Daniele fu portato come schiavo a Babilonia quando era solo un ragazzo di 16 anni, ma fin da allora la sua “sapienza” impressionò i re. “Malgrado vivesse in una nazione pagana non accettò mai alcun compromesso”, rimanendo sempre fedele al Dio vivente.
Dio gli diede l’abilità di interpretare i sogni e grazie a questo dono il re scelse Daniele come suo consigliere conquistandosi così una reputazione che gli permise di rimanere in quella posizione anche con l’avvicendarsi dei re.
Dio preservò Daniele “come un’importante guida sul piano divino per Israele a lungo termine”.
“Neanche i suoi nemici politici, per sino quelli che avevano complottato contro di lui per farlo gettare nella fossa dei leoni, furono capaci di eliminarlo”.
“Attraverso Daniele Dio diede al suo popolo una speranza per il futuro”.
Daniele al servizio del re Dario (cap. 6:1,28)
Il re Dario governò sul regno Medo-Persiano all’età di sessantadue anni, fu re dei Cadei.
Dario affidò l’amministrazione del suo regno a centoventi satrapi, come governatori essi avevano la responsabilità e la giurisdizione dei vari distretti che erano stati suddivisi in “satrapie”. Sopra di loro nominò tre capi, uno dei quali fu Daniele che si distinse fra tutti per il suo “spirito straordinario e eccellente”.
Daniele svolse i suoi incarichi con uno spirito di determinazione, adempiendoli fedelmente anche grazie al fatto che Dio gli aveva concesso una porzione del suo spirito che “lo fece contraddistinguere per la sua eccellenza”. Dario notò quest’aspetto ed elevò Daniele a una posizione più alta, cosa che suscitò “l’invidia degli altri due capi e dei centoventi satrapi che complottarono contro la sua persona cercando di trovare in lui un’occasione per accusarlo” circa l’amministrazione del regno. Ma Daniele non fu trovato “mancante in nessun aspetto di integrità e devozione”.
Non potendo agire in nessun’altro modo contro la sua persona, si accordarono intraprendendo un piano di azione secondo una legge Medo-Persiana di quel tempo e fecero sì che il re Dario promulgasse un decreto che imponeva un severo divieto e cioè che chiunque, per un periodo di trenta giorni, rivolgeva una richiesta religiosa a qualsiasi dio o uomo che non fosse il re venisse buttato nella fossa dei leoni, questo perché il re doveva essere considerato l’unico rappresentante della divinità. Sempre secondo questa legge, una volta che il re promulgava un decreto non poteva più essere revocato.
Il re Dario, venendosi a trovare con le spalle al muro, firmò il decreto e questo fece sì che la legge lo riconosceva a livello universale e cioè esso era riconosciuto da tutti i popoli e da tutti i regni del tempo, come la manifestazione vivente di tutti gli dèi.
Questo decreto causò gravi difficoltà a Daniele perché per rispettarlo non poteva pregare direttamente Dio altrimenti sarebbe apparso sleale nei confronti del re Dario che egli serviva con fedeltà e devozione, così andò a casa sua e tenendo le finestre aperte della sua camera si inginocchiò, in segno di umiltà e abbassamento a Dio, e iniziò a pregare come era sua abitudine rivolto verso Gerusalemme. Egli, malgrado il decreto promulgato, perseverò nelle sue abitudini di preghiera per non rendersi colpevole “d’ipocrisia e di ostentazione agli occhi di Dio”.
I nemici di Daniele, che non lo perdevano di vista per poterlo incastrare, accorsero subito e lo trovarono mentre “pregava e invocava il suo Dio”, così si recarono dal re Dario a raccontargli l’accaduto e gli ricordarono del divieto, Dario, ne fu molto addolorato e fino al tramonto fece di tutto per salvare Daniele consultando dei giuristi e intimorendo i cospiratori che ricordarono, nuovamente al re Dario, che la legge Medo-Persiana non poteva essere revocata. Al re non rimase che ordinare di gettare Daniele nella fossa dei leoni, però prima che questo accadesse gli parlò dicendogli: “Il tuo Dio, che tu servi con perseveranza, sarà lui a liberarti”.
Daniele fu gettato nella fossa dei leoni e il re Dario suggellò con il suo anello la pietra che chiudeva la chiusura dell’imboccatura affinché non potesse fuggire. Dopo di che il re Dario ritornò al suo palazzo e digiunò tutta la notte. La mattina successiva, appena fu giorno, egli si recò in fretta alla fossa dei leoni e chiamò Daniele dicendogli: “Daniele, servo del Dio vivente! Il tuo Dio, che tu servi con perseveranza, ha potuto liberarti dai leoni?”, Daniele rispose al re: “Vivi per sempre o re! Il mio Dio ha mandato il suo angelo che ha chiuso la bocca dei leoni; essi non mi hanno fatto nessun male perché sono stato trovato innocente davanti a lui; e anche davanti a te, o re, non ho fatto niente di male”. Allora il re ordinò che Daniele venisse tirato fuori dalla fossa dei leoni e che i suoi accusatori per l’accusa falsa di calunnia e diffamazione, i loro figli e le loro mogli venissero buttati nella fossa dei leoni. La punizione delle mogli e dei figli rientra nell’uso persiano di quei tempi.
Dario scrisse alle genti di ogni popolo, nazione e lingua che abitavano su tutta la terra per fare ordinare loro di rispettare il Dio vivente di Daniele che vive in eterno e di cui il regno non sarà mai distrutto e il suo dominio durerà fino alla fine. Con queste parole Dario innalza Dio al di sopra degli altri dèi ma non condanna l’idolatria, segno che non riconosce la sovranità di Dio.
Come ricompensa per la sua fedeltà e la sua integrità Dio fece prosperare Daniele tutti i giorni della sua vita terrena, fino alla fine.
Lo scopo di questa storia di Daniele è, naturalmente, quella di mostrare il potere che Dio usa a favore di tutti coloro che camminano con fede e integrità nelle sue vie e nei suoi insegnamenti, liberandoli dalla schiavitù dei suoi oppressori. Possiamo vedere Dio soltanto se siamo puri di cuore.
Da questa storia impariamo a non dubitare quando veniamo a trovarci nella valle dell’ombra della morte e dobbiamo, in ogni situazione e circostanza, continuare a camminare con giustizia, rettitudine e verità; solo così possiamo vedere la gloria di Dio nella nostra vita.
Luisa Lanzarotta | notiziecristiane.com
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