Circa 200 milioni di cristiani sarebbero vittime di intimidazioni, discriminazioni, violenze.
(Henri Tincq) Spesso sfruttata per ragioni identitarie e comunitarie, la rivelazione di “discriminazioni anticristiane” ha impiegato molto tempo a commuovere la comunità internazionale. Le si controbatteva, molte volte legittimamente, che i cristiani non hanno il monopolio della sofferenza religiosa. Che altre comunità, come i buddisti tibetani e i musulmani moderati in molti regimi arabi, sono anch’essi quotidianamente perseguitati. E che il cristianesimo – dalle crociate all’Inquisizione, dalle conversioni forzate nelle Americhe ai pogrom anti-ebraici dell’Europa dell’est – è stata la religione più persecutrice della storia.
Ma oggi, senza abusare del termine “cristianofobia”, le intimidazioni e le violenze anticristiane sono ormai un’evidenza.
La religione più perseguitata
Quest’estate, il mondo ha seguito con spavento la sorte tragica dei cristiani iracheni, quelli di Mossul e della piana di Ninive, dove tuttavia la loro presenza era di molto anteriore a quella dell’islam, ma che sono braccati nel loro paese, espulsi dalla loro casa dagli islamisti fanatici dell’Is (o Daech), per il solo fatto di essere cristiani. Ugualmente, nell’Africa subsahariana, in Nigeria, in Sudan, ma anche in Congo e in molti altri paesi del continente nero, non si contano più le chiese attaccate e incendiate, i preti e i religiosi minacciati, rapiti, scomparsi o assassinati.
A riassumere il quadro allarmante della persecuzione dei cristiani, esce – tradotto in varie lingue – un libro accusatorio di 800 pagine, (Il libro nero della condizione dei cristiani nel mondo), scritto da più di 70 persone di vari paesi (storici, esperti, giornalisti, religiosi, rappresentanti di ong), che riporta cifre, testimonianze e analisi sconvolgenti.
Secondo il censimento fatto dagli autori, da 150 a 200 milioni di cristiani sono attualmente discriminati in circa 140 paesi e la religione cristiana appare come la più perseguitata al mondo.
La fine dei cristiani d’Oriente
Ecco qualche esempio. Prima della guerra del Golfo del 1991, l’Iraq contava un milione e mezzo di cristiani. Dopo l’intervento americano-britannico del 2013 e il caos che è seguito alla caduta di Saddam Hussein, poi la crescita di Al Qaeda e dell’IS, sono solo circa 200 000 nella culla orientale del cristianesimo. Ma tutt’attorno all’Iraq, da decenni, i cristiani siriani, copti (Egitto), iraniani, palestinesi sono altrettanto destabilizzati, oppressi, isolati dai conflitti, dalle rivoluzioni, dalle guerre civili, dalla crescita degli estremismi.
In Africa, è la setta islamista Boko Aram, tragico avatar dei talebani, che vuole evacuare da tutta la Nigeria settentrionale la sua popolazione cristiana. Villaggi interi vengono massacrati e le violenze avrebbero fatto più di 3000 morti in cinque anni. Un altro grande paese, il Sudan, continua a scontare una guerra civile che è durata trentacinque anni e che ha provocato due milioni di morti musulmani e cristiani. Dopo la secessione del sud cristiano e animista (diventato nel 2011 il Sudan del Sud), centinaia di migliaia di cristiani, che avevano trovato rifugio al nord durante la guerra, sono stati espulsi. Le chiese e i seminari sono stati chiusi, le congregazioni religiose sono fuggite, annunciando la fine di ogni presenza cristiana in quel paese.
In India, è l’estremismo induista a rappresentare la principale minaccia. La minoranza cristiana di quel paese rappresenta soltanto il 2,5% della popolazione, ma è accusata dai militanti radicali del BJP (Bharatiya Janata Party) di “convertire” gli indù negli ospedali, nelle scuole, nelle università dove è molto presente e attiva. Dei veri e propri pogrom sono avvenuti nello Stato dell’Orissa nel 2008, dove hanno provocato 500 morti, migliaia di feriti e centinaia di chiese e di scuole distrutte. Da allora, le azioni anticristiane – profanazione di cimiteri, imposizione di riti indù nelle scuole – proseguono in un paese in cui il partito induista BJP ha da poco vinto le elezioni generali.
Le chiese del silenzio in Cina
Non è l’intolleranza religiosa, ma l’ateismo di Stato a spiegare la persecuzione dei cristiani condotta in Corea del Nord dove protestanti evangelici, venuti dal Sud, vengono regolarmente arrestati ed imprigionati, e soprattutto in Cina dove il controllo del potere politico sulle Chiese protestanti e cattoliche è tanto più potente in quanto il cristianesimo si impone, nella competizione ideologica, come fattore di seduzione presso giovani, universitari, intellettuali. La repressione fisica, la manipolazione delle coscienze sono la sorte comune di comunità cristiane private di ogni attività sociale ed educativa.
I protestanti cinesi sarebbero circa 30 milioni, raggruppati in “chiese domestiche”, strettamente sorvegliate dalla polizia del regime, temute come fermenti di contestazione sociale e regolarmente chiuse. Quanto ai cattolici (da 12 a 24 milioni), la loro Chiesa resta divisa in due: una Chiesa “ufficiale”, dipendente dall’Associazione patriottica dei cattolici di Cina, e la Chiesa “clandestina”, di assoluta obbedienza al papa, nella quale si contano ancora vescovi e preti detenuti in campi di lavoro o agli arresti domiciliari.
Anche in un altro paese come il Vietnam, il governo tenta di far piegare le comunità cattoliche e protestanti che sono all’avanguardia nelle lotte contro gli arbitri della polizia e della corruzione.
La purificazione religiosa
Ovunque vivano, i cristiani sono assimilati all’Occidente e diventano vittime, in particolare nei paesi arabi, dei ricordi della colonizzazione, delle frustrazioni di un islam un tempo sovrano e conquistatore, della dolorosa memoria delle crociate, del fallimento delle politiche di sviluppo, delle guerre interne e della crescita degli estremismi, sinonimi di emarginazione e di esodo.
Lo “scontro di civiltà” tra l’islam radicale e il mondo occidentale non copre tutto il campo della persecuzione. L’espansione del cristianesimo in Asia e in Africa è percepita come una minaccia. In Cina la crescita esplosiva delle Chiese evangelicali è giudicata sovversiva in un paese economicamente dinamico, ma politicamente rigido. Nell’Africa subsahariana, dove cristiani e musulmani sono quasi in parità, lo sviluppo del cristianesimo preoccupa un islam socialmente dominante. Perfino in Arabia Saudita, l’afflusso di lavoratori cristiani dalle Filippine, dalla Corea del Sud e dal Libano provoca tensioni con l’islam ultraconservatore del regno. In India, la crescita di potenza dei cristiani viene considerata un attacco all’identità indù nei movimenti nazionalisti politicamente influenti.
Opinione pubblica ancora inerte
Nella parte conclusiva del libro, il religioso britannico Timothy Radcliffe, ex maestro generale dell’ordine domenicano, metta in discussione la “globalizzazione” che ha il merito, ricorda, di ridurre la povertà di intere zone, ma costituisce anche “una violazione dell’integrità culturale” di molti paesi, identificata con un’oppressione proveniente dall’Occidente americano ed europeo, in maggioranza cristiano. I convertiti all’islam sono attirati, scrive, dal rifiuto della “cultura globalizzata”, della sua“vacuità”, “delle forze cieche del capitalismo che sono il consumismo distruttore ed una impressione di immoralità”.
Senza alimentare la cattiva coscienza dell’Occidente, il “libro nero” pone la questione di una possibile reazione. Ricorda l’espressione appropriata dell’intellettuale Régis Debray, che spiegava l’inerzia della comunità internazionale con il fatto che la persecuzione anticristiana si trova in un “angolo morto”: le vittime sarebbero “troppo cristiane” per interessare le coscienze di sinistra e “troppo straniere” per interessare le coscienze di destra. (in “www.slate.fr” del 29 ottobre 2014; trad. it. finesettimana.org)
Jean-Michel di Falco, Timothy Radcliffe, Andrea Riccardi
Il libro nero della condizione dei cristiani nel mondo
Mondadori, 2014
Fonte: http://www.voceevangelica.ch/
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