Dalla vocazione famiglia alla vocazione di se

Alcuni dati statistici attestano che l’Italia è uno dei paesi più sviluppati con un alto tasso di famiglie con i figli grandi che permangono ancora in casa coi genitori. Sempre più persone, fino ad età inoltrata, permangono nell’ambiente della propria famiglia. E’ probabile che si intrecciano elementi sociali, mancanza di lavoro, studi prolungati, cultura della comodità ed elementi psicologici come responsabilità agli impegni e sfide della vita.

Gli elementi che emergono nello studio di queste situazioni riguardano le difficoltà a prendere la “propria strada” e trovano riscontro in quelle condizioni espresse dagli psicologi come simbiosi non risolte con le figure genitoriale familiari. La difficoltà a percepirsi capaci di essere autonomi fa sì che si rimane invischiati, nell’ambiente di casa senza mai superare, le barriere della crescita psicologica e spirituale propria. Si fa di tutto per tenere in vita il famoso cordone ombelicale e anche quando ci si allontana a distanze chilometriche, spesso si conserva un invisibile legame. Da un punto di vista delle considerazioni clinico psicologiche, persone invischiate nella non differenziazione, sono quelle che pretendono, come fossero bambini; sono quelle che si arrabbiano con i familiari ad ogni futile motivo; sono quelle che nonostante l’età avanzata dei propri genitori vorrebbero in loro il cambiamento. Di base, in queste persone emerge una condizione psicologica di desiderio di attenzione. Una immaturità quasi infantile. Ci sono persone che pur avendo costruito fisicamente una nuova famiglia ripropongono gli stessi modelli e vogliono che i propri figli siano come sono stati loro nella propria famiglia di origine; oppure vogliono, inconsciamente, che il partner sia come è stato suo padre o sua madre. Ricordo della richiesta fattami da un uomo che si lamentava con la moglie perché non cucinava come la mamma. Pur esaltando le qualità culinarie della moglie manifestava un disappunto e un paragone con i pasti del passato. Alla lunga provocando quel clima di ansia nella partner il rapporto era entrato in conflitto. Senza che ne siamo consapevoli si rimane ancorati a quella che lo psicoanalista S. Freud (1985) ha descritto come conflittualità edipica1. Apparentemente cresciuti cronologicamente, interiormente però conserviamo sempre attivo un’ immagine fanciullesca e dipendente. Di qui si comprende come la crescita umana è caratterizzata su tre livelli; quella fisica, quella psicologica e quella spirituale. Senza tale comprensione la nostra vita rimane ancorata al passato, senza evoluzione e realizzazione di se. Nel significato Biblico di Dio che parla ad Abramo (genesi 12, 1-20) si esprime il senso e il significato della crescita psicologica e spirituale; Dio parla ad Abramo e gli ordina di lasciare la sua terra, la terra di origine per dirigersi nella terra da Dio stesso indicato: «Il Signore disse ad Abram: «Vàttene dal tuo paese, dalla tua patria e dalla casa di tuo padre, verso il paese che io ti indicherò».

Per questo compito Dio gli assicura Tre promesse: «Farò di te un grande popolo e ti benedirò, renderò grande il tuo nome e diventerai una benedizione. Benedirò coloro che ti benediranno e coloro che ti malediranno maledirò e in te si diranno benedette tutte le famiglie della terra».

Un particolare da non sottovalutare è che al momento del compito Abram, ha circa 75 anni ma tredici anni più tardi, dal raggiungimento della nuova terra e dall’allontanamento della famiglia di origine, dopo il compito e la missione eseguita: «Allora Abram partì, come gli aveva ordinato il Signore, e con lui partì Lot. Abram aveva settantacinque anni quando lasciò Carran». Abram vive un cambiamento, una evoluzione interiore per la fede mostrata e l’impegno mantenuto: «Non ti chiamerai più Abram ma ti chiamerai Abraham perché padre di una moltitudine di popoli» (Genesi, 17,4). Come si legge il nome da אַבְרָם (“Avràm”, traslitterato solitamente con “Abram”) in אַבְרָהָם (“Avrahàm”, traslitterato solitamente con “Abramo”) e quello di sua moglie Sarai in Sara. Il cambiamento dei nomi realizza il cambiamento avvenuto per quel coraggio di seguire con fede la propria strada indicata da Dio, pur costando l’allontanarsi da casa.

Costruire una propria famiglia è una vocazione e come ogni vocazione che si rispetti richiede quel coraggio di mantenere fede ad una promessa (P. Riccardi 2013), in linguaggio psicologico e spirituale significa sapere attuare con maturità interiore quei cambiamenti rispetto al passato per non restare ancorati simbioticamente ad essi. La crescita umana presuppone separazione, come suggerito da Dio ad Abram. Ma ogni separazione fatta con maturità e fede non è mai vana tanto è vero che Abram si trasforma in Abramo, Sarai in Sara, da sterile partorisce. Attenzione, crescita non significa rinnegamento. Molte delle paure che ostacolano la nostra evoluzione sono nella confusione che facciamo dei concetti. Per esempio, pensare diversamente da mia madre e da mio padre non significa rinnegare quanto mi hanno insegnato; opinare il loro antico senso di educazione, a volte non significa far crollare ogni antico origine educativo, ma a volte significa leggerlo come non contestuale al momento presente. Il più delle volte si rimane ancorati in un legame simbiotico senza esserne del tutto consapevoli ma tante altre volte ci è comodi rimanerci in essi pur rischiando il proprio equilibrio psichico proveniente spesso da tessuti familiari malsani. Molte volte sono le stesse paure genitoriali che per garantirsi un valore e non affrontare la sindrome del nido vuoto, accudiscono e forniscono protezione fin troppo esagerate e quel figlio rimane ancorato al passato senza compiere quel passaggio affrontato da Abramo e suggerito da Dio di allontanarsi da casa per un progetto di fede nuova. Lo psichiatra esistenziale, Ronald Laing, affermava che i genitori attribuiscono un ruolo al figlio complementare alle proprie paure. Ad esempio il genitore che non ha risolto le paure della separazione non tollera di buon grado, inconsciamente, la differenziazione del figlio temendone il distacco. Il rischio è di attribuire al figlio l’incapacità di cavarsela da solo, così sarà dipendente. Dio che è amore non teme questo e ad Abram gli dà fiducia. Oppure il genitore che non è riuscito nella vita attribuirà al figlio la stessa incapacità solo per non vedersi superato. “Non v’è nulla che abbia un influsso psichico più forte sull’ambiente circostante, e in special modo sui figli, che la vita non vissuta dei genitori” (C.G.Jung, 1929, p.6). Ed è questo un monito per i genitori o per quanti si apprestano al delicato compito di esserlo; pardon per quanti scelgono la vocazione dell’essere genitori, perché una vocazione alla famiglia non vi può essere se non vi è una vocazione all’essere genitore (P. Riccardi 2013). E ogni genitore deve attivarsi ad essere educatore e lasciare che il figlio sia come le frecce in mano all’arciere. Questi mira il bersaglio ma la freccia vi arriva da solo (Gibran, 2016). Nella parabola di Gesù dodicenne quando non viene trovato da Maria e Giuseppe, per tre giorni si è allontanato dai suoi poiché era presso il tempio, si ravvisano gli estremi della differenziazione e della crescita familiare. Gesù afferma di doversi interessare delle cose del padre, di qualità spirituali, e non rinnega la sua famiglia, i suoi genitori con le loro preoccupazioni tanto è vero che dal racconto non vi è separazione, ma differenziazione di pensiero. Difatti i tre se ne ritornano in silenzio insieme. Si legge: «……, trascorsi i giorni della festa, mentre riprendevano la via del ritorno, il fanciullo rimase a Gerusalemme senza che i genitori se ne accorgessero. ……. Dopo tre giorni lo trovarono nel Tempio, …… al vederlo restarono stupiti e sua Madre gli disse: “Figlio, perché ci hai fatto questo? Ecco, tuo padre e io ti cercavamo angosciati”. Ed egli rispose: “Perché mi cercavate? Non sapevate che io devo occuparmi delle cose del Padre mio?” Ma essi non compresero ciò che aveva detto loro. Scese dunque con loro e venne a Nazaret e stava loro sottomesso. Sua Madre custodiva tutti questi fatti nel suo cuore. E Gesù cresceva in sapienza, età e grazia davanti a Dio e agli uomini». Lc 2, 41-50

La vita chiama ognuno ad evolversi e ognuno è chiamato a dare risposta. Solo così la vita si vive all’insegna della vocazione famiglia e di se.

Bibliografia

Freud S, Totem e tabù Editore: Bollati Boringhieri 1985

Gibran, Il profeta, ed Feltrinelli 2016

Jung, Ricordi, Sogni, Riflessione, ed Mondadori 1929

P. Riccardi, Ogni vita è una vocazione; per un ritrovato beneseere, ed. Cittadella 2013

1 Concetto utilizzato da Freud per spiegare la maturazione del bambino attraverso l’identificazione col genitore del proprio sesso e il desiderio nei confronti del genitore del sesso opposto. Totem e tabù Sigmund Freud Editore: Bollati Boringhieri 1985

Pasquale Riccardi | Notiziecristiane.com


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