DAL GREMBO MATERNO ALLA SCHIAVITÙ DELLA VIOLENZA “ UNA DONNA SI RACCONTA “

Probabilmente la lettura della seguente espressione risulterà per molti incomprensibile se non addirittura inaccettabile, specie per coloro che ancora oggi considerano la donna un essere da sottomettere alle proprie melliflue voglie o ai propri dissacranti desideri.

Non sono più una ragazzina e chi ha avuto modo di scambiare confidenzialmente quattro chiacchiere con la sottoscritta ha potuto percepire che in veste di donna per volontà divina, ha percorso angustie strade nelle diverse relazioni personali: professionale, accademico, amicale, famigliare.

Ogni area ha prodotto delusioni, rabbia, frustrazione e spesso vergogna per non aver compreso anzitempo il dramma che da lì a poco si sarebbe consumato. Ho provato sentimenti di vendetta o perlomeno desiderio di veder capitolare fragorosamente l’autore della delusione, ma poi i sentimenti negativi svanivano come neve al sole perché incapace della rivincita o perché in cuor mio ho sempre temuto la vendetta dell’Essere Superiore. Oggi ringrazio Dio per avermi mantenuta ferma, solo Lui poteva fermare la mia volontà e solo Lui poteva salvarmi e la Sua mano mi ha tratto diverse volte da un’inesorabilmente via di distruzione.

Mi sono sempre vergognata delle mie origini e di appartenere alla famiglia genitoriale da cui sono conseguite tante sventure. Ancora oggi, benché sia una donna dal forte carattere battagliero, provo timore di ciò che potrei svelare o addirittura ammettere. Alcune volte ho tentato di emergere in alcuni contesti e ci sono riuscita laddove non ebbi necessità di mettere a nudo la mia vera identità. In molti altri casi ho preferito rinunciare giustificando con rigorosa valutazione finale: “Tanto non capirebbero, fatica sprecata!”

Sono certa di non esser l’unico essere femminile ad aver subito abusi, violenze e persecuzioni e consapevolmente dobbiamo ammettere che ciò continuerà ad accadere per sempre, fintanto al ritorno del Signore. Ciò non significa che dobbiamo attendere a braccia conserte che arrivi a liberarci il Principe della Pace ma attivarci e rimboccarci le maniche per cercare di arginare la piaga seguendo gli insegnamenti biblici e la guida dello Spirito Santo.

Sono grata a chi cerca  di affrontare gli argomenti  cercando di sensibilizzare sopratutto i più giovani, spesso vittime loro stessi di atti vili legati al bullismo e alla gratuita disumanità.

Diventa difficile trattare un argomento specifico, perché a mio avviso metteremmo in risalto un aspetto dando meno evidenza ad altri. Quindi quale vittima di molti maltrattamenti scelgo di addentrare  la tematica della “Violenza femminile” dalla prospettiva biblica.

Quotidianamente veniamo colpiti dalle notizie di attualità funeste quali stupri, abusi contro le donne e i bambini, una catastrofe violenta, le cui entità raggiungono aumenti esponenziali

Ma cosa significa l’espressione: “violenza contro le donne?”

La violenza sulle donne, così come definita nella Dichiarazione per l’Eliminazione della Violenza sulle Donne emanata dalle Nazioni Unite nel 1993, è “qualunque atto di violenza sessista che produca, o possa produrre, danni o sofferenze fisiche, sessuali o psicologiche, ivi compresa la minaccia di tali atti, la coercizione o privazione arbitraria della libertà, sia nella vita pubblica che nella vita privata È una violenza che si annida nello squilibrio relazionale tra i sessi e nel desiderio di controllo e di possesso da parte del genere maschile sul femminile.”

Ma proprio e solo così? La risposta è decisamente negativa in quanto chi ha formulato la Dichiarazione non ha aggiunto “coloro che assoggettate mediante il traffico criminale allo scopo di lucro, al fine di permettere ai propri aguzzini di realizzare illeciti guadagni”.

Inutile rimarcare che dai dati pervenuti, sono molte le donne che soffrono a causa della violenza, e le conseguenze assumendo proporzioni devastanti per la propria salute fisica e psicologica che producono: depressione, perdita di fiducia e di autostima, sensazioni di impotenza, disturbi del sonno, ansia, difficoltà di concentrazione, dolori ricorrenti in diverse parti del corpo, difficoltà nel gestire il ruolo di genitore, di moglie, di lavoratrice e spesso nel loro immaginario ricercano ed abbracciano idee di suicidio e di autolesionismo. Spesso all’interno della vittima vi è una sofferenza omertosa e il più delle volte le donne scelgono di coprire e rinunciano a denunciare per paura di provocare altre violenze ben peggiori o per il timore di non risultare credibili perché l’aguzzino è un esponente in vista o ricopre ruoli importanti nella società e la donna potrebbe essere colpevolizzata di aver istigato il comportamento criminale con il proprio atteggiamento o con il proprio abbigliamento, per cui la vittima viene accusata del reato stesso.

Ma come erano considerate le donne al tempo di Gesù?

Gesù non si è mai espresso apertamente sulle condizione femminile benché nel contesto storico la donna viveva in una condizione di profonda sottomissione ed inferiorità. La donna veniva data in sposa senza il proprio consenso ed era ritenuta una serie di propaggine, una proprietà del marito che comunque doveva assicurare il mantenimento pur vivendo una condizione minoritaria sociale e giuridica. Le donne non mangiavano e non pregavano con gli uomini ed era ritenuto sconveniente parlare con una donna in pubblico e ancor più disonorevole ella poteva essere ripudiata dal marito senza alcuna difficoltà. Le donne avevano l’obbligo di conoscere le scritture perché a loro era affidato il compito di educare i figli alla fede e a spronare il marito ad osservare le prescrizioni mosaiche. Da notare che la donna era ritenuta una signora nelle propria casa e in ciò l’uomo dipendeva tutto da lei, essa quindi era indispensabile esattamente come tutti i tempi in tutte le culture del mondo. L’uomo ha sempre cercato di relegare la donna fra le mura domestiche giustificando con malizie e pregiudizi atavici, riferiti alle origini del peccato, nonché fulcro di ogni tentazione e di impurità. Ciononostante nelle Sacre Scritture emergono splendidi elogi nei confronti di figure femminili a cui sono riconosciute azioni di coraggio, generosità, spirito di sacrificio, bontà d’animo, saggezza (Maria, Marta, Debora, Ester… etc).

Gesù non si interpone fra il passato della tradizione ebraica ed i pregiudizi sulle donne ma torna alle origini per spiegare il senso ontologico della creatura femminile e del rapporto uomo donna. Egli è la Parola del Padre e come tale spiega il disegno originario della creazione di pari dignità, (maschio e femmina Dio li creò, cioè a Sua immagine e somiglianza).

In Matteo 19:4-6 Gesù riporta il testo biblico di Genesi e riprende il fondamento originale, essa è stata creata da Dio con una diversità relazionale data dalla sua sessualità. Il progetto che tramite la peculiarità corporale possa entrare in relazione d’amore, possibile fra donna e uomo. Esplicitamente la donna posta accanto, un aiuto che gli sia simile; nella traduzione letterale “gli stia di fronte” (ciò richiama la totale reciprocità e pari dignità dei due sessi; quindi un dono, che l’uomo riceve da Dio con gratitudine e gioia), l’uomo non si realizza; ma in essa l’uomo scorge l’identità con la propria natura e al tempo stesso quella diversità-limite che gli consente di mettersi in relazione con lei, per quello che a lui manca per essere veramente e pienamente se stesso. La diversità non è mai intesa come inferiorità, ma come ricchezza che apre alla comunione.

Notiamo indagando il Vangelo numerosi miracoli operati da Gesù nei confronti delle donne: la guarigione della suocera di Pietro, la donna dal flusso di sangue (la sua condizione di salute la rendeva impura) della figlia di Iairo, del figlio della vedova di Naim, ecc.

Inoltre, benché fosse precluso alle donne ogni ruolo nella vita pubblica, Gesù accetta al suo seguito, durante la sua missione apostolica, diverse donne che lo accompagnano e lo sostengono economicamente. Istruttivi e conducono a meditazione i dialoghi che il Vangelo ci illustra di Gesù con le donne: Gesù a Betania si sofferma con Marta e Maria ed è contento che quest’ultima si fermi ad ascoltare i suoi insegnamenti. Gesù accoglie la peccatrice pentita che bagna con le sue lacrime i suoi piedi, entrando ad un banchetto dove solo gli uomini erano ammessi; e ne loda l’amore di pentimento che le permette di ricevere la salvezza.

Commovente e veramente toccante è il dialogo di Gesù con la samaritana cui Egli rivela chiaramente la Salvezza, infrangendo molti tabù dell’epoca (tant’è che gli stessi apostoli vedendo che parlava con una donna, per di più Samaritana, si meravigliarono). E che dire dell’episodio in cui Gesù, di fronte alla violenza legalistica degli ebrei pronti a punire lapidando l’adultera? Gesù contestualmente, sana quella donna dalla profonda ferita che la sua condizione sociale e morale le aveva irrimediabilmente inflitto, donando il perdono di Dio, esortandola a una nuova vita “va’ e non peccare più”.

Il Signore non disdegna neppure di parlare confidenzialmente con donne pagane, sempre su discorsi teologici (alla donna Cananea) elogiandone la fede e mostrando anche qui come la salvezza è per tutti (Paolo scrive… “con Cristo non c’è più giudeo né greco, né schiavo né libero né uomo né donna”).

E che dire del fatto che proprio alle donne Cristo ha affidato il messaggio della Risurrezione apparendo a loro per prime e dando loro il compito di riferirlo agli apostoli?

Dio affida alla donna e all’uomo, secondo le proprie peculiarità, una specifica vocazione e missione nella Chiesa e nel mondo. Penso alla famiglia, comunità di amore aperto alla vita, cellula fondamentale della società, ed è necessario che anche alla donna sia reso possibile collaborare alla costruzione della società, valorizzando il suo tipico “genio femminile”.

COME INTERVENIRE PER CONTRASTARE IL FENOMENO DELLA VIOLENZA?

Prima di proporre, dobbiamo necessariamente prendere coscienza un elemento fondamentale: il comune denominatore che include le violenze nella sua eterogeneità nella mancanza di un valore essenziale, “IL RISPETTO”.

Il rispetto non è un optional è un dovere di responsabilità umana e civile, è un insegnamento racchiuso nei comandamenti, è una regola indispensabile nella vita cristiana e mondana, è lo step della crescita per il raggiungimento della maturità individuale. Durante la mia personale persecuzione, quando vivere assunse forme insopportabile mi rivolsi ad un centro antiviolenza ma le mie speranze svanirono mentre l’idiosincrasia metteva radici nella mia psiche. Mi trovai dinnanzi a persone disinteressate e disinformate, asettiche. Volontarie concentrate sull’ orario di chiusura dell’ufficio della pausa pranzo. Incuranti del dramma che quotidianamente logorava mio figlio e me. Mi illusi di aver trovato un’oasi e forse avremmo potuto essere aiutati ma solo dopo il mio sfogo compresi che raccontando fornii a loro la possibilità di scorgere solo la punta dell’iceberg. Molte donne scelgono di divenire volontarie e spesso mi sono domandata le ragioni di tale scelta ma senza alcun giudizio, posso affermare che solo chi è stata vittima può arrivare al cuore delle abusate comprendendo l’entità del sopruso ma soprattutto i traumi, le conseguenze, la scelta di annullarsi.

Una donna abusata ha necessità di farsi ascoltare, di urlare, di piangere di far esplodere il vulcano che è dentro di lei, altrimenti implodendo può rovinosamente degenerare su se stessa e spesso sui propri figli. Ognuno di noi si chieda quanto abbiamo contribuito alla cultura del silenzio? Siamo in grado di ascoltare e assumerne i drammi?

Noi donne cristiane possiamo mettere in azione diversi impegni comuni, oltre a vedere, denunciare, solidarizzare, accogliere, difendere, pregare possiamo educare tramite la riflessione della natura violenta. Risulterebbe proficuo promuovere convegni, seminari, studi non solo all’interno delle chiese locali ma presso comuni, scuole, aziende, istituti governativi.

Sensibilizzare tramite video, testi, testimonianze mettendo allo scoperto non solo i drammi fisici ma le ferite psicologiche e quali testimoni inappellabili se non le vittime stesse?

Allestire rappresentazioni teatrali, documentari, film, divulgare libri e foto in modo tale da far emergere la brutalità e da sensibilizzare un’ indifferenza egoista o un pietismo compassionevole che si arresta e scompare subito dopo il termine della testimonianza o denuncia.

Altrettanto importante una linea telefonica non stop, “ numero rosso” destinato solo e soltanto alla violenza femminile (e ciò amplierebbe il campo anche ai bambini abusati) in collegamento con forze dell’ordine, con pronto soccorso, assistenza, legale, consulenza psicologica etc…

Inoltre risulterebbe proficuo allestire un luogo asettico e neutrale di riconciliazione, di attivazione di processi fra carnefice e vittime. Può risultare rischioso ma estremamente cristiano (2 Corinti 5). Ovviamente la prima condizione è la verità da entrambi le parti. Noi non siamo giudici ma sacerdoti di Dio e come tali impegnati a portare pace e guarigione tramite lo Spirito Santo. La riconciliazione non è un colpo di spugna sul passato: ma necessariamente una ricostruzione della verità, senza confusione di responsabilità, senza nascondimenti, neppure degli aspetti più dolorosi o scabrosi. Senza imposizioni per la ricostruzione di una vita comune, sarà il Signore a operare secondo la propria volontà (ovviamente riferiti ai casi dove si consumano le violenze domestiche).

Certamente tutte queste attività sono svolte da molte associazioni ma ciò non toglie che noi “figliole di Dio” non dobbiamo allargare il nostra raggio d’azione e potenziare il messaggio di salvezza e la conquista delle anime tramite i nostri impegni. Non sottovalutiamo le armi che Dio ha fornito ad ognuna di noi, ( 2 Co 10:3-5 ) e gli interventi da mettere in campo, impongono una risposta ad indossare non soltanto “scarpe rosse “ bensì a calarci nei panni della nostra stessa umanità: delle nostre sorelle e delle donne in genere.

A tal proposito, dopo una riflessiva meditazione contemporaneamente alla stretta relazione con Dio, scriverò una raccolta di quarant’anni di abusi, percosse, violenze fisiche e psicologiche. So che non sarà facile e risulterà imperdonabile specie da parte dei miei famigliari, ma se ciò può essere considerato uno strumento di aiuto, di stimolo al coraggio, ebbene desidero essere uno strumento nelle mani di Dio per indirizzare ad una nuova rinascita altre vittime.

Conclusione

Sul piano pastorale la Chiesa e tutti noi siamo chiamati a rendere più efficace il nostro operato mediante una testimonianza universale, la collaborazione sincera con gli organismi, governativi e non governativi, a livello azionale e internazionale, che aiutano a difendere e a promuovere i diritti dell’uomo.

Lella francese


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