Così l’emergenza migranti diventa ordinaria

Più di 8.300 migranti salvati in acque internazionali dalle navi della nostra Marina o dalle Ong in 55 operazioni. E’ il bilancio della sola settimana di Pasqua. E’ chiaro he con numeri del genere i contorni dell’operazione Mare Nostrum si siano ampliati a tal punto che è sotto gli occhi di tutti il traffico sistematico di migranti per le nostre coste. Non è il caso di metterci un freno?

E’ stato criticato soprattutto dal mondo della Sinistra perché troppo restrittivo rispetto al diritto dei richiedenti asilo, ma il cosiddetto Decreto Minniti (decreto-legge 17 febbraio 2017, n. 13), convertito in legge giovedì scorso dal Parlamento, rappresenta un intervento legislativo ambiguo sotto molti aspetti. Anzi, c’è da dire che rispetto al presunto diritto dei richiedenti asilo, se questi possono vantare il riconoscimento dello status di rifugiato, le nuove procedure non inficiano minimamente l’iter. E’ vero però che togliendo un grado di giudizio in fase di ricorso, dopo il primo grado si andrà direttamente in Cassazione, dovrebbe diventare più semplice smascherare i falsi richiedenti asilo, che sono veri e propri migranti economici e che rappresentano la percentuale più elevata dei richiedenti sul nostro territorio, oltre il 90%.

Le misure proposte dal ministro degli Interni Marco Minniti dunque sono positive per quanto riguarda l’accelerazione dei tempi in fase di istruttoria, dotando anche le commissioni territoriali di nuovi assunti in grado di smaltire le pratiche e sgravando così i prefetti che negli ultimi anni sono diventati degli agenti immobiliari. Il problema principale che emerge dal decreto però è un altro e va a toccare la radice del fenomeno migratorio dalle coste delle Libia: la cronicizzazione dell’emergenza.

Molte misure prese da Minniti infatti, se da un lato mettono lo Stato in condizione di essere più efficiente, dall’altro mostrano che l’emergenza migranti nata con l’operazione Mare Nostrum, da straordinaria si sta lentamente trasformando in ordinaria.

Lo dimostrano alcune decisioni. Ad esempio la prossima assunzione di 250 addetti con funzione di commissari territoriali per accelerare le pratiche. Il decreto non dice come verranno assunti, ma se il loro compito è quello che rivestono molti prefetti, unito al fatto che dovranno essere di “elevata competenza”, non è difficile immaginare che lo Stato dovrà assumere 250 addetti in più, con relativi stipendi. Che cosa sarà di loro quando l’operazione Mare Nostrum sarà finita? Verranno riassorbiti dal pubblico impiego?

In ogni caso è evidente che i costi per lo Stato aumenteranno. E aumenteranno anche in ragione del fatto che verranno creati 20 centri di identificazione, chiamati ora centri di permanenza per i rimpatri che saranno dislocati in tutto il territorio italiano, con notevoli costi di gestione. Anche il potenziamento delle strutture di gestione presso i tribunali, 26 in più, va nel senso della maggiore spesa.

Ma che si vada verso una istituzionalizzazione del fenomeno migranti lo dimostra anche l’iscrizione nelle anagrafi cittadine dei migranti facenti parte del programma Sprar. In attesa dunque di giudizio diventeranno a fare parte della popolazione residente. Un cambio di mentalità non da poco.

Tutte queste misure, come detto, oltre a rendere cronica l’emergenza, non vanno però a toccare il cuore del problema. Che è rappresentato dal ricorso massivo all’asilo. Uno Stato che vuole tutelare le persone rifugiate non crea più commissioni e più distaccamenti nei tribunali, ma semmai, limita il più possibile questo prezioso istituto. Se l’obiettivo è quello di istituzionalizzare il fenomeno è giocoforza poi da parte del governo potenziare le strutture di accoglienza e di indagine delle domande dato che si sa già in partenza che per il 90% si tratta di migranti.

A questo si aggiunge il fatto che l’operazione Mare Nostrum continua ancora oggi con un sistema ormai oliato di soccorsi con questi che scattano prima ancora che la nave entri in territorio italiano in un servizio taxi del mare che, non a caso, ha insospettito la stessa procura di Catania, la quale ha deciso di guardare dentro il proliferare delle tante Ong che si occupano dei salvataggi in mare. Il timore è quello che le Ong siano in combutta con gli scafisti e i trafficanti di esseri umani per quello che diventa così un business per tutti. La procura ci sta guardando dentro. Qualche cosa vorrà pur dire se anche la Commissione Difesa del Senato sta iniziando a indagare, come richiesto da Forza Italia, sullo scorretto umanitarismo di certe Ong finanziate da chissà chi.

Insomma: mentre l’Italia perfeziona il suo sistema di accoglienza, ci sono paesi come la Spagna che non conoscono migrazione alcuna, eppure sono geograficamente più vicine all’Africa o come la Grecia e i Balcani che per volere della Germania hanno da tempo le frontiere chiuse. Perché l’Italia ha ancora questo canale aperto, che pure è di miglia e miglia marine ed è difficilissimo da controllare? Quali sono gli interessi che costringono il nostro Paese ad essere l’unico approdo per un’Africa che si vuole svuotare a nostro danno?

Infine, un’altra ombra è importante evidenziarla per i rimpatri. Dall’inizio dell’operazione Mare Nostrum, nel 2013 sono arrivati sul suolo italiano 150mila migranti all’anno. Come si può pensare che si riesca a rimpatriare 500mila persone senza un rapporto di 1 a 1 in fase di espulsione? Il migrante economico che viene riconosciuto tale dopo il terzo grado di giudizio deve essere riaccompagnato nella sua nazione di provenienza, ma come si può pensare di fare questa operazione senza un rapporto di un agente per ogni migrante che viene imbarcato? Troppo facile da parte del governo sperare negli accordi bilaterali con i singoli stati, anche perché gli effetti dei rimpatri non stanno dando risultati.

Il timore che presto ci sarà una sanatoria per tutti è molto concreto. Sono domande che nascono da una semplice lettura dei fatti: non è che il nostro Paese ha deciso di importare a costi sociali altissimi l’Africa intera?

di Andrea Zambrano | Lanuovabq.it

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