Così può avere successo la “guerra santa” della Turchia

«Fate cinque figli a coppia, voi siete il futuro dell’Europa», «La guerra santa in Europa è vicina». Davanti a queste minacce del presidente turco Recep Tayyip Erdogan e dei suoi ministri, la tentazione è quella di ridurre il tutto a semplici esternazioni elettorali, ma sarebbe un gravissimo errore. È vero, il 16 aprile in Turchia si terrà un importante referendum che – se passasse la riforma costituzionale voluta da Erdogan – garantirebbe all’attuale presidente altri dieci anni di potere. E molti paesi europei vi si trovano loro malgrado coinvolti, a causa della numerosa minoranza turca presente. Al punto che Germania e Olanda hanno deciso di negare l’ingresso a ministri turchi decisi a fare comizi tra gli immigrati, attirandosi così le ire di Erdogan.

Ma l’intensità e la violenza delle parole del leader turco e di altri membri del governo, lasciano piuttosto intendere che il rischio di una “guerra santa” lanciata nel cuore dell’Europa comincia a farsi drammaticamente concreto. E le armi non saranno necessariamente quelle dei terroristi legati all’Isis.

Il 19 marzo intanto ha visto una ulteriore escalation della tensione tra Turchia e Germania, ma anche l’inserimento della Danimarca nella contesa: dopo che nelle scorse settimane il leader turco aveva dato dei nazisti ai tedeschi, ora ha accusato il governo di Angela Merkel di coprire i terroristi: motivo, la manifestazione dei curdi svoltasi sabato a Francoforte in cui sarebbero venuti fuori cartelli e bandiere inneggianti al Pkk, il partito curdo accusato di terrorismo in Turchia. Rappresaglia immediata: ad Ankara è stato infatti convalidato l’arresto del giornalista turco-tedesco Deniz Yucel, corrispondente del Die Welt, accusato di essere una spia. Inoltre è stato anche convocato l’ambasciatore tedesco ad Ankara.

Su un altro fronte è stato il ministro degli esteri danese a convocare l’ambasciatore turco all’Aja per chiedere ragione delle minacce di cui sarebbero stati fatti oggetto dei cittadini turco-danesi.

Ma se questi possono anche essere considerati scontri contingenti, che possono risolversi a referendum avvenuto, una diversa attenzione meritano le uscite degli ultimi giorni dei leader turchi. Aveva cominciato il ministro degli Esteri Mevlut Cavusoglu il 15 marzo. Riferendosi all’Olanda e affermando che la sconfitta dell’anti-islamico Wilders non dice nulla perché tutti i partiti maggiori condividono le stesse idee riguardo all’islam, Cavusoglu aveva detto: «Questa mentalità sta portando l’Europa alla rovina; l’Europa sta collassando (…), presto in Europa inizierà la guerra santa». Passano due giorni ed ecco l’affondo di Erdogan, con un appello ai turchi in Europa: «Andate a vivere nelle migliori aree; guidate le auto migliori; abitate le case più belle; fate non tre, ma cinque figli. Perché voi siete il futuro dell’Europa. Questa sarà la migliore risposta alle ingiustizie contro di voi».

Non sono parole campate in aria: l’Europa è effettivamente avviata verso il baratro, ma non per il suo presunto anti-islamismo. Due fattori sono decisivi in questa crisi: anzitutto, la mancanza di identità – o meglio sarebbe dire il rifiuto della sua identità cristiana – che la rende debole e inadeguata davanti a qualsiasi cultura forte, come si presenta oggi quella islamica; poi, la crisi demografica su cui non a caso fa leva Erdogan.

Soprattutto su questo aspetto vale la pena soffermarsi. Tutti i paesi europei sono abbondantemente sotto il livello necessario a mantenere l’equilibrio demografico, e ormai da decenni. E le donne immigrate, seppure tendano nel medio-lungo periodo ad avvicinarsi ai tassi di fecondità delle donne europee autoctone, mantengono livelli decisamente più alti. Secondo le stime del Pew Research Center, mentre il tasso di fertilità medio europeo è oggi di 1,5 figli per donna, per le islamiche in Europa il livello è di 2,2. Uno scarto notevole, destinato a produrre effetti importanti soprattutto nella popolazione giovanile. Già oggi l’età media dei musulmani in Europa è di 32 anni contro i 40 degli europei non islamici e il divario è destinato ad allargarsi.

Dati ancora più interessanti se si tiene anche conto che i musulmani nell’Unione Europea sono sì una minoranza ma non certo di poco conto: sono circa 20 milioni, il 4% della popolazione, ma sono anche la minoranza religiosa che cresce più rapidamente. Sempre il Pew Research Center calcola che saranno il 6% nel 2030. Germania, Francia e Inghilterra sono i paesi che ospitano le comunità islamiche più numerose, in valori assoluti ma sostanzialmente anche in valori percentuali (superati solo da Cipro e Bulgaria, e appaiati da Olanda, Belgio e Austria).

Ma possono i musulmani europei, data la loro eterogeneità, essere sensibili agli appelli di Erdogan e soci? Dare una risposta precisa è impossibile, però non si può non rilevare che sono turchi la metà dei musulmani presenti nei paesi Ue: circa 4 milioni sono in Germania (il 65% degli islamici, un milione emezzo voteranno per il referendum costituzionale in Turchia), un milione in Francia. E poi: 600mila in Olanda, 500mila in Austria, 250mila in Belgio. Il voto che verrà dai turchi residenti in Europa il 16 aprile già darà una prima risposta.

Sono numeri comunque che spiegano la pericolosità dello scontro in atto tra i paesi europei e il governo di Ankara. Ma i numeri non dicono tutto, perché il problema più grave è la difficoltà o la mancanza di volontà per gli islamici di integrarsi nei paesi che li accolgono. E per questo motivo appelli che fanno leva su presunte ingiustizie subite possono facilmente accendere le comunità islamiche, dove una voglia di rivalsa contro l’Occidente – alimentata anche dai numerosi imam radicali – già cova sotto la cenere. E spinge anche iniziative politiche: in Francia già l’anno scorso si è presentato alle amministrative un partito islamico; e un partito islamico si presenterà per la prima volta nel 2018 in Austria; in Italia è invece di questi giorni la notizia dei primi passi di un soggetto politico islamico. E sono solo alcuni esempi.

Non ci si illuda sul fatto che gli islamici sono ancora una piccola minoranza: sono una minoranza ma ben determinata che ha davanti a sé il vuoto assoluto di proposta; paesi e governi senza volto e senza identità, intenti soltanto a distruggere la famiglia e la vita e a salvare cinghiali e lupi. E non parliamo del tappeto rosso che una parte importante della Chiesa stende davanti a chi deve ancora dimostrare le intenzioni pacifiche. Stanti così le cose, la “guerra santa” non avranno neanche bisogno di combatterla.

di Riccardo Cascioli | Lanuovabq.it

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