Coppie gay in corto circuito con il doppio cognome

La sentenza della Corte Costituzionale che esclude l’uso del doppio cognome per le coppie gay mette in evidenza il caos giuridico e i conflitti tra legge e giudici causati dalla legittimazione delle unioni civili. Un esempio degli assurdi a cui portano certe rivendicazioni ideologiche.

Gianluca Zoffoli, 56 anni, e Giovanni Giovannini, 59, furono la prima coppia a contrarre una unione civile in Italia. Era il 24 giugno del 2016. Allora fu emanato un decreto ponte che, tra le altre indicazioni, prevedeva la possibilità che i due uniti civili adottassero, dal punto di vista anagrafico, un cognome comune, facoltà non permessa ai coniugi etero. E così la prima coppia unita civilmente d’Italia scelse il doppio cognome.

Passarono i mesi e arrivarono i decreti attuativi. Quello del 19 gennaio 2017 eliminò la disposizione prevista dal decreto ponte del 2016 che prevedeva la liceità del doppio cognome. In particolare questo decreto modifica il Decreto del Presidente della Repubblica 30 maggio  1989, n. 223 e, tra le altre novelle, inserisce il comma 3 bis all’art. 20 che così recita: “Per le parti dell’unione civile le schede [anagrafiche] devono essere intestate al  cognome  posseduto  prima  dell’unione civile”, così come accade per i coniugi etero.

Il divieto del doppio cognome discende soprattutto da questioni pratiche: occorrerebbe cambiare la propria identità anagrafica su tutti i documenti identificativi a partire dalla carta di identità, dal passaporto e dal codice fiscale e così si correrebbe il rischio di creare grande confusione e di cadere in errori materiali che potrebbero complicare assai la vita dei cittadini. Il doppio cognome acquisito dopo le nozze o le unioni civili farebbe quasi nascere, dal punto di vista anagrafico, una seconda persona fisica, decretando la morte amministrativa di quella esistente prima delle nozze o delle unioni civili.

Il duo Zoffoli e Giovannini però non ci sta a vedersi scippare il doppio cognome e aprono, grazie all’operato dell’onnipresente Rete Lenford (un pool di avvocati impegnati nella tutela delle rivendicazioni gay), una vertenza giudiziaria che arriva fino alla Corte costituzionale. La Consulta, due giorni fa, ha rigettato il ricorso a motivo del fatto che vedersi negata la possibilità del doppio cognome “non determina alcuna violazione dei diritti al nome, all’identità e alla dignità personale”. Dunque la Corte ribadisce la bontà delle prescrizioni del decreto del 2017. Ciò non toglie che si possa usare il doppio cognome non nella scheda anagrafica, ma negli atti dello stato civile, così come disciplinato dalla legge Cirinnà all’art. 1 comma 10. Dunque un doppio cognome valido per lo stato civile, ma non identificativo della persona.

I media ovviamente si sono indignati per questa decisione, anche per il fatto che, così si dichiara, in tal modo gli uniti civili non potranno trasmettere il doppio cognome ai figli. Veniamo alla risposta. In prima battuta ricordiamo nuovamente che il divieto di doppio cognome sulla scheda anagrafica riguarda anche le coppie etero coniugate. Quindi nessuna discriminazione. Però queste ultime, grazie alla Circolare ministeriale n. 1 del 2017 che dava applicazione alla sentenza n. 286 del 2016 della Corte Costituzionale, possono attribuire il doppio cognome ai figli. Le coppie omosessuali possono farlo? La risposta deve operare necessariamente dei distinguo.

Nel nostro ordinamento giuridico si diventa genitori o per concepimento naturale o per concepimento artificiale o per adozione. Le coppie omosessuali non possono diventare genitori ovviamente nel primo modo e non lo possono diventare nemmeno nel secondo modo perché la legge 40/2004 lo vieta (l’accesso alle pratiche della fecondazione artificiale è consentito solo a coppie eterosessuali). Possono diventarlo tramite adozione? La legge Cirinnà ci dice che le coppie unite civilmente devono essere equiparate alle coppie coniugate in tutto e per tutto, ma, all’art. 1 comma 20, esclude esplicitamente la disciplina sulle adozioni. Però, subito dopo questo distinguo, furbescamente aggiunge: “Resta fermo  quanto  previsto  e  consentito  in materia di adozione dalle norme vigenti”.

Come abbiamo spiegato più volte i giudici in Italia hanno usato quest’ultima indicazione della legge Cirinnà, voluta proprio per offrire una sponda ai tribunali gay friendly, per legittimare le adozioni gay nella forma della stepchild adoption, nonostante la legge 184 del 1983 sulle adozioni non lo permetta.

Inoltre abbiamo visto che in Italia i tribunali più volte hanno legittimato l’omogenitorialità anche quando questa si è costituita tramite il ricorso alla provetta avvenuto all’estero. In breve la stessa legge Cirinnà vieta che una coppia omosessuale possa diventare una coppia di genitori, così come la legge 40 e la legge sulle adozioni, ma i giudici sono andati per la loro strada.

Se dunque per via non legale ma giurisprudenziale le coppie dello stesso sesso possono diventare genitori ne consegue che anche i figli possano adottare il cognome di entrambi, così come avviene per le coppie coniugate. E quindi l’attribuzione ai figli del doppio cognome delle coppie omosex è vietato dalla legge perché è la legge a dirci che non esiste l’omogenitorialità (va da sé che questo discorso vale per la coppia, non per la singola persona omosessuale che ovviamente può essere il genitore legale del minore) e di contro l’attribuzione ai figli del doppio cognome delle coppie omosex è permesso dai giudici perché sono stati i giudici a legittimare l’omogenitorialità.

Tommaso Scandroglio | Lanuovabq.it


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