Chi ha seguito la prima Bussola Quotidiana ricorderà senz’altro l’appuntamento settimanale con Paola Bonzi, direttore del Cento di Aiuto alla Vita (Cav) della clinica Mangiagalli a Milano. Nessun discorso sull’aborto, ma storie di donne che arrivano da Paola con già la decisione di abortire e che spesso cambiano idea grazie all’umanità che incontrano, che fa cambiare loro lo sguardo su quella vita che portano in grembo.Storie che ci insegnano un modo di guardare le persone che abbiamo davanti, con quella tenerezza e quella speranza di cui tanto ci parla papa Francesco. Da oggi le storie che Paola Bonzi incontra al Cav tornano su La Nuova BQ: sarà l’appuntamento fisso del sabato, non per niente il giorno settimanale dedicato alla Madonna. A lei, Madre della Vita, affidiamo Paola e le donne che incontra nel suo lavoro quotidiano. Anzi: a chi vorrà leggere gli articoli di Paola, chiediamo al termine di elevare una preghiera per la donna protagonista della storia. (R.Cas.)
Che bella l’idea di ricominciare la collaborazione con La Nuova Bussola Quotidiana! Sono fatta di storie e, queste, vorrò riproporre.
Lunedì mattina. La giornata è davvero una giornata d’inverno. Milano è coperta da una coltre di nebbia e l’aria è pungente. Chissà se arriverà qualcuno? La mia stanza è pronta a offrire lo spazio accogliente e, io, la mente e il cuore.
Al nostro Centro di Aiuto alla Vita Mangiagalli, si arriva con l’ascensore della scala B ma, quel giorno, è stata indicata a Claudia la scala H, scala di servizio per il personale sanitario che parte direttamente dall’ufficio della 194. Sono tre piani altissimi e la signora è arrivata col fiatone.
Elena ha subito offerto qualcosa per ristorarla ma Claudia ha rifiutato dicendo che voleva soltanto fare al più presto questo colloquio che le avevano indicato. E allora:
«Paola c’è una persona per te».
Le presentazioni di rito, la stretta di mano, l’invito ad accomodarsi.
«Immagino di dover raccontare e non ne posso più di dire sempre le stesse cose». Mi butta lì le parole che mi raggiungono con una sorta di aggressività. Metto tutto dentro e soggiungo:
«Il mio desiderio è di ascoltarla per fare insieme a lei un po’ d’ordine nelle sue emozioni. Cosa ne dice? E’ possibile?»
Claudia racconta e così apprendo che ha trentasei anni, che da dodici ha un compagno buono, realizzato, ottimo padre del suo bimbo Filippo di due anni e mezzo, e che, forse, lei si sente un po’ annoiata con lui, non ne è innamorata, non vuole un altro figlio da lui che non vive come l’uomo della sua vita.
Lascio che si racconti, soprattutto a se stessa. Continua: “Pensi, che credo di averlo cercato, questo bambino. Tutti mi dicevano che sarebbe stata buona cosa che mio figlio, avesse un fratellino. Questa, però, è la cosa che più mi fa paura! Io sono figlia unica e, ancora oggi, ho incubi notturni in cui sogno che la mia mamma aspetti un altro bambino.
Da quando sono incinta, prendo Filippo nel mio letto e lo stringo stretto.
Sento che lo sto tradendo con questo bambino in grembo.”
Claudia è una donna colta, sa di psicologia e, infatti, precisa puntualmente: «Con la mia mamma ho avuto una relazione simbiotica e so benissimo che ciò non permette relazioni sane. Ora sto proiettando le mie emozioni di attaccamento su Filippo ma, nonostante l’analisi, non riesco a fare altrimenti».
Il mio silenzio è zeppo di interrogativi che non oso proporre. Dico però: «Forse è proprio per questo che lei dovrebbe portare avanti la gestazione di questo piccolo bimbo!»
E allora si fa strada un altro pensiero:
«So di non essere innamorata dell’uomo con cui vivo anche se siamo insieme da dodici anni ed è un uomo intelligente, buono, che dà sicurezza e vorrebbe questo bambino; forse continuo a sperare di separarmi da lui per un’altra persona e come farei con due figli?»
Sono abituata ad ascoltare le mie emozioni e mi rendo conto di essere, in questo momento, estremamente confusa, sofferente e impotente. Provo a proporre a Claudia la riflessione sulle conseguenze del suo atteggiamento educativo e lei afferma di esserne consapevole ma che è altrettanto convinta che Filippo soffrirebbe molto e che la sua vita sarebbe colma di infelicità.
Tento l’ultima carta: “Posso mostrarle la fotografia di un bimbo a questo tempo (89 giorni) di gestazione?” E porgo a Claudia il nostro “magico” fascicolo. «Come le ho già detto, so già tutto. Ho visto le fotografie in internet».
Accetta comunque di guardare il piccolo bimbo: Sì, è bello. Tutti i miei dubbi, però, restano. Davvero mi sento fortemente impotente e frustrata; credo di non avere altri argomenti. «Penso di doverla salutare, Claudia, ma mi piacerebbe che portasse con sé una cosa mia. Posso regalarle il mio libro?». «Grazie, mi piacerebbe molto!».
Ed ecco l’imprevisto farsi strada:. «Mi porteresti un mio libro», chiedo in segreteria. «Non ne ho neanche uno, in questo momento – mi rispondono – li abbiamo dati tutti per la Fiera».
Guardo desolata Claudia che ha sentito la risposta di Elena e …
«Un buon motivo per tornare!», esclama sorridendo.
.«Allora l’aspetterò!». Stringendole la mano, mi viene come da strizzarle l’occhio. Il clima è di una certa complicità.
Fonte: http://www.lanuovabq.it/
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