Due sanguinosi attentati, avvenuti quasi simultaneamente in Costa d’Avorio e nella capitale della Turchia, hanno spezzato la quiete di un assonnato pomeriggio domenicale. In Costa d’Avorio, un commando di uomini mascherati e pesantemente armati, irrompe sulla spiaggia di un resort turistico a Grand Bassam e spara sui turisti e sul personale. La carneficina è assicurata: almeno 16 i morti, di cui 14 civili e 2 militari. Due ore dopo, un’autobomba si fa esplodere in tutt’altra area del mondo, nel centro di Ankara, nel mezzo di una stazione di bus. Anche qui la carneficina è grande: almeno 37 i morti e 125 i feriti, secondo un bilancio ancora provvisorio.
In entrambi i casi si è trattato di azioni terroristiche suicide. La matrice dell’attacco in Costa d’Avorio è chiara. La rivendicazione è firmata da Al Qaeda nel Maghreb Islamico (Aqmi) la branca di Al Qaeda che agisce nel Sahel e in tutta l’Africa occidentale, formatasi con la fusione di gruppi e movimenti armati costituitisi durante la Guerra Civile d’Algeria. La dinamica dell’assalto islamico ai turisti è ormai drammaticamente nota e si è ripetuta più volte, dall’estate scorsa ad oggi, con le stragi di Susa (Tunisia), quella dell’hotel Radisson di Timbuktu (Mali) e quella dell’hotel Splendid di Ouagadougou (Burkina Faso). Ieri i terroristi sono arrivati alla spiaggia di Grand Bassam dal mare e, una volta sbarcati sul loro obiettivo, pesantemente armati di kalashnikov e bombe a mano, hanno attaccato una molteplicità di obiettivi, creando caos e costringendo le forze di sicurezza a dividersi. Il commando terrorista ha sparato sui bagnanti, poi all’interno degli hotel Coral Beach ed Etoile du Sud, falciando le vittime con raffiche di mitra e gridando “Allah u Akhbar”. Nonostante il caos e le informazioni contrastanti (inizialmente si parlava di un assalto di banditi), l’esercito ivoriano è intervenuto impedendo una strage ancora peggiore. Stando alle autorità, sono sei i membri del commando “neutralizzati”.
Fra le vittime civili figura anche un francese. Il presidente François Hollande, il cui paese è ormai divenuto una vittima “abituale” degli jihadisti, ha subito condannato il “vile attentato” e ha promesso alla Costa d’Avorio “sostegno logistico e informazioni” per la caccia ai terroristi. La strategia di Al Qaeda nel Maghreb è ormai chiara. Vengono colpiti paesi alleati della Francia, impegnati nella lotta al terrorismo jihadista, nelle loro località più turistiche così da danneggiarne l’economia e attrarre il maggior clamore mediatico possibile. I terroristi mirano anche a dimostrare l’impotenza delle forze di sicurezza locali, costrette alla difensiva da attacchi improvvisi e imprevedibili.
La matrice dell’autobomba ad Ankara è ancora ignota. La prima risposta delle autorità turche, non ufficiale ma trapelata alla stampa, parla di un attentato curdo. E il momento è delicato, perché il governo aveva proclamato, proprio ieri, la fine delle operazioni militari contro il Pkk nel Kurdistan turco (279 i morti, stando alla statistica ufficiale) e la fine dello stato di assedio proclamato a Diyarbakir. Ma in attesa di conferme, resta il sospetto che possa trattarsi anche di un’azione terroristica dello Stato Islamico. Ankara ha subito ben tre attentati in sei mesi. A ottobre era stato l’Isis a colpire una manifestazione di pacifisti e curdi, provocando la peggior strage della storia recente turca. Ma a febbraio erano stati i curdi (il governo denuncia l’Ypg, ma la rivendicazione è arrivata dal Tak, gruppo estremista di curdi turchi) a colpire un convoglio militare nel pieno centro della capitale, non lontano dalla sede del Parlamento.
L’autobomba di ieri è esplosa non lontano dal luogo dell’attentato di febbraio, vicino al parco Guven, in una stazione dei bus. Una zona molto trafficata e affollata di civili, con due stazioni della metropolitana a portata di mano, è la zona scelta dai terroristi per provocare il massimo numero di vittime civili. Stando a una prima ricostruzione dei fatti, l’attentatore suicida, alla guida dell’autobomba, ha speronato un autobus prima di farsi esplodere. Tutti i veicoli della stazione e del parcheggio sono andati distrutti. La detonazione è stata talmente forte che si è udita in tutta la città. La prima reazione delle autorità turche è stata quella di isolare l’area, per impedire una seconda bomba (solitamente i terroristi islamici fanno esplodere due terroristi suicidi in rapida successione, la seconda per falciare ancor più persone all’arrivo dei soccorsi). La censura è stata imposta su media e social network, come sempre in Turchia, ufficialmente per non intralciare le indagini in corso. La conta delle vittime prosegue. Per ora, il bilancio provvisorio parla, appunto, di 34 morti.
Il premier italiano Matteo Renzi, commentando entrambi i fatti di sangue, dichiara che “I terroristi devono sapere che per quanto sanguinoso sarà il loro odio non riusciranno a piegarci e scuoterci, ovunque essi colpiscano”. Il problema, però, è che i terroristi hanno dimostrato di poter colpire ovunque e cogliendo sempre la vittima alla sprovvista. Colpiscono dove il difensore è debole, dove meno se l’aspetta, soprattutto ovunque la gente sia rilassata, in attesa di prendere un autobus o sdraiata a prendere il sole su una spiaggia equatoriale. Il terrorismo contemporaneo non mira neppure più a ottenere obiettivi politici e territoriali. Uccide e si suicida solo per infondere terrore in un popolo nemico, nella convinzione di ottenere un premio ultraterreno. E’ cultura della morte fine a se stessa e nessuno ha finora trovato la formula giusta per sconfiggerla.
Stefano Magni | Lanuovabq.it/
L’ARSENALE CHIMICO DEL CALIFFO di Gianandrea Gaiani
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