Quando si ama qualcuno, stare insieme non è sufficiente; per crescere nella qualità del rapporto è indispensabile curare un altro importante aspetto: la comunicazione.
Per un cristiano, pregare significa parlare con Dio e, in molti casi, la preghiera può diventare anche un prezioso strumento terapeutico, con le opportune distinzioni.
Come non tutte le religioni sono buone così non tutte le preghiere sono buone, e di fatto, alcune sono chiaramente dannose per la salute.
Questo è quello che denunciò Gesù nelle sue diatribe contro i farisei (Matteo 23:13-36).
La preghiera deve essere un risultato di un’esperienza spirituale interiore, la preghiera sana nasce dal desiderio di stare con Dio, non la necessità impellente di uno psichiatra infallibile.
La preghiera a cui faccio riferimento è quella caratterizzata da un maturo rapporto con Dio; essa diventa anche terapia essenziale nel momento in cui prevede un ALTRO con il quale ci si mette in contatto.
“La preghiera ci permette di ricostruire i fondamenti stessi della nostra esistenza. Restituisce all’uomo il vero senso della vita, gli offre un’autentica autorealizzazione perché restaura un dialogo libero e COSTANTE, la comunione intima con il suo Creatore. La preghiera è il veicolo che ci permette di attenuare la sete di Dio, che è il nostro bisogno più profondo”.
La preghiera mossa da una fede che sa di avere un interlocutore attento, diventa strumento di comunicazione e non è un vuoto monologo nel quale le nostre parole evaporano nel nulla.
Da un punto di vista psicologico, la preghiera può anche venire considerata una particolare forma di terapia della parola; essa è sempre portatrice di un arricchimento sul piano relazionale, sia verticale (con Dio), sia sul piano verticale (con il prossimo) perché pregare significa confermare ogni giorno la presenza di Dio nella nostra vita; questo aiuta il credente a sperimentare quella pace interiore che deriva dal confidare in colui che gli ha dimostrato il vero amore, quello che ci accogli nonostante le nostre fragilità, le nostre debolezze e i nostri difetti.
Nella preghiera, infatti il credente può esprimere liberamente i suoi sentimenti può perorare la sua causa presentando i suoi problemi, le suo oppressioni e le sue paure, senza essere costretto ad indossare una maschera perché sa che Dio conosce i cuori (Luca 16:15)
La possibilità di aprire il nostro cuore, cioè la nostra interiorità, ha una funzione catartica, purificatrice e liberatoria. In certi momenti può diventare uno sfogo se il centro della preghiera è rappresentato dall’Io, in senso egocentrico. E’ invece costruttivo se il centro è Dio, se cioè la preghiera è teocentrica. “Alzo gli occhi al monte, da dove mi verrà l’aiuto?, il mio aiuto viene dal SIGNORE che ha fatto il cielo e la terra… Egli proteggerà l’anima tua” (Salmo 121)
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