Nella Prima Repubblica si parlava di politica andreottiana dei due forni, di alleanze a geometria variabile. Oggi, sfrontatamente, si parla, senza troppi giri di parole, di machiavellismo: il fine giustifica i mezzi. Costi quel che costi, quello che ho in mente di fare lo faccio con chi ci sta, senza preoccuparmi minimamente della coerenza ideale e della compattezza della mia coalizione. É vero, questo governo è nato in una condizione strana, in un clima quasi surreale, prodotto da un verdetto elettorale ibrido, quello delle elezioni politiche del febbraio 2013, che ci hanno consegnato un’Italia ingovernabile con tre competitors che, nelle urne, voto più voto meno, si sono pressoché equivalsi.
Renzi è stato molto scaltro nello sfruttare le incertezze e le debolezze del suo predecessore Enrico Letta e ha fatto leva sulle emergenze (innegabili) del Paese per andare a Palazzo Chigi e blindarsi in nome di un progetto riformatore, che è sì di portata storica, ma che andrà misurato alla prova dei fatti. Il premier anche nei giorni scorsi ha ripetuto con insistenza che soltanto con una vittoria al referendum confermativo della riforma del Senato resterà in sella, altrimenti si dimetterà e smetterà di fare politica. Quel referendum con ogni probabilità si terrà nel mese di ottobre, chiamerà alle urne gli italiani per farli esprimere sulla riforma del Senato, ma in realtà equivarrà a una consultazione popolare sull’azione di governo. Le riforme sono targate Renzi; se vinceranno i “sì”, sarà un sì alle sue scelte, se vinceranno i “no” sarà un modo per accompagnarlo alla porta e sfiduciarlo come inquilino di Palazzo Chigi.
Ma c’è da scommettere che il diretto interessato giocherà abilmente la partita. Sta già polarizzando lacontesa tra i suoi sostenitori e i suoi oppositori, vuole che ad aprile, con la probabile approvazione definitiva da parte dell’aula di Palazzo Madama, la riforma costituzionale che abolisce il bicameralismo paritario diventi la priorità del Paese. A quel punto la campagna elettorale sarà tutta incentrata sul referendum e anche le elezioni amministrative di giugno, che potrebbero non premiare il Pd e il centrosinistra, verrebbero vissute dal presidente del Consiglio come un semplice passaggio in cui limitare i danni per poi stappare champagne a ottobre quando i “sì”, nelle sue intenzioni, prevarranno sui “no” e determineranno il cambiamento dei capisaldi costituzionali della nostra democrazia parlamentare.
Ma proprio perché sembra questa la road map immaginata da Renzi, appare ancora più machiavellica e stucchevole la sua idea di far approvare a tutti i costi dal Parlamento la legge sulle unioni civili con chiunque ci stia, senza mediazioni con l’area cattolica, ben rappresentata anche nel suo partito. Di approvarla, cioè, anche andando a braccetto con chi sta già mobilitando l’opinione pubblica a sostegno del no al referendum costituzionale, con chi punta ad abolire il jobs act, con chi ostacola e rallenta in tutti i modi possibili, anche con l’arma dell’ostruzionismo parlamentare, ogni lodevole iniziativa del governo che vada nella direzione di una sburocratizzazione delle funzioni, di una liberalizzazione delle attività e di un ammodernamento dell’apparato statuale.
Il disegno di legge Cirinnà, lo abbiamo più volte sottolineato, nasconde il desiderio di ostentazione diquanti vorrebbero esibire il trofeo dell’approvazione pubblica, plateale ed eclatante di uno strumento normativo che in realtà non cambierebbe nella sostanza le cose. I diritti dei conviventi, anche omosessuali, ci sono già, mentre è contro natura e risponde a un’inaudita violenza al buon senso e alla storia del mondo il modello di equiparazione totale tra la famiglia, patrimonio dell’umanità, e i legami di altro tipo, contrassegnati statisticamente da una volatilità ancora maggiore rispetto a quella della famiglia stessa, peraltro già scossa innegabilmente da venti di crisi.
L’atteggiamento machiavellico di Palazzo Chigi sulle unioni civili rischia, dunque, di ritorcersi contro ilpremier, e di ghettizzarlo in un’area politica, culturale e ideologica, che su tanti altri temi gli è già assai ostile. E allora l’ex sindaco di Firenze rifletta su questo punto e si chieda se ne vale davvero la pena di fare una forzatura del genere su un provvedimento legislativo attinente a un argomento sensibile, non previsto nel programma del suo governo e non condiviso da figure importanti della maggioranza che lo sostiene.
di Ruben Razzante | Lanuovabq.it
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