Nonostante i rischi sempre più gravi, i dati relativi al primo trimestre dell’anno mostrano che 360 persone sono fuggite dal regime dei Kim per cercare rifugio nella parte meridionale della penisola. Impossibile quantificare quanti invece si fermano in Cina.
Seoul – Nonostante rischi sempre più gravi, aumenta nel 2014 il numero di persone in fuga dal regime della Corea del Nord. Secondo i dati rilasciati questa mattina dal ministero sudcoreano dell’Unificazione, nel primo trimestre dell’anno in corso 360 cittadini del Nord hanno chiesto asilo politico al Sud. In gennaio si sono verificati 153 casi; in febbraio 111 casi; in marzo 96 casi. Le statistiche mostrano un aumento rispetto allo stesso periodo dello scorso anno ma questo, dice un funzionario governativo, “non vuol dire per forza che il numero totale sarà maggiore rispetto al 2013”.
I nordcoreani che scelgono di fuggire corrono un rischio altissimo. Costretti a passare prima dalla Cina, dato che il confine con il Sud è altamente militarizzato, in caso di arresto sono soggetti al rimpatrio forzato: Pechino ha firmato infatti un accordo con Pyongyang che definisce questi profughi “migranti economici” e non concede loro alcuna attenuante politica. Quindi in caso di cattura vengono rimandati a casa, dove rischiano la pena di morte o un decennio di lavori forzati per “tradimento della patria”.
Il nuovo dittatore nordcoreano, Kim Jong-un, ha inasprito ancora di più le pene riservate ai rifugiati: nel 2012, primo anno del suo “regno” a seguito della morte del padre Kim Jong-il, solo 1.502 nordcoreani sono fuggiti al Sud contro una media di 3mila registrata ogni anno sino ad allora. Nel 2013 i fuggitivi sono stati in totale 1.514. Tuttavia questi dati sono parziali, dato che è impossibile stabilire quanti nordcoreani scelgano di rimanere, senza documenti, in Cina.
La Chiesa cristiana sudcoreana lavora sin dalla divisione della penisola per aiutare i rifugiati, che vengono chiamati “saeteomin” (“coloni della nuova terra”). I fedeli del Sud portano avanti programmi di inserimento sociale, di lingua e di “aggiornamento politico” per i profughi, che vengono aiutati a trovare un lavoro e combattere così il muro di razzismo che permea la società nei confronti dei “fratelli del Nord”.
Fonte: Asianews.it
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