Paese pieno di contrasti, in cui una donna originaria di un altro paese, come l’italo-indiana Sonia Ghandi, può guidare uno dei più grandi partiti nazionali, e allo stesso tempo un’altra può diventare una delle tante vittime del marito. Da una parte la legge rivela un paese decisamente all’avanguardia nell’area dell’Oceano Indiano che porta al Corno d’Africa, dall’altro le tradizioni delle zone periferiche confermano un paese violento e fortemente avverso all’uguaglianza di genere. Secondo un rapporto delle Nazioni Unite l’India, stando ai fatti raccontati dalle statistiche e non all’ordinamento giuridico, sarebbe addirittura meno tollerante del Pakistan.
Somalia
La Somalia è un paese in guerra perenne che fino al 2012 non è riuscita ad esprimere un presidente che non fosse di “transizione”. L’anarchia ha lasciato spazio a corti islamiste che esercitavano il potere ed applicavano la legge (o spesso le tradizioni) su scala locale. In un tale contesto il Codice di famiglia in vigore dal ’75 viene semplicemente sorpassato e soffocato dalla realtà. Le tradizioni islamiche e pre-islamiche (da cui deriva la pratica della mutilazione dei genitali nelle bambine dai 4 ai 12 anni) indeboliscono la posizione della donna già resa estremamente precaria dalle guerre. Stuprate, malnutrite e costrette all’obbedienza, le donne, in alcuni villaggi, valgono nulla.
Congo
L’uso della violenza sessuale come strumento di guerra miete decine di migliaia di vittime tra i civili e soprattutto tra le donne congolesi. La “guerra mondiale africana in Congo” è finita, ma non il conflitto che si concentra sulla parte orientale del paese, sul confine con Uganda, Ruanda e Burundi. Qui gli stupri non solo sono perpetrati dallo stesso esercito regolare congolese, ma vengono anche tollerati dai comandanti. Da una parte le vittime, dall’altra i carnefici che restano quasi sempre impuniti.
da: Fanpage.it/