Costruire la pace anche quando sembra lontana

Medio Oriente, il progetto della Federazione delle chiese evangeliche in Italia. Intervista a Debora Spini, coordinatrice del gruppo di lavoro

Al via il nuovo progetto e la sottoscrizione della Federazione delle chiese evangeliche in Italia (FCEI) dal titolo “Fermiamo l’odio, aiutiamo i costruttori di pace”. Obiettivo: sostenere realtà di dialogo e pace fra israeliani e palestinesi.

Abbiamo chiesto alla coordinatrice del gruppo di lavoro, Debora Spini, di rispondere ad alcune domande. L’intervista è in collaborazione fra l’Agenzia NEV e Radio Beckwith evangelica (RBE).

Come è nato il progetto “Fermiamo l’odio, aiutiamo i costruttori di pace” promosso dalla Federazione delle chiese evangeliche in Italia?

Questo progetto ha radici più lontane. Parte dalle relazioni tessute dalla rivista Confronti negli scorsi decenni, per favorire dialoghi di pace fra israeliani e palestinesi. Si parlava di “Semi di pace”, e quello di oggi è un progetto in continuità con quell’esperienza.

L’iniziativa nasce dalla volontà di dare una risposta anche all’impotenza che tanti e tante abbiamo di fronte a questa tragedia. Fra non molto si compirà un anniversario assolutamente tragico, quello dell’attacco di Hamas, e sentiamo fortissima l’esigenza di poter dare delle soluzioni concrete.

In primo luogo vogliamo lanciare una sottoscrizione in favore di chi sta continuando a fornire assistenza fra difficoltà inenarrabili, sto parlando delle realtà afferenti alla Comunione anglicana presenti sul campo.

In secondo luogo vogliamo favorire tutte le possibili occasioni di riflessione.

Quali sono le principali sfide che pensate di incontrare, in un contesto così complesso e polarizzato?

Noi intendiamo promuovere la costruzione della pace, offrendo uno spazio a tutti coloro che, sia in campo israeliano che palestinese, continuano a cercare soluzioni politiche e dialogo. Vogliamo sostenere queste realtà, contribuendo a riavviare il loro lavoro e perseguendo un duplice scopo: da un lato, aiutare l’opinione pubblica italiana a comprendere la complessità della situazione, superando le semplificazioni dei notiziari; dall’altro, offrire a questi attivisti un luogo sicuro di incontro.

Ci proponiamo di portare in Italia rappresentanti da Israele, Palestina e dai territori circostanti, per dare un contributo concreto alla costruzione della pace. Il contesto in cui operiamo è difficile, complesso e spesso polarizzato, con sfide enormi, soprattutto per chi vive nel cuore del conflitto, come a Gaza, dove le condizioni attuali rendono impossibili i movimenti.

Affrontiamo anche sfide politiche significative, poiché un conflitto così drammatico e violento inevitabilmente polarizza le posizioni. Il nostro obiettivo è duplice: fornire un sostegno diretto a chi cerca di alleviare le sofferenze sul campo e creare uno spazio per l’ascolto e il dialogo, preparando il terreno per soluzioni politiche che dovranno essere sviluppate in futuro.

Spesso questo progetto viene considerato idealistico o poco realistico. Tuttavia, ci chiediamo: cosa è davvero realistico? La strategia della forza o quella del dialogo? Noi scegliamo il realismo della ragione, del dialogo e delle soluzioni politiche. Nonostante le difficoltà, crediamo che ci sia spazio per agire, sostenendo quei pochi, seppur minoritari, che ancora si impegnano per il dialogo dall’altra parte del Mediterraneo. Speriamo di poter dare loro un contributo significativo.

Il progetto prevede il sostegno ad attività specifiche di associazioni sia israeliane che palestinesi. Potrebbe raccontarci qualche esempio concreto di iniziative che ritenete particolarmente efficaci nella promozione della pace e della comprensione reciproca? E in che modo la società civile italiana può / deve collaborare?

L’obiettivo del progetto è suscitare interesse, solidarietà e partecipazione, non solo all’interno delle nostre comunità, ma anche nella rete delle associazioni ecumeniche e nella società civile italiana. Si punta a creare una cultura di pace, sostenendo varie attività specifiche di associazioni israeliane e palestinesi. Ad esempio, collaboriamo con il Consiglio delle Chiese del Medio Oriente, che continua a fornire aiuti umanitari nonostante le enormi difficoltà.

Un’iniziativa che sosteniamo è l’ospedale Al Ahli di Gaza, gestito dalla diocesi episcopale di Gerusalemme. Inoltre, vorremmo promuovere progetti come quello del villaggio Neve Shalom/Wahat al-Salam, dove israeliani e palestinesi condividono una scuola. A gennaio, ospiteremo in Italia rappresentanti di questo villaggio.

Sosteniamo anche “Combatants for Peace”, un’iniziativa di ex combattenti israeliani e palestinesi, e “Women Wage Peace”, un movimento di donne impegnate nella promozione della pace. Un altro esempio significativo è “Parents Circle-Families Forum”, un’associazione di genitori israeliani e palestinesi che hanno perso figli nel conflitto e che, invece di odiarsi, collaborano per gestire insieme il lutto.

Queste esperienze, seppur minoritarie, sono estremamente significative. Uno degli scopi del progetto è censire e valorizzare queste realtà, offrendo loro uno spazio protetto di dialogo e confronto per promuovere la convivenza pacifica.

Il progetto “Fermiamo l’odio, costruiamo la pace” si propone così di guardare avanti, costruendo la pace anche quando sembra lontana.

https://riforma.it/2024/08/21/costruire-la-pace-anche-quando-sembra-lontana/


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