Quando i sogni si infrangono e il dolore ci avvince, come dovremmo pregare?
Dovremmo pregare per essere guariti e liberati, credendo che abbiamo solo bisogno di chiedere, perché Dio può fare tutto? Oppure dovremmo affidare i nostri desideri a Dio, confidando che persino nell’angoscia Lui ha un piano perfetto per noi?
Si.
Quando la vita cade a pezzi, Dio ci invita a fare entrambe le cose.
Nel Giardino del Getsemani, Gesù si trovò ad affrontare una sofferenza inimmaginabile. Sudando come grumi di sangue, cadde a terra e pregò: “Abba, Padre, ogni cosa ti è possibile; allontana da me questo calice! Però non ciò che io voglio, ma ciò che tu vuoi” (Marco 14:36).
Gesù, nella sua agonia, ci ha insegnato con il suo esempio come pregare quando siamo disperati.
Abba, Padre
Gesù non comincia dicendo: “Dio Onnipotente, Creatore del cielo e della terra”. Naturalmente, Dio è il Signore di tutto e merita onore e riverenza. Tuttavia Gesù sceglie un termine affettuoso: “Abba”. Abba è un termine intimo e personale per indicare un padre. Gesù sta chiedendo a suo Padre di fare qualcosa per lui.
Allo stesso modo, anch’io ho bisogno di avvicinarmi a Dio nel mio dolore. Lui è il Signore Onnipotente, ma è anche il mio Abba Padre (Romani 8:15). Ho bisogno di avvicinarmi a Lui in quanto tale.
Niente è troppo difficile
Gesù sa che Dio può fare ogni cosa. Suo è il bestiame che si trova su migliaia di colline. Tutte le cose sono al Suo servizio. Niente gli è impossibile.
Anche se conosco a memoria questi versi delle Scritture, spesso in realtà dubito che Dio sia capace di cambiare la mia situazione. Guardo le mie circostanze e do per scontato che le cose continuino come sempre. Anche se sto pregando, non cerco risposte miracolose; le mie preghiere diventano una recitazione meccanica di richieste più che sincere petizioni nate dalla fede.
Ma nel Getsemani, Gesù sa che il Padre può concedergli quanto chiede. Dio dona la vita ai morti e chiama all’esistenza cose che non esistono.
E devo solo ricordare la sua potenza illimitata quando la mia situazione sembra insormontabile.
Allontana questo calice
Il calice che Gesù chiede a Dio di allontanare non era solo la sofferenza fisica. I discepoli e i martiri nel corso delle epoche hanno affrontato il dolore fisico senza timore. Gesù è angosciato da una sofferenza infinitamente più profonda: sta affrontando la furia terrificante dell’ira di Dio sui nostri peccati e sta affrontando quell’ira da solo, senza alcun conforto dall’alto.
Gesù sa che Dio può cambiare questa situazione orribile. Perciò chiede. Vuole che Dio allontani la sofferenza che è stato mandato a sopportare, la sofferenza per cui Lui è venuto spontaneamente, la sofferenza che assicurerà la salvezza al suo popolo. Gesù non è stato costretto a salire in croce, anzi ha deposto volontariamente la sua vita “Nessuno me la toglie, ma la depongo da me stesso; io ho il potere di deporla e il potere di prenderla di nuovo; questo è il comando che ho ricevuto dal Padre mio” (Giovanni 10:18).
Ora Gesù sta chiedendo a Dio se ha un altro modo – qualsiasi altra scappatoia – per compiere i Suoi propositi.
Perciò a volte filtro le mie richieste. Dovrei chiedere a Dio di alleviare le mie sofferenze quando so che Lui può usarle? Va bene chiedere guarigione, o è presunzione? Non dovrei chiedere nulla e accettare semplicemente quello che mi è capitato? Questa posizione sembra la più giusta.
Eppure, Gesù chiede a Dio di allontanare il calice.
Se lo ha chiesto Gesù, anch’io posso farlo. È appropriato chiedere a Dio di allontanare le mie sofferenze, di cambiare la mia situazione, di impedirmi di soffrire ulteriormente. Lui desidera darmi buoni doni. Ho supplicato Dio di guarire amici, di salvare membri della mia famiglia e di darmi chiarezza e Lui mi ha risposto con un “Sì”. Ma ho anche supplicato Dio di salvare mio figlio che stava morendo, di guarire la malattia che sta progredendo in me, e di riportarmi mio marito e Lui mi ha risposto “No”.
Allora, anche se non so come risponderà, il Padre mio desidera ancora che io gli chieda sinceramente le cose che desidero.
Non la mia volontà, ma la tua
Gesù alla fine rimette la sua volontà a quella di Dio. Negando i suoi desideri, Gesù accetta completamente la decisione. Si avvia alla morte senza mormorii e malumori.
Questa rinuncia non è facile per me. Quando tengo Dio a distanza, posso rimanere distaccata e senza aspettative. Ma se mi avvicino a Lui e credo fermamente che può cambiare la mia situazione, posso iniziare ad ottenere il risultato che voglio. Posso dire “sia fatta la Tua volontà”, ma depongo la mia volontà.
Dio spesso deve farmi allentare la presa dai risultati che desidero. Anche se mi sono sentita devastata dai suoi “no”, quando mi sottometto alla sua volontà – spesso con lacrime e delusione – mi assicura che sta lavorando per il mio bene. Vedo solo una parte della figura. Lui ha uno scopo quando mi nega qualcosa.
Il Padre ha detto “no” al Figlio. E quel “no” ha prodotto il bene più grande di tutta la storia.
Dio non è capriccioso. Se dice “no” alle nostre richieste, ha un motivo, o forse diecimila.
Forse non giungeremo a conoscerne la ragione in questa vita, ma un giorno le scopriremo tutte.
Per adesso, dobbiamo fidarci che i suoi rifiuti sono sempre un atto di misericordia nei nostri confronti.
Corri dal Padre
E mentre aspettiamo, lottando per dare un senso alle tempeste della nostra vita, preghiamo come fece il nostro Salvatore. Avviciniamoci a Dio, credendo che Lui può cambiare la nostra situazione, chiedendogli con coraggio ciò di cui abbiamo bisogno sottomettendo la nostra volontà alla Sua.
I piani del Padre nostro sono sempre perfetti. Saranno sempre per il nostro bene e per la Sua gloria.
Traduzione a cura di Susanna Giovannini
di Vaneetha Rendall Risner | Coramdeo.it
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