Dice la Parola di Dio: “….Chiedete e vi sarà dato…”

chiedeteE’ probabile che quando l’Apostolo Paolo scrive questa epistola si trovasse in prigione a motivo dell’evangelico di Cristo. Al capitolo 1 verso 13 dell’Epistola ai Romani, Egli infatti, nell’esprimere il desiderio che ha avuto ed ha ancora di voler visitare la Chiesa di Roma dice testualmente “…ma finora ne sono stato impedito”.La lettera di Paolo ai Romani è la prima delle epistole elencate nel canone del Nuovo Testamento; probabilmente fu trasmessa alla Chiesa di Roma tramite Febe, diaconessa della Chiesa di Concrea (Romani 16:1). Essa tratta nei particolari la questione della salvezza ed ha lo scopo di consolidare la fede di quei cristiani. Il capitolo 12 parla della consacrazione che i cristiani devono acquisire verso Dio e dell’umiltà e fedeltà nell’utilizzare i doni che Dio dà ai Suoi figlioli. I versi 9 e 10 del suddetto capitolo sono esortativi; esortano, cioè, ad avere un amore vero gli uni verso gli altri che sia sincero, onesto, senza doppi fini; esortano anche ad avere zelo nel servire il Signore della Gloria.

Nel versetto 12, oggetto di questa meditazione, l’Apostolo Paolo dà tre bellissimi consigli, invitando i cristiani di Roma prima e per riflesso ogni cristiano che desidera fare la volontà di Dio, invitandoli ad essere: allegri nella speranza; pazienti nell’afflizione; perseveranti nella preghiera.
Qual è la nostra speranza? O per meglio dire, su che cosa è basata la nostra speranza? Certamente, o quasi certamente, ogni cristiano che legge questo scritto sarà disposto a sostenere che la propria speranza è basata su Cristo Gesù, ma l’Apostolo Paolo in I Corinzi 15:19 dice: “….se abbiamo sperato in Cristo per questa vita soltanto, noi siamo i più miserabili di tutti gli uomini”.

Nel libro degli Atti al capitolo 8, versetti 26-40, possiamo leggere la storia della conversione di un eunuco Etiopo, il quale stava seduto sul suo carro in movimento, leggendo dal profeta Isaia capitolo 53. Filippo, mandato proprio su quella strada, dallo Spirito Santo e avendo compreso che l’Etiopo aveva bisogno di qualcuno che gli desse dei chiarimenti sulla Sacra Scrittura ..prese a parlare e cominciando da questo passo della Scrittura gli annunziò Gesù.  Tanto l’Eunuco rimase estasiato delle spiegazioni date da Filippo, che avvicinatisi .. a una cert’acqua, Egli ebbe il desiderio di battezzarsi, cioè di accettare pubblicamente Gesù come personale salvatore e Signore. Il verso 39 ci fa sapere che quando i due furono saliti fuori dall’acqua, lo Spirito del Signore rapì Filippo e l’eunuco continuò il suo cammino tutto allegro.

In effetti, era come se la realtà che lo circondava, in quel momento, fosse (e così è) meno importante per l’immensa gioia che sentiva per essere entrato nel piano della salvezza proposto da Cristo Gesù; ora aveva una speranza nuova, che non era più basata sulle cose di questo mondo, o sulle persone più o meno conosciute, ma in un qualcosa di più glorioso, di più sublime, di più caro: la vita eterna. Il cristiano deve essere allegro nella speranza perché deve sperare in Cristo, il quale non è come l’uomo della terra che dice e non fa; tutto quello che Gesù dice nella Sua Parola, se vi mettiamo la fede necessaria, Egli lo fa; Egli ha promesso la vita eterna e quella darà a coloro che persevereranno fino alla fine.

Quindi caro fratello, cara sorella, caro lettore, se hai nel tuo cuore la speranza che un giorno andrai con il Signore, stai di buon animo senza dubitare, persevera nella Parola di Dio, abbi in Lui fede, perché Gesù sta preparando delle dimore per coloro che amano Dio ed il prossimo (Giovanni 14:2). In merito alla gioia nella speranza, ancora la parola di Dio dice: “Io ho continuamente posto l’Eterno davanti ai miei occhi; poiché Egli è alla mia destra, io non sarò mai smosso. Perciò il mio cuore si rallegra e la mia anima esulta; anche la mia carne dimorerà fiduciosa e al sicuro, perché tu non lascerai l’anima mia nello Sceol e non permetterai che il tu Santo veda la corruzione” (Salmo 16:8-10). Il salmista aveva fiducia nell’Eterno perché lo aveva visto all’opera nella sua vita e lo riconosceva Signore della propria anima. “La speranza dei giusti è gioia….” (Proverbi 10-28). I giusti hanno tanto gioia nel loro cuore perché un giorno saranno sempre alla presenza del Signore. Nel Nuovo Testamento possiamo ancora leggere Romani 5:2; Tito 2:13; Ebrei 3:6.

Un ottimo esempio della pazienza è senza dubbio Giobbe, il quale viveva nel paese di Uz, era integro e retto, temeva Dio e fuggiva il male (Giobbe 1:1). Giobbe però aveva bisogno di essere corretto da Dio, perché era orgoglioso e Dio, nella sua grande sapienza, permise che in un giorno solo capitassero a Giobbe diverse disgrazie. Infatti, gli furono rubati tremila cammelli, cinquecento paia di buoi e cinquecento asine; un fuoco cadde dal cielo e bruciò settemila pecore; inoltre gli morirono i suoi dieci figli (sette maschi e tre femmine) e una servitù molto grande (Giobbe 1:3,13-19). Pensate, che grande dolore per tutte queste disgrazie in un solo giorno!

In Giobbe 1:20-22, dopo essergli capitate tutte queste disgrazie, è scritto: “….allora Giobbe si alzò e si stracciò il mantello e si rase il capo e si prostrò a terra e adorò e disse: nudo sono uscito dal seno di mia madre e nudo tornerò in sedo alla terra; l’Eterno ha dato, l’Eterno ha tolto; sia benedetto il nome dell’Eterno. In tutto questo Giobbe non peccò e non attribuì a Dio nulla di mal fatto”. Ci sono persone che bestemmiano Dio per cose di poco conto (Iddio abbia pietà di loro) ed il cristiano è spesso contristato nel suo cuore per quello che sente e per quello che vede nel mondo.

Ma come possiamo leggere nei versetti precedenti, nelle parole di Giobbe non vi è una benché minima accusa verso Dio; Egli riconosce che Dio gli ha dato ogni cosa e che Dio gli ha tolto ogni cosa, in quanto sa che è il padrone di ogni cosa e tiene ogni cosa nella sua mano. Giobbe adorò Dio riconoscendolo come Suo Signore; Egli non sapeva che un giorno avrebbe avuto ancora di più da Dio, ma davanti a tutte quelle disgrazie, trova la forza di adorare Dio perché lo ama più di ogni altra cosa e persona. Giobbe non peccò, non venne meno, non si adirò, non ebbe disprezzo per Dio che si riprendeva in poche ore tutto quello che gli aveva donato nell’arco di una vita. Già sarebbe atroce perdere un solo figliolo, specialmente se in tenera età; pensiamo per un attimo alle conseguenze disastranti per Giobbe: moralmente si doveva sentire molto abbattuto; economicamente distrutto, perché certamente gli animali che gli sono stati rubati o morti per via del fuoco, contribuivano a produrre dei prodotti alimentari (latte e suoi derivati, carne, ecc. ecc.).

Tuttavia, non contento di ciò, il nemico delle nostre anime, provocò a Giobbe una ulcera maligna, dalla pianta dei piedi fino al sommo del capo (Giobbe 2:7). Davanti a tutte queste disgrazie, Giobbe dovette anche subire l’umiliazione nelle parole della moglie, la quale gli disse: “….ancora stai saldo nella tua integrità? Ma lascia stare Iddio e muori! E Giobbe a lei: tu parli da donna insensata! Abbiamo accettato il bene dalla mano di Dio, e rifiuteremmo di accettare il male? In tutto questo Giobbe non peccò con le sue labbra”.

Come se non bastassero tutti gli episodi negativi succedutisi in un solo giorno, come se non bastasse la conseguenza del male fisico sofferto da Giobbe, le sue orecchie inorridirono per le parole della moglie. Non è facile accettare il male neanche da una zanzara che ci morde provocando un rossore della pelle; ma grande fu la fede  e soprattutto la pazienza di Giobbe che accettò tutto con serenità. Certo è che poi cominciò a lamentarsi ritenendo quei mali molto al di là di quello che avrebbe potuto meritare; ma è pur vero che in seguito Giobbe fu ancora più ricco di prima ed ebbe giorni a sazietà (Giobbe 42:17), perché riconobbe la grandezza e la potenza e la sovranità di Dio che fa e dice tutto quello che desidera, mai in maniera disordinata, ma piuttosto in maniera saggia, santa, onesta, correttiva e per uno scopo ben preciso.

Prendiamo esempio da questo santo uomo di Dio per le situazioni negative della nostra vita, che per quanto negative possano essere, non saranno mai catastrofiche come quelle di Giobbe. Adoriamo, dunque Dio in ogni tempo e mettiamolo comunque al primo posto, succeda quel che succeda e con tanta pazienza accettiamo le afflizioni che ci fanno disperare, ma che a lungo andare forgiano la nostra vita spirituale.

Il cristiano oltre ad dover essere allegro nella speranza e paziente nell’afflizione deve essere anche perseverante nella preghiera. Lo stesso Gesù parlando ai farisei per far capire loro che non dovevano stancarsi di pregare, propose loro una parabola in cui viene descritto che in una certa città vi era un giudice iniquo (Luca 18:1-8), che non amava Dio e non aveva rispetto per alcuno; vi era anche una donna che spesso si recava da questo giudice dicendogli: “….fammi giustizia del mio avversario!”. Questo giudice per un certo tempo non volle farlo, ma arrivò un bel giorno che fu compunto nel cuore per aiutare quella donna, che per il proprio bisogno a lui si rivolgeva. Ora, se il giudice iniquo fece ragione a quella donna che era stata perseverante ad andare e tornare presso il suo ufficio, tanto più, può fare il nostro Grande Dio, per noi! E necessario però comprendere, che Dio nella Sua grande saggezza ed intelligenza, ha i suoi tempi per potere rispondere alle preghiere a Lui rivolte e non sempre il Signore risponde in maniera istantanea! probabilmente perché Dio desidera che noi siamo insistenti, che non tralasciamo mai la preghiera e che abbiamo la mente sempre rivolta a Lui.

In Efesini 6:18 è scritto: “…. pregando in ogni tempo con ogni sorta di preghiera….”; in Colossesi 4:2 è scritto: “…perseverate nella preghiera, vegliando in essa con ringraziamento….”; in I Tessalonicesi 4:17 è scritto: “….non cessate mai di pregare….”. Naturalmente è nella preghiera e per mezzo di essa che si riceve da Dio, nel nome di Gesù guarigione spirituale e fisica, incoraggiamento ad andare avanti nella fede, piena fiducia nell’opera di Dio, fortificazione del proprio cuore, nuovo vigore spirituale, ravvedimento ecc. ecc.

Il popolo di Israele schiavo in Egitto, gridò all’Eterno per circa 400 anni (Esodo 12:40) per la propria liberazione e Dio chiamò Mosè, quale mezzo di liberazione del popolo di Israele dall’Egitto, alla fine delle dieci piaghe e di guida per circa 40 anni nel deserto. Giuseppe in prigione in Egitto, dopo avere spiegato i sogni che avevano fatto il coppiere ed il panettiere del Faraone, stiede per ben due anni in prigione dimenticato dal gran coppiere (Genesi 41:1), il quale gli aveva fatto la promessa di ricordarsi di lui. Credo che Giuseppe in questi due lunghi anni passati in solitudine dentro una prigione, abbia pregato il Signore che egli amava dimostrandolo con i suoi buoni comportamenti.

Perseverare nella preghiera significa andare al Signore continuamente; non che il Signore ha bisogno di avere ricordate le situazioni della nostra vita che conosce fin troppo bene; ma desidera incontrarci nella preghiera, fortificarci, benedirci. Se Dio esaurisca in un batter d’occhio le preghiere, non ci sarebbe tanto desiderio da parte nostra di stare alla Sua presenza perché verrebbe a mancare il tempo di gustare i sospiri ineffabili con cui lo Spirito Santo sovviene alle nostre debolezze e mancanze. Dice la Parola di Dio: “….Chiedete e vi sarà dato…” (Matteo 7:7), non dice: chiedete una volta sola e vi sarà dato.

PALAZZOLO Aurelio – notiziecristiane.com


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