La disgrafia è risolvibile. Il recupero è sempre legato alla speranza. Come adulti, non dobbiamo essere intralci, ma incoraggiare sempre.
Non sono contraria alle certificazioni di disgrafia, anche se in Italia la loro percentuale, rispetto agli altri Stati, è molto alta e ci porta ad interrogarci. Tante volte esse possono costituire un forte richiamo oggettivo per genitori che, di fronte alle ripetute segnalazioni di docenti attenti circa ipotetiche difficoltà del loro figlio, non vogliono prenderne consapevolezza. In seconda Classe Primaria, in molte scuole, viene effettuato uno screening per evidenziare precocemente le difficoltà di apprendimento, tra cui quella relativa alla scrittura. Ciò è bene: prima si interviene nel recupero e meglio è.
Il punto è un altro. Il vero problema è che molto spesso, a fronte di una segnalazione, ai genitori viene suggerito di incominciare a far utilizzare al bambino i programmi del computer, negandogli di fatto, in partenza, la possibilità del recupero. Diamo per scontato che disgrafia coincida con malattia, patologia. La prescrizione terapeutica che viene indicata in questi casi invita all’uso esclusivo del carattere stampato e del computer come mezzi per scrivere e non considera in alcun modo l’alternativa della riabilitazione grafica. Per fare un paragone: è come il caso di un bambino che non è ancora in grado di allacciarsi le scarpe al quale vengono comprate le scarpe con il velcro, anziché spiegargli come deve fare.
La difficoltà di scrittura, molto frequentemente, siamo noi a provocarla. Creiamo difficoltà di scrittura al bambino ogni qualvolta non lo stimoliamo a giocare usando le mani. Nella maggior parte dei bambini diagnosticati come disgrafici, la causa è semplicemente un’immaturità sul piano della motricità fine, oltre ad una didattica sbrigativa e poco attenta al gesto grafico. Quante mamme preoccupate, in ansia, quasi in lacrime arrivano in studio; giustamente si chiedono: c’è qualcosa che posso fare per risolvere il problema di mio figlio prima di stressarlo di fronte a dei test valutativi e piuttosto che farlo targare e stigmatizzare con un’etichetta a vita? La dicitura di “disgrafico” ha infatti ripercussioni sulla percezione che il bambino ha di sé, in quanto lo fa sentire diverso, crea una ricaduta anche sul piano dell’autostima e di conseguenza sull’apprendimento e sulla socializzazione in generale. A volte diventa una scusante per il disimpegno.
Esiste la possibilità concreta, attraverso la figura del grafologo rieducatore della scrittura, di intervenire con un training scrittorio per far sì che i bambini con difficoltà di scrittura le superino ed arrivino a scrivere bene, e quindi a pensare bene. Ci sono bambini che necessitano di un percorso più lungo poiché le lacune da colmare sono tante; altri che in poche sedute risolvono un problema che hanno trascinato per anni. La seguente lettera è stata scritta da un ragazzo di 21 anni, Marco Pedroli, in seguito ad una manciata di sedute di rieducazione della scrittura: «Fin da piccolo ogni volta che scrivevo nessuno capiva cosa avevo scritto, soprattutto a scuola dove prendevo sempre insufficiente perché le maestre non capivano cosa scrivevo; questa cosa è andata avanti fino alla fine delle superiori e si è riscontrata anche al lavoro, dove portavo solo i piatti o i caffè perché quando provavano a farmi prendere l’ordine non capivano niente di quello che c’era scritto sul foglietto e mandavano qualcun altro a prendere l’ordine. Finché un giorno mia madre ha scoperto che a Magenta risolvevano problemi come il mio; io subito chiamai per un appuntamento. Dopo quel giorno la scrittura cambiò del tutto e in famiglia non mi chiesero più di tradurre quello che scrivevo; spero che questo mi aiuti per il lavoro perché a me questa esperienza ha aiutato un sacco».
Salvo rari casi in cui è accompagnata da altre importanti difficoltà, per esempio emotive o comportamentali, la disgrafia è risolvibile. Il recupero è sempre legato alla speranza. Come adulti, non dobbiamo essere intralci, ma incoraggiare sempre, rapportandoci a chi ci viene affidato come se stessimo dicendogli, tra le righe: «Vedrai che ce la fai, lavoriamo insieme, impariamo gradualmente con il sorriso, un passo alla volta». Tutto si gioca, come sempre, nella relazione. E il successo di un bambino che poi osserva la sua scrittura ed è felice, diventa anche il tuo.
Irene Bertoglio è grafologa rieducatrice della scrittura, autrice con Giuseppe Rescaldina di Il corsivo encefalogramma dell’anima
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