Liquidato il Nagorno Karabach il presidente turco spinge per un collegamento con l’Azerbaigian coinvolgendo l’enclave azera di Nakhchivan. In gioco la provincia armena di Syunik, ma Erdogan parla anche di segnali “positivi” dall’Iran. Non si ferma l’esodo armeno da Sepanakert: quasi la metà della popolazione ha abbandonato case e terre. Denunce di crimini, abusi, funerali e matrimoni celebrati in tutta fretta.
Istanbul (AsiaNews) – Un corridoio che colleghi la Turchia all’Azerbaigian, attraversando l’Armenia. Dopo Lacin sembra essere questo il nuovo fronte di tensione nel Caucaso, dove è in atto un esodo massiccio degli armeni dal Nagorno-Karabakh ormai sotto il controllo di Baku e in cui Ankara gioca un ruolo sempre più egemone dopo il disimpegno di Mosca occupata dal fronte ucraino. Per il presidente Recep Tayyip Erdogan una via di terra che unisca i due Paesi alleati è un dato di fatto e, a suo dire, anche l’Iran – il nuovo attore in gioco in questa complicata partita geopolitica – giudica “in modo positivo” il collegamento. In realtà dalle parti di Teheran si guarda con sospetto, se non aperta ostilità il crescente attivismo dell’ex impero ottomano.
Parlando di ritorno dall’enclave azera di Nakhchivan, Erdogan ha ribadito la volontà del suo Paese di creare un corridoio attraverso il quale Ankara possa rafforzare – con un collegamento diretto – i propri legami commerciali con Baku e l’Asia centrale. “La creazione di questo corridoio – ha sottolineato il presidente – è molto importante per la Turchia e l’Azerbaigian. È una questione strategica e deve essere completata”. In passato Teheran si è opposta al progetto, sostenendo che avrebbe tagliato le vie di trasporto che uniscono la Repubblica islamica all’Armenia e finirebbe per alimentare le derive separatiste degli azeri nel nord dell’Iran. Tuttavia, pur senza approfondirne la natura, Erdogan ha detto che “è piacevole vedere segnali positivi dall’Iran su questo tema”.
La questione ruota tutto attorno al cosiddetto corridoio di Zangezur che mira a collegare l’enclave azera di Nakhchivan, confinante con la Turchia, all’Azerbaigian continentale attraverso la provincia meridionale armena di Syunik. Nakhchivan è un’enclave separata dalla terraferma azera dopo l’occupazione sovietica del Caucaso meridionale nel 1920, rappresenta circa il 6% del territorio dell’Azerbaigian ed è abitato da 460mila persone, in maggioranza azeri ma pure etnici russi. L’Armenia ha chiuso i collegamenti energetici, elettrici e di trasporto comprese autostrade e ferrovie con Nakhchivan, lasciandola senza gas per molti anni. Ancora oggi gli unici collegamenti disponibili via terra passano attraverso l’Iran o la Turchia.
Erevan si oppone al progetto perché violerebbe la sua sovranità, in una fase in cui monta già la protesta dell’opposizione interna per aver perso il Nagorno-Karabakh. Tuttavia, Erdogan sembra aver già la soluzione a portata di mano: “Se l’Armenia – afferma – non spiana la strada [al corridoio], dove passerà? Passerà attraverso l’Iran” che “considera positivamente” il piano. “Così sarebbe possibile – aggiunge – passare dall’Iran all’Azerbaigian”.
Il leader turco ha concluso promettendo di realizzare “il corridoio Zangezur [una porzione di territorio ampia circa 30 km, ndr] il prima possibile. Avremo un collegamento stradale e ferroviario ininterrotto – ha concluso – con il nostro amico e fratello Azerbaigian [di Ilham Aliyev] attraverso il Nakhchivan”. Un modo per rilanciare, con ancora maggior vigore, il famoso slogan “due Stati, una sola nazione”, mentre nel Caucaso lingua ed egemonia turche sembrano sostituire quelle russe con uno stravolgimento radicale degli equilibri di potere.
La riconquista da parte di Baku delle aree del Nagorno-Karabakh, considerate in gran parte sotto occupazione armena da diverse risoluzioni del Consiglio di Sicurezza Onu, hanno portato a un innalzamento della tensione fra azeri e Teheran. Gli ayatollah, infatti, guardano con sospetto e diffidenza alla minoranza azera nel nord, avendo già più di una preoccupazione con i curdi in seguito alla morte di Mahsa Amini e i beluci (sunniti) nel sud-est. A questo si aggiunge l’annoso confronto con l’Azerbaigian per lo sfruttamento di giacimenti contesi e che rischiano di alimentare la tensione fra i due fronti, coinvolgendo la stessa Turchia.
Intanto a pagare le conseguenze di questi giochi di potere e interessi contrapposti e, in primis, la popolazione civile armena. Al momento gli sfollati dal Nagorno-Karabakh hanno superato quota 50mila, quasi la metà della popolazione un tempo residente nell’area. Una parte di essi si è rifugiata in Armenia da amici o parenti, mentre quanti non hanno ancora voluto tagliare il legame con una terra che considerano propria sono ospiti nel centro di Kornidzor, vicino al corridoio di Lachin. In questo quadro di tensione e disperazione – in cui la maggioranza degli armeni non crede o non accetta le proposte di convivenza che giungono da Baku – emergono cronache – a migliaia, secondo alcune fonti – di crimini contro i civili: mutilazioni, funerali e matrimoni celebrati di fretta, per onorare i defunti con un ultimo saluto o per fuggire insieme verso un futuro incerto.
«Qualsiasi aggressione ai danni dei civili è inaccettabile – denuncia Alistair Dutton, segretario generale di Caritas Internationalis -. Coloro che fuggono da questa crisi devono ricevere assistenza umanitaria. La protezione degli sfollati deve essere assicurata e i loro diritti, inclusi quelli di un passaggio sicuro e della libertà di movimento, devono essere pienamente rispettati. Le persone devono essere libere di rimanere nelle proprie case e chi è fuggito deve poter tornare se lo desidera».
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