Oggi e domani la Commissione Giustizia del Senato tornerà a parlare dei provvedimenti di clemenza, indulto e amnistia, con i quali il Parlamento condona o commuta parte della pena per i reati commessi da chi sta scontando una condanna. Per approvarlo ci sarà bisogno della maggioranza dei due terzi dei componenti della Camera e del Senato e i ddl in discussione dovrebbero confluire in un testo unificato. Anche se la differenza è sostanziale – l’indulto estingue la pena principale (e non quelle accessorie, per esempio) mentre l’amnistia estingue il reato – entrambe possono contribuire in modo efficace a ridurre la sovrappopolazione cronica delle carceri italiane, che comunque è migliorata rispetto agli anni scorsi. A tal proposito è interessante la notizia della volontà dei Paesi Bassi di chiudere cinque centri di detenzione inutilizzati, a causa della riduzione del tasso di criminalità e di un oculata gestione delle misure di pena alternative. Ne parliamo con Francesco Sciotto, della commissione Carceri e Giustizia della Federazione delle Chiese Evangeliche in Italia.
Quello su indulto e amnistia è davvero un testo atteso che darà una svolta?
«Si, diciamo subito che siamo di fronte a una fase preliminare della discussione. Bisognerà capire se da queste audizioni della Commissione Giustizia del Senato verrà fuori un testo unico e se si tratterà di un provvedimento di indulto o di amnistia. In Italia ci sono poco più di 40 mila posti, allo stato attuale abbiamo circa 51 mila detenuti: prima della sentenza Torreggiani (che nel 2013 ha condannato l’Italia per la violazione dell’art. 3 della Convenzione europea dei diritti umani per trattamenti inumani o degradanti sui detenuti, ndr) eravamo arrivati a 70 mila persone».
Quindi il problema del sovraffollamento è ancora una costante del sistema?
«È un problema atavico del nostro sistema penale, fanno bene anche i sindacati della polizia penitenziaria a ricordarlo sempre, perché il carcere è anche un luogo di lavoro. La maggior parte delle persone che lavorano in carcere capisce che i provvedimenti che permettono una pena più dignitosa sono utili anche agli operatori. Sicuramente i provvedimenti di clemenza aiutano, ma bisogna sfatare un mito: si dice sempre che quando vengono attuati, dopo qualche giorno le persone saranno nuovamente in carcere. Questo è falso, lo dicono i dati. L’ultimo indulto, nel 2006, ha dimostrato che nei successivi 5 anni solo il 33% delle persone sono ritornate in cella: siamo alla metà del consueto tasso di recidiva in Italia, che è del 68%. Questo significa che il maggior elemento criminogeno in Italia è il carcere: chi crea più recidiva è il carcere. L’esperienza delle carceri olandesi è esemplare: le carceri stanno chiudendo. Questo perché si è avviato un processo fatto di anni di investimento sulle pene alternative e sull’abbattimento della recidiva. Le misure permettono al reo di reinserirsi sul territorio e di non continuare a commettere atti criminali alla fine della pena, pur avendo una punizione certa. Il tasso di recidiva è molto basso e le carceri quasi vuote. Anche qui occorre investire sulle misure alternative».
Dunque i provvedimenti di clemenza risolvono, ma non da soli
«Recentemente il governo italiano si è mosso in modo positivo. Ha pensato di allungare i tempi per le misure alternative: una volta si passavano fuori 45 giorni ogni sei mesi di pena, oggi sono diventati 75 giorni. Sconti di pena che però hanno bisogno di veder riempito quel tempo con qualcosa di utile, investendo sull’esecuzione penale esterna e nella risocializzazione dei detenuti: se si pensa solo di svuotare le carceri non si risolve il problema. Con l’indulto e l’amnistia non si svuotano le carceri, si permette di uscire prima a chi sta dentro. Le pene non esistono perché esistono i reati, le pene esistono perché esiste lo Stato. Se lo Stato non è capace di dare una pena dignitosa alle persone in maniera seria, a volte è obbligato ad abdicare alla propria funzione.
Gli strumenti per “farlo bene” ci sono già?
«In Italia abbiamo alcune tra le migliori norme ma il problema è l’applicazione. Per esempio, parlando di chiese: negli anni scorsi con la Diaconia Valdese e il Centro Diaconale la Noce di Palermo abbiamo avviato dei progetti per ospitare persone in misure alternative. Potremmo dire che fatichiamo a riempire queste strutture, finanziate dall’8x mille, perché le norme ci sono ma la magistratura e l’amministrazione hanno una certa resistenza a dotarsi degli strumenti. A quel punto è inutile avere uno strumento normativo se non se ne fa uso: è una questione di cultura ancor prima che di norma».
Foto: By Aldo Ardetti – Own work, CC BY-SA 3.0, https://commons.wikimedia.org/w/index.php?curid=4903643
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