Nelle scienze della salute mentale si fa sempre più un gran parlare della relazione. La relazione che cura, che guarisce, che sana, la relazione di transfert e controtransfert tra cliente e professionista, del medico con il suo paziente. Nelle scienze sociali altrettanto si assume la relazione come potente collante di unione; la relazione tra i soci, tra lavoratori, di una comunità, di una famiglia. Sebbene la relazione sia l’espressione visibile, tangibile del legame comportamentale tra due o più persone ha al suo interno il concetto cuore di essa: L’intimità quale un’esigenza irrinunciabile dell’amore autentico (vedi di P. Riccardi “La recita dell’intimità” 23 marzo 2018 in notiziecristiane.com). Se il termine relazione deriva dal latino religare, ovvero, legare insieme per un intento in comune, diversamente la parola intimità. Rel-azione ha la stessa componente di rel-igione e in quanto tale possiamo affermare che si può avere in comune un’idea, un postulato, si può essere legati, in comunicazione, in rapporto ma mai entrare in intimità con l’altro. In ambito psicologico psicoterapeutico capita che due persone strutturino una relazione tra il terapeuta e il cliente, ma accade anche che tra di loro, uno dice di se e l’altro ascolta empaticamente, allo scopo di far sentire compreso l’altro. Una strategia che non contempla l’intimità. Da psicoterapeuta non posso dimenticare di un caso di una persona che dopo anni di consultazioni con il suo analista, alla vista dello stesso con la sua famiglia, vi fu un grande sconforto. Sono passati molti anni e sempre mi sono chiesto quale grado di intimità avessero stretto i due, sebbene, ricordo che l’analista provenisse da una impostazione ortodossa psicoanalitica. Ci sono molte scuole di pensiero psicologico dove si afferma, inconsapevolmente, il principio della unilateralità della relazione. Potremmo sintetizzare, seppure banalmente, in questo modo: “Tu parli, io ti ascolto e dico di te”. Sì, questa è una relazione dove due persone sono legate intorno ad uno stesso intento; la cura, la credenza in alcune convinzioni, il fare psicoterapia, counseling ecc… Il rischio è che si perde l’elemento fondante della relazione: l’intimità. La parola intimità, infatti, deriva dal latino “intimus” che vuol dire dal latino molto addentro, in profondità e il cui accesso è riservato non a tutti, sebbene ve ne sia una intenzione. Da formatore psicoterapeuta incontro molti giovani che si apprestano a questa professione senza indagare se quella persona che ci sta di fronte ci dà il permesso di entrare nella sua intimità e noi diamo ad essa lo stesso permesso, perché il tutto deve essere bilaterale. Non basta avere e possedere tecniche di comunicazione ma avere capacità di stare in intimità. L’intimità, e non la relazione, è il luogo segreto di ognuno e il cui accesso è riservato a pochi, «Poiché molti sono i chiamati, ma pochi gli eletti» (Matteo 22, 14). Nella parabola delle nozze Gesù racconta del re che fa chiamare gli invitati per le nozze del figlio e questi non accolgono l’invito. Parabola che serve a delineare il regno dell’amore, inteso anche nell’espressione dell’intimità delle nozze: «Il regno dei cieli è simile a un re, il quale fece le nozze di suo figlio. Mandò i suoi servi a chiamare gli invitati alle nozze; ma questi non vollero venire.……… ……. Poiché molti sono i chiamati, ma pochi gli eletti» (Matteo 22,1-14). Oggi viviamo di molte relazioni, scegliamo tante relazioni, ma poi manca l’elemento salvifico di essa, l’intimità. Non è la prossimità fisica, il tempo della continuità che sancisce l’intimità. Vi sono presone strette in un rapporto di partner, di famiglia, di amicizie, che vivono gomito a gomito eppure non sono aperti nella propria intimità benché ci si relaziona convenientemente. L’intimità fa paura perché ci rivela all’altro nella propria interezza di essere con le proprie ansie e preoccupazioni con le proprie fragilità di cui non vogliamo vedere né in noi né nell’altro. Simile ai discepoli di Gesù, quando nel ritiro in preghiera nell’orto degli ulivi si addormentano e lasciano solo Gesù a pregare: «Poi, rialzatosi dalla preghiera, andò dai discepoli e li trovò che dormivano per la tristezza. E disse loro: «Perché dormite? Alzatevi e pregate, per non entrare in tentazione» (Luca. 22, 46). L’intimità è un processo sia interpersonale che intrapsichico, pertanto non vi può essere relazione intima se non si entra prima nella propria intimità: «ama il prossimo tuo come te stesso» (Matteo 22,40). Molte fallimenti di coppia derivano dal tentativo di stabilire una buona relazione senza entrare mai in intimità, forse perché questa intimità conserva ancora le ferite a cui l’io si difende nella costruzione di una relazione fatta di comunicazione efficace, di pseudorispetto, di pseudo amore.
Non è un caso che per lo psichiatra Eric Berne (1910-1970), molta della patologia relazionale serve ad evitare l’intimità. Affinché la nostra psiche si mantenga in equilibrio, essa deve soddisfare dei bisogni esistenziali di base, che lo psichiatra Berne chiama “fami” tra questi rientra quello della intimità INTIMITA’ spazio in cui possiamo esprimere, mostrarci all’altro per quello che si è, in un contesto bilaterale, senza recitare un ruolo L’Intimità si configura come un confronto profondo e coraggio nel mostrarsi nelle proprie forze e soprattutto le proprie debolezze. Oggi ci si vuole sempre più mostrare nelle proprie forze oscurando le proprie fragilità paradossalmente è nella ammissione delle proprie fragilità la forza.
Pasquale Riccardi | Notiziecristiane.com
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