Ci sono orrori che fanno parte della storia, orrori che vengono celebrati, rammentati, in qualche modo rivissuti, per non dimenticare, per mettere perennemente in luce il livello di abiezione, che gli esseri umani possono toccare, quando la parte peggiore dell’umanità può disporre del potere assoluto su altri esseri viventi. Si celebra, per insegnare a chi le tragedie non ha vissuto, per cullare l’illusione che il passato non ritorni, ma non è così, il passato, prima o poi, inesorabilmente ritorna a rammentarci che noi, esseri umani, riusciamo a fare tutto ciò che il mondo animale non fa; gli animali non provano piacere nel provocare il dolore altrui. A presentarci un orrore nascosto, sconosciuto ai più, è una mostra organizzata dalla Comunità Presbiteriana Chan Yang – composta da membri coreani – nella chiesa valdese di Milano, che la ospita per i suoi culti domenicali. Con la collaborazione del Consolato Generale della Repubblica di Corea, questa comunità ha voluto rendere noto al mondo quanto accade ancora oggi nei campi di prigionia politica. La violenza comincia prima, con il controllo sulla vita delle persone, che non sono libere di esprimere idee contrarie al pensiero del dittatore ben noto, né di muoversi per recarsi fuori del paese o di organizzare incontri per discutere e confrontarsi al di fuori della ufficialità ossequiente, ma l’esposizione, composta da disegni eseguiti dai pochissimi che sono riusciti a fuggire, evitando la morte e la tortura, riguarda specificamente i Campi di prigionia politica, i luoghi dove sono recluse le persone che si considerano minacce per il regime nordcoreano, punendole con il lavoro forzato, svolto con regolamenti che solo una scuola degli orrori può avere creato. Vediamo alcuni esempi.
Shin Dong Hiuk, nato nel campo di Gaechon, fu costretto ad assistere alla esecuzione di suo padre e suo fratello dopo un tentativo di fuga fallito, riuscendo a fuggire dopo 24 anni di detenzione.
Ahn Myoung Chol, servì come guardia presso i campi di Jongsong e Hoerryong dal 1987 al 1994, ma decise di disertare dopo avere appreso che i suoi genitori e i suoi fratelli erano stati giustiziati in un altro campo di prigionia perché suo padre, funzionario di partito, aveva criticato il regime.
Kim Hye Suk fu internata nel campo Bukchang nel 1975, in seguito alla fuga di suo nonno nella Corea del sud. Miracolosamente, sopravvisse, lavorando come minatrice, per 28 anni, perdendo una figlia e un figlio.
Dice Kim Young Soon: L’unico cibo era il granoturco, dovevamo mangiare i topi e anche quelli erano rari.
Non solo erano rari i topi ma anche il granoturco, al punto che si andava a cercarlo nello sterco delle mucche e si veniva puniti per questo.
Shin Dong Hyuk fu torturato col fuoco a 14 anni per fargli confessare il piano di fuga della madre e del fratello. Le cicatrici della tortura sono ben visibili nella foto esposta, in seguito, gli fu tagliata l’estremità di un dito per avere rotto una macchina da cucire nel campo di Gaechon. Shin riuscì a scappare attraverso un recinto di filo spinato dotato di corrente elettrica nel 2005
Alcune regole dei campi di prigionia:
– È obbligatorio sottomettersi incondizionatamente alle guardie di sicurezza;
– È obbligatorio osservarsi l’un l’altro e riportare attività sospette;
– È obbligatorio eccellere nel lavoro assegnato;
– È obbligatorio mostrare pentimento profondo per le vostre colpe.
Anche solo da questo piccolo campione si vede bene come si volesse azzerare completamente la personalità dei prigionieri. Non c’era volontà di indottrinamento in quanto non c’era un pensiero da instillare, solo un dittatore da temere.
Più efficaci di tutto sono i disegni che rappresentano le scene di vita dei campi, di cui riportiamo le didascalie con i numeri dei quadri: 18) Ufficiale colpisce un prigioniero appeso a testa in giù per aver mangiato granoturco dagli escrementi di una mucca, fino a farlo vomitare; 19) Guardie costringono una prigioniera incinta a muovere le braccia e le gambe come le lancette di un orologio per un lungo tempo fino a farla abortire; 20) La gravidanza è vietata. Le guardie costringono altri prigionieri a stare in piedi su un asse posizionato sulla pancia della donna fino a provocare l’aborto; 23) Le guardie colpiscono i prigionieri con una mazza quando essi provano a riposarsi dopo un duro lavoro (più di 12 ore al giorno con scarso nutrimento); 25) Talvolta manca il cibo e i detenuti sono costretti a mangiare erba o corteccia d’alberi. Se una li vede, possono venire percossi fino alla morte.
Occorre aggiungere altro, per dimostrare che l’orrore non ha mai fine? I campi sono attivi ancora oggi.
Una Commissione di inchiesta dell’Onu sui diritti umani in Corea del Nord, dopo avere incontrato 80 vittime e numerosi esperti, si è riunita in 4 udienze pubbliche per esaminare prove e testimonianze sugli abusi dei diritti umani. Il rapporto della commissione ha elaborato un piano di azioni da intraprendere per garantire libertà di stampa, di pensiero e religione in Corea del Nord, richiedere ai paesi confinanti- a cominciare dalla Cina- di proibire il rimpatrio obbligatorio nella patria di origine dei nordcoreani trovati nel loro territorio, arrivando a ottenere il deferimento del leader nordcoreano Kim Jong-Un alla Corte Penale Internazionale. I materiali della mostra sono stati raccolti e selezionati da Free NK Gulag, tramite la Commissione di inchiesta suddetta; si tratta di foto satellitari dei campi di prigionia, di foto delle esecuzioni pubbliche e delle torture, di disegni realizzati da chi è riuscito a fuggire dai campi di prigionia.
Ringrazio il console della Repubblica di Corea a Milano Lim Jaejin per la preziosa e attenta collaborazione.
( 4 giugno 2014)
Paolo Fabbri
Tratto da: http://www.riforma.it/
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