A 18 anni ero entrato e uscito tre volte dal riformatorio e a 30 anni avevo passato più tempo in prigione di quanto ne avessi passato fuori. Tutto cominciò quando ero ragazzo. Sono cresciuto in campagna; mio padre era agricoltore e faceva anche il pastore evangelico. Io lo rispettavo e gli credevo. Mi diceva il che il mio vero Padre era in cielo e che mi stava sempre vicino in qualsiasi situazione della mia vita. Un giorno mia madre mi chiamò e mi disse che mio padre stava molto male e dopo pochi giorni egli morì. Io restai male al punto di considerare che se Dio si prende così a quelli che lo amano, io non volevo saperne di Lui. Dovemmo lasciare la fattoria e trasferirci in città a Sacramento. In una stanza dormivamo io, mia madre e quattro sorelle. Incominciò così la mia vita di criminale. Un giorno aspettavo fuori ad una banca in una macchina: io e un amico eravamo pronti per assaltarla quando fummo circondati da due poliziotti che ci arrestarono ma io avevo due pistole e con una mano, nonostante le manette che avevo, riuscii a tirarla fuori e a puntarla in faccia al poliziotto. Stavo per sparare ma in quel momento mi venne una visione di mia madre che pregava per me e non riuscii a sparare. Diedi l’arma al poliziotto che mi ringraziò per non aver sparato. Con la testimonianza dell’agente, feci 2 anni e mezzo di carcere nel penitenziario di San Quintino. Passati i 2 anni e mezzo uscii dal carcere e cercai lavoro ma il gioco d’azzardo e la cattiva compagnia mi portò di nuovo a delinquere. E dopo rapine, assalti e furti venni arrestato e trasferito nel carcere di Fonson dove ebbi 25 anni di detenzioni più lavori forzati. Mia madre non si arrese mai e mi diceva che Dio aveva un piano per la mia vita e mi spediva sempre lettere con passi e citazione bibliche. Io puntualmente li stracciavo e li buttavo via nel cestino. C’era nel carcere un detenuto soprannominato “padrino”: era malvagio, aveva tre ergastoli e aveva già ucciso due detenuti. Un giorno ero tanto arrabbiato che feci a botte con lui il quale mi disse: “Phil guardati sempre la schiena perché un giorno ti ucciderò.” Nel carcere c’era una cappella con un pastore di nome Dallap che svolgeva servizi di culto. Un giorno un credente nel mettere a posto la cappella notò una bibbia tutta sgualcita con pagine a penzoloni e domandò al pastore: “Dallap che faccio di questa Bibbia vecchia, la butto?” Il pastore disse “No, vai tra le celle e mettila sul letto di qualche detenuto”. E preghiamo il Signore ti guidi nella cella giusta. Così la sera trovai questa Bibbia nel mio letto. Pensai sicuramente deve essere stata mia madre a mandarmela e da quella sera incominciai a leggere la Bibbia. Quello che mi colpì leggendola era che Gesù non era la persona che parlava solo ai religiosi ma sopratutto ai ladri, prostitute, assassini e delinquenti e mi chiesi: “Allora può parlare anche a me?” Una sera mi misi a pregare e all’improvviso vidi una croce illuminata nella mia cella e sentii una voce dentro di me che mi diceva di chiedere perdono per i miei peccati e così feci mentre le lacrime bagnavano il cuscino sentii una forza nuova, come se un’altra vita stesse entrando in me e vidi tutti i peccati di una vita passarmi davanti. Piansi tutta la notte a causa dei miei peccati, ma la mattina sentii che Gesù mi aveva perdonato e liberato. Frequentai la cappella e come prima cosa andai a chiedere scusa a “padrino” che stranamente si impietosi e mi dette la mano. Poi mi chiamarono per esaminare il mio caso e darmi una condanna definitiva. Dissi a me stesso che insieme al Signore avremmo affrontato il caso e così, davanti a due giudici, dichiarai che ero diventato cristiano e che la mia vita era cambiata indipendentemente dalla condanna che potevano darmi. Il vecchio Phil non c’era più. Così fra sconti e buone condotte, dopo dieci anni mi diedero la possibilità di uscire dal carcere ma dovevo trovarmi un lavoro entro 24 ore. Cercai per tutto il giorno senza risultato; poi andai in un cantiere navale a chiedere un lavoro ma sembrava tutto chiuso per me. Parlai con il direttore che mi disse “Vedremo, le facciamo sapere”. Mentre uscivo dal cantiere una voce dentro di me mi indicava di andare in una baracca e spinto da quella voce entrai: c’era un vecchio quasi ubriaco con una bottiglia in mano che beveva. Gli chiesi scusa per il disturbo e me ne stavo andando quando il vecchio mi disse “Un goccio figliolo?” Io gli dissi no, che stavo cercando lavoro e gli spiegai la mia storia e se non trovavo lavoro per mezzogiorno di domani dovevo rientrare in carcere. Il vecchio senza dire una parola alzò il telefono e chiamò il direttore per farmi avere un posto di lavoro. Il vecchio era il proprietario del cantiere navale.
Phil Thatcher passo gli ultimi anni evangelizzando nei penitenziari della California dove portò molte anime al Signore perché un padre e una madre avevano pregato per lui. Se nessuno ha mai pregato per te il Signore Gesù ti sta invitando adesso ad andare a Lui.
Tratto da: http://storiedifedevissute.blogspot.it/
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