Ognuno conserva in se cicatrice emotive, spesso formate in passato, spesso di recente esperienza come quando si riceve un’offesa, si riceve un torto, ci si sente non compresi e capiti o si è ostacolati ecc. Quando la ferita emotiva si è formata bisogna intervenire per asportarne i segni psicologici di rancore, risentimento, astio, aggressività e passività. Con un intervento mirato le cicatrici del corpo possono essere rese invisibili da un bravo chirurgo plastico così quelle spirituali, psicologiche possono essere rese innocue attraverso il perdono. In tal caso Gesù, quale psicoterapeuta del cuore (P. Riccardi, Psicoterapia del cuore e beatitudini. Ed. Cittadella 2018) ne dà indicazioni La parabola della stoffa nuova e degli otri nuovi (Luca 5:33-39): «Nessuno strappa un pezzo da un vestito nuovo per attaccarlo a un vestito vecchio; altrimenti egli strappa il nuovo, e la toppa presa dal nuovo non si adatta al vecchio. E nessuno mette vino nuovo in otri vecchi; altrimenti il vino nuovo spacca gli otri, si versa fuori e gli otri vanno perduti. Il vino nuovo bisogna metterlo in otri nuovi. 39 Nessuno poi che beve il vino vecchio desidera il nuovo, perché dice: Il vecchio è buono!».
Con questa parabola la metafora è anche in riferimento alla differenza del passato e del presente, vale a dire del non alimentare il presente con il rancore del passato, con l’offesa subita, il torto ricevuto. Si tratta di dare voce ed espressione all’assunto cardine della pedagogia di Gesù: il perdono. Sarebbe un errore considerare tale atto quale conseguenza spirituale senza esaminare la controparte psicologica del perdono. Esaminare ed eliminare vecchie cicatrici emotive, intanto è un’operazione di responsabilità personale che spetta ad ognuno in prima persona farlo; come risultato si acquisisce una nuova visione di se stessi ed un volto nuovo spirituale.
Il più delle volte si pensa che le cicatrici emotive possano essere rattoppate con un semplice ti perdono. E’ solo un modo di coprire senza asportare la cicatrice. Un tipico esempio è il caso del partner tradito che con un semplice “ti perdono ma non posso dimenticare quello che mi hai fatto” resta il rancore e il risentimento che il più delle volte si manifesta attraverso banali discussioni come rabbia repressa. Il perdono non è un balsamo o una pomata è qualcosa in più, è la capacità di sradicare dalla radice la vendetta. Perché proprio quest’ultima rappresenta la spina nel fianco del traditore che deve sentirsi in colpa. Il perdono autentico mette nel dimenticatoio il tutto, dal risentimento alla vendetta. Il perdono non ha il senso del doverlo fare per forza magari per convenzione sociale è il frutto di una libera scelta per amore del prossimo. Il perdono non resta nella memoria di chi perdona diversamente è solo un parziale perdono. O si perdona in toto o non si perdona affatto, non vi sono vie di mezzo perché l’atto del perdonare non è un atto di orgoglio che ci può far sentire superiore al torto subito. In tal caso una meta comunicazione verso l’offensore potrebbe essere di superiorità e umiliazione.
Il perdono è un atto consapevole di amore. Il perdono non è difficile basta volerlo con la mente e con il cuore si tratta di assicurarsi che in se non rimane il biasimo, il rancore, il risentimento e il senso della condanna. Nel perdono pur considerando il tutto e il torto subito non si diventa esattori delle tasse. Del resto nessuno è obbligato ricordandoci che Dio ci ha messo di fronte alle nostre scelte: «Vedi, io pongo oggi davanti a te la vita e il bene, la morte e il male»; (Dt 30, 15).
Pasquale Riccardi D’Alise
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