MUMBAI – Quarant’anni, di etnia gujarati e di religione indù, nella vita di Dharmesh contava solo il denaro e la sicurezza a tutti i costi. Quando la moglie lo lascia portando via anche il loro bambino, l’uomo si sente “un fallito, un nessuno, un niente assoluto”. Le risposte e la pace che cerca non le trova nei santoni, ma «in Gesù, nel suo amore, nel suo essere venuto per darci la vita e sanare le nostre ferite attraverso il suo sangue». Il racconto di Dharmesh Rami:Ho 40 anni e sono un indù di etnia gujarati. Da piccolo vivevo in un quartiere di Mumbai abitato per lo più da cattolici. Una mia vicina di casa era cattolica e mi trattava come un suo fratello minore. Spesso mi portava con sé in chiesa.
Da ragazzo e poi anche da adulto il mio solo obiettivo era guadagnare e avere una sicurezza economica. Ero pronto a fare qualunque cosa per “fare soldi”, anche se con mezzi non etici. In pochi anni ho conquistato una solidità economica, ma senza “etica”: ero schiavo del denaro, e l’unica preoccupazione della mia vita era farne sempre di più con ogni mezzo a disposizione.
Il mio matrimonio con Asha è stato combinato dai miei genitori, e nel giro di un anno siamo stati benedetti dall’arrivo di un figlio maschio. La nostra unione era scossa da discussioni quotidiane, amarezza, accuse e sospetti. Per tredici anni la nostra vita matrimoniale è stata solo infelicità, insoddisfazione e litigi. A volte è caduto anche nella “magia nera”. Poi il matrimonio è finito: Asha ha preso nostro figlio ed è tornata a casa di sua madre.
Mi sentivo un fallito, un nessuno, un niente assoluto. Ho iniziato a cercare pace e risposte per la mia vita, e mi sono avvicinato a molti “babas” [santoni, ndr] e ad altri uomini di Dio. La mia vita era vuota e senza alcun senso, anche i miei soldi non riuscivano a soddisfare la profonda infelicità e tristezza che provavo.
Ero disperato e ho condiviso la mia infelicità con la mia amica d’infanzia. Lei mi consigliò di partecipare a un ritiro di cinque giorni, guidato da un evangelista pentecostale. Per la prima volta dal mio matrimonio mi sono sentito in pace, è stato un momento di straordinaria grazia. Mi sentivo pieno di speranza: volevo che anche mia moglie Asha – il cui nome significa “speranza” – provasse quella pace. Quei cinque giorni erano stati i più felici degli ultimi tredici anni della mia vita.
Sono andato ad Ahmedabad (Gujarat) e ho riportato mia moglie e mio figlio a casa. Ho condiviso con lei la mia gioia, e lei ha detto che il mio viso era raggiante di felicità. Su consiglio della mia amica, il 2 febbraio 2013 con la mia famiglia abbiamo fatto un ritiro al Tabor Ashram. Il predicatore ha parlato di Gesù, del suo amore, e del fatto che Cristo è venuto per darci la vita e sanare le nostre ferite attraverso il suo sangue. Asha era scossa fino alle lacrime, sentiva la guarigione di Gesù agire: il suo dolore, la sua solitudine, la sua disperazione e la sua angoscia svanirono e si sentì pervadere dalla pace.
Asha si sentiva chiamata ad accettare Gesù come Dio che salva, ama, cura e dà la vita. Io sentivo lo stesso.
Nel giugno 2013 ci siamo iscritti al Rito dell’iniziazione cristiana degli adulti (Rica) e abbiamo iniziato il nostro cammino di fede. Mio figlio segue un corso domenicale a Malad, e tutti insieme stiamo aspettando con gioia e speranza la vigilia di Pasqua, quando vivremo con la Sua grazia e il suo amore.
Ho sistemato i miei affari e ora guadagno un salario onesto.
Quando mia madre ha saputo che mi stavo preparando per ricevere il battesimo ha cercato di dissuadermi, arrivando a dirmi che mi avrebbe escluso dall’eredità. Ma Gesù ha liberato la mia famiglia. Cristo ci ha salvati, richiamandoci dalla nostra confusione, dalla nostra miseria e dal nostro amore per il denaro. Le minacce di essere diseredato non hanno fermato la mia decisione, ma anzi mi hanno rafforzato. Perché Gesù diceva: “Non di solo pane vive l’uomo”.
di: Darmesh Rami (ha collaborato Nirmala Carvalho)
da: Asia News (articolo completo)
data: 2/4/2014
(nella foto di AsiaNews: un battesimo)
Fonte: http://www.evangelici.net/
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