di Elisabeth Elliot – Dio permette che sia i cristiani che i non cristiani sperimentino ogni forma disofferenza conosciuta dalla razza umana, così come Egli permette che la sua benedizione cada su entrambi. La povertà, come altre forme di sofferenza, è relativa, come io e Lars ricordiamo del periodo che eravamo in India. La definizione del nostro paese di “livello di povertà” significherebbe ricchezza inimmaginabile per le ragazze che abbiamo visto lavorare accanto al nostro hotel. Per nove ore al giorno portavano calcestruzzo bagnato in vasche di legno sulle loro teste, versandolo nelle forme per le fondamenta di un grande edificio. Ricevevano per paga trenta centesimi al giorno.
Sulla mia lista di scritture che ci danno indizi su alcuni dei motivi per cui Dio permette che i suoi figli soffrano, c’è 2 Corinzi 8:2: “che in mezzo a molte prove di afflizione, l’abbondanza della loro gioia e la loro estrema povertà hanno abbondato nelle ricchezze della loro liberalità”.
Erano le chiese della Macedonia di cui Paolo stava parlando, prova vivente che non è la povertà o la ricchezza che determinano la generosità, e a volte coloro che soffrono di più finanziariamente sono quelli più pronti a condividere ciò che hanno. “Pregandoci con molta insistenza di accettare il dono e di partecipare a questa sovvenzione per i santi.” (v. 4).
Il denaro ha un potere terribile quando è amato. Può accecarci, imprigionarci o riempirci di ansia e paura, tormentando i nostri giorni le nostre notti con la tristezza, consumandoci inseguendolo. I cristiani macedoni, pur possedendone poco, accettarono tutto con fede e fiducia. I loro occhi erano aperti per vedere oltre la propria miseria. Videro ciò che era molto più importante di un conto in banca e, senza “eccessiva preoccupazione” contribuirono ai bisogni dei loro fratelli.
Se perdendo ciò che questo mondo apprezza possiamo ottenere ciò che disprezza – un tesoro in cielo, invisibile e incorruttibile – non vale la pena di affrontare qualsiasi tipo di sofferenza? Cosa vale la pena per noi per imparare un po’di più di ciò che la croce significa – la vita dalla morte, la trasformazione dalle perdite e dolori e tragedie della terra?
La povertà non è stata la mia esperienza, ma Dio ha permesso nella vita di ognuno di noi qualche tipo di perdita, la scomparsa di qualcosa che per noi aveva valore, in modo che noi potessimo imparare a disporci più volentieri, a consentire il tocco della morte su qualcosa o più cose che tenevamo strette così forte, e di conseguenza potessimo conoscere la pienezza, la libertà e la gioia molto prima.
Noi non siamo naturalmente inclini ad amare Dio e cercare il suo regno. I problemi possono aiutarci ad esserlo, possono cambiarci, mettere pressione su di noi, e portarci verso la giusta direzione.
Fonte: http://www.chiesadiroma.it/
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