Un torbido film di spionaggio è diventato realtà. Kim Jong-nam, figlio primogenito del defunto dittatore nordcoreano Kim Jong-il, rinnegato dalla famiglia ed esule da sedici anni, è stato assassinato da due donne-spia di Pyongyang con un ago avvelenato, nell’aeroporto di Kuala Lumpur, Malaysia.
Kim Jong-nam era stato privato del suo titolo di “principe ereditario” del regno eremita dopo aver tentato, nel 2001, di entrare in Giappone con documenti falsi. Voleva visitare Disneyland Tokyo. Figlio di una relazione extraconiugale di Kim Jong-il e un’amante, l’attrice Sung Hae-rim, poi morta a Mosca, Kim Jong-nam ha speso la sua enorme eredità non per governare, ma per girare l’Asia e fra i casinò di Macao, dove viveva con la sua famiglia. Si era rifatto un’immagine, come contestatore esule del regime nordcoreano. Aveva dichiarato di essere stato espulso dalla famiglia e dal suo paese, non per la figuraccia rimediata a Tokyo, ma perché aveva osato suggerire riforme modernizzatrici. Nel 2012 avevano già tentato di ucciderlo: un possibile attentatore era stato arrestato a Seul. Adesso, a Kuala Lumpur, il regime retto da fratellastro minore Kim Jong-un se n’è sbarazzato una volta per tutte.
Questa storia non è frutto della fantasia malata di uno sceneggiatore hollywoodiano. E’ reale. Ed è indicativa di cosa sia diventata la dinastia dei Kim, gli ultimi dittatori portabandiera di un comunismo stalinista mai riformato. Dalla “rivoluzione proletaria”, mai scoppiata in Corea, ma importata direttamente dall’Armata Rossa in una terra contadina, è sorto il culto della personalità di Kim Il Sung, il capostipite. Lui, suo figlio e suo nipote hanno retto il potere grazie alla guerra contro il Sud (prima guerreggiata, poi perennemente latente), ai campi di concentramento (si stima in un milione e mezzo il numero degli oppositori, o presunti tali, uccisi dal regime) e all’isolamento del paese dal resto del mondo, nel nome della filosofia Juche, “autosufficienza”.
Proprio due giorni prima dell’assassinio all’estero di Kim Jong-nam, la Corea del Nord aveva lanciato un nuovo missile a medio raggio nel Mar del Giappone in violazione delle risoluzioni Onu che vietano test balistici. Con questa esercitazione, il regime di Pyongyang ha effettuato 20 lanci di missili e 2 esplosioni nucleari sotterranee negli ultimi 13 mesi. Una frequenza mai vista prima, nemmeno nei precedenti momenti di massima tensione con il Sud. L’ultimo test missilistico rappresenta anche un salto di qualità notevole: per la prima volta le forze armate nordcoreane hanno lanciato un vettore a combustile solido, una tecnologia che consente tempi di preparazione al lancio molto inferiori e di una maggior velocità di uscita dall’atmosfera rispetto ai precedenti ordigni a combustibile liquido. Il missile è stato trasportato da un veicolo mobile cingolato, che permette lanci anche in luoghi lontani da strade e quindi più difficilmente monitorabili dalla ricognizione sudcoreana e americana. E quel veicolo è interamente prodotto in Corea del Nord, quale segnale di indipendenza anche dalla Cina. E’ la prova di quanto il regno eremita abbia investito tutte le sue (povere) risorse nella tecnologia nucleare e missilistica.
Come si può leggere il lancio di questo missile e un assassinio politico eccellente a soli due giorni di distanza l’uno dall’altro? Difficile pensare che l’esule Kim Jong-nam potesse costituire un ostacolo alla politica di corsa al nucleare del fratellastro. Più facile ipotizzare, invece, che non avesse tutti i torti quando dichiarava alla stampa giapponese che Kim Jong-un “Non è in grado di comandare, rimarrà sempre nelle mani dei suoi tutori politici”. Sono proprio i suoi tutori ufficiali, a partire dallo zio Jang Song-thaek, le prime vittime delle purghe del nuovo dittatore. Quello di Kim Jong-nam è l’ultimo di una lunga serie di assassinii in patria e all’estero. Un’epurazione massiccia, abbinata ai test nucleari e missilistici continui, arma di ricatto per eccellenza (e l’unica in grado di rendere la Corea del Nord militarmente inattaccabile), sono segno di debolezza, non di forza, del nuovo “sovrano” rosso.
Thae Yong-ho, dissidente nordcoreano, lo scorso gennaio, a Seul, ha spiegato che “il regime ha i giorni contati” perché “le strutture tradizionali su cui si regge stanno collassando”. Le stesse cose le diceva anche Kim Jong-nam. Prima che venisse assassinato.
di Stefano Magni | Lanuovabq.it
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