La National Disaster Mitigation Agency ha definito la situazione “un crimine contro l’umanità di proporzioni straordinarie” e una coalizione indonesiana di associazioni ambientaliste e per idiritti umani ha parlato di “catastrofe del secolo”. Da mesi, infatti, le foreste di Sumatra, Borneo e perfino quelle dei paesi confinanti come Malesia e Singapore vanno a fuoco rilasciando nell’atmosfera milioni di tonnellate di carbonioe una quantità di gas serra maggiore a quella prodotta dagli Stati Uniti in un anno intero. Da settembre ad oggi a Sumatra sono morte 20 persone, oltre 35.000 persone si sono ammalate a causa dell’inquinamento dell’aria, con migliaia di casi di infezioni acute delle vie respiratorie, infezioni agli occhi e irritazione della pelle e in tutta l’area geografica oltre 43 milioni di persone sono ancora esposte al fumo degli incendi con conseguenze drammatiche per la salute pubblica.
Ad ottobre l’aria si è fatta irrespirabile ed è iniziata l’evacuazione dei neonati e delle madri della provincia di Riau, nell’isola indonesiana di Sumatra, per tentare di salvarli dagli effetti dell’inquinamento prodotto dagli incendi. Il sindaco di Pekanbaru, la capitale di Riau, una delle zone più colpite di Sumatra, il 9 ottobre scorso ha emesso l’ordine di evacuazione obbligatoria per tutti i bambini sotto i sei mesi di età visto che iltasso di inquinamento aveva superato di 300 volte i limiti di pericolo bloccando la visibilità nell’intera regione e causando malattie respiratorie. “L’inquinamento dell’aria in casa è simile a quello esterno – ha dichiarato il sindaco – Per questo stiamo cercando di fornire servizi, tra cui aria condizionata e filtrata, in modo che anche i bambini sopra i sei mesi, la prossima generazione del Paese, siano in grado di respirare aria pulita”.
Cosa sta succedendo? Come potete immaginare non si tratta di piromani, sbadati fumatori, ne tanto meno delle avverse e afose condizioni meteo. Gli incendi sono partiti dalle piantagioni di palma da olio e da quelle di acacia per la produzione di carta e si sono rapidamente espanse a causa del suolo torboso, forzatamente asciugato per far crescere le piantagioni. Quando queste foreste torbiere vengono tagliate per convertirle in piantagioni, la torba diventa carburante per il fuoco perché una volta essiccata brucia facilmente e può espandersi per chilometri nel sottosuolo, diventando difficile da domare e trasformando in un inferno preziose foreste pluviali, che ospitano specie uniche, come l’orango e alcune delle ultime tigri su pianeta.
Per l’associazione indonesiana Eyes on the Forest a quanto pare gli incendi sono il risultato della drammatica espansione industriale: “quando milioni di ettari di foreste torbiere vengono convertite in piantagioni, i risultati sono poi quelli che vediamo”. L’ong ha recentemente rilasciato mappe e analisi che mostrano in dettaglio i fuochi nelle concessioni del gigante cartario Asia Pulp & Paper (APP). Una situazione che non ha lasciato indifferente il Governo di Singapore visto che quattro fornitori della APP hanno ricevuto un avviso di garanzia per violazione del trattato transfrontaliero sul fumo e sull’inquinamento, mentre alcuni di essi sono da alcuni mesi oggetto di investigazioni da parte delle autorità indonesiane.
Per far fronte all’emergenza una coalizione di associazioni ambientaliste e per i diritti umani indonesiane ha inviato una lettera aperta al Governo e agli acquirenti internazionali di cellulosa, carta e olio di palma “made in Indonesia” ricordando che “Sono ormai più di 100 giorni che le popolazioni di Sumatra e Kalimantan soffrono del fumo degli incendi – si legge nella lettera -. Le nostre associazioni chiamano tutti i consumatori, acquirenti e investitori delle imprese coinvolte in incendi boschivi, come la APP, la APRIL, WILMAR, e Cargil di fermare ogni forma di cooperazione e o smettere di acquisire i loro prodotti, finché non ci sarà un miglioramento verificato da una parte terza”. Stando a quanto dicono gli ambientalisti quella del boicottaggio delle aziende coinvolte è essenziale “per aiutare queste aziende a mantenere davvero il loro impegno verso una deforestazione zero, e proteggere in futuro le comunità forestali indonesiane dai pericoli degli incendi forestali e delle torbiere”.
Non è la prima volta che le multinazionali sacrificano i nostri “polmoni verdi” in nome del profitto, e non capita solo nei paesi in via di sviluppo. Nel maggio di quest’anno gli incendi boschivi in Alberta, Canada, estesi su 17.500 ettari di foreste, sono stati una conseguenza dell’estrazione del petrolio delle sabbie bituminose. “Le sabbie bituminose – ha ricordato l’Osservatorio Salva le Foreste – sono depositi di sabbia o arenaria che contengono una miscela di sabbie, argilla, acqua e bitume, e stanno diventando sempre più importanti e remunerativi nella corsa all’ultimo petrolio sulla terra”, anche se con impatti sull’ambiente gravi “per via dell’inquinamento dell’aria e del suolo, della deforestazione e dell’emissioni di gas serra”.
Secondo il Global Forest Watch, lo sviluppo industriale e gli incendi boschivi del Canada imputabili alla lavorazione di queste sabbie bituminose, hanno distrutto o degradato “775.500 ettari di foresta boreale dal 2000 ad oggi, un’area estesa sei volte la superficie di New York City”. Se come molti prevedono il boom di estrazione delle sabbie bituminose continuerà indisturbato, al pari di quello della produzione di olio di palma e dei derivati della carta, non possiamo non aspettarci un’ulteriore aumento della deforestazione.
da: Unimondo.org/
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