Col sostegno del Cemo creato un “fondo di restauro per servizi sociali“ e “infrastrutture danneggiate”. L’obiettivo è contribuire al ristabilimento delle comunità locali, dei luoghi di culto, delle scuole. Secondo stime Onu il 69% dei siriani vive in condizioni di estrema povertà. Giovani e professionisti fuggiti all’estero.
Beirut (AsiaNews) – Circa 1500 comunità della Chiesa evangelica dei Paesi Bassi hanno deciso di rispondere a un “appello speciale al recupero delle comunità cristiane in Siria”, e alla ripresa dei loro servizi religiosi e sociali nelle differenti regioni del Paese. In risposta alla richiesta, col sostegno del Consiglio delle Chiese del Medio oriente (Cemo) si è creato un “Fondo di restauro per servizi sociali di ispirazione religiosa e delle infrastrutture religiose danneggiate durante la crisi in Siria”, come spiega una nota del segretariato con sede a Beirut.
L’annuncio è giunto nel contesto di una teleconferenza che ha riunito alcuni rappresentanti di Kerk in Actie (KiA) – Pays-Bas (Chiesa in azione – Paesi Bassi), donatori di un programma di aiuti, chiese partecipanti e alti funzionari del segretariato generale del Consiglio delle Chiese del Medio oriente a Beirut. Il rinvio del lancio ufficiale del programma, a causa della pandemia di nuovo coronavirus in atto, non ne ha però impedito la sua attuazione dal punto di vista pratico e tecnico, seppure a distanza.
Il suo obiettivo è quello di contribuire al ristabilimento delle comunità locali, ripristinando e ristrutturando i loro luoghi di culto, così come le loro scuole, i loro dispensari e le altre installazioni comunitarie danneggiate dal conflitto. A questo si unisce il proposito di garantire il ritorno delle popolazioni sfollate nei loro luoghi di origine, o nei luoghi di lavoro e nelle scuole.
Samer Laham, direttore regionale del dipartimento diaconia del Cemo, ha dato l’annuncio pratico dell’avvio del programma a Beirut; gli aiuti del nuovo fondo, spiega, andranno a beneficio di tutte le Chiese della Siria senza discriminazione alcuna, sotto forma di una partecipazione maggioritaria ai costi dei lavori di ricostruzione o di ristrutturazione avviati.
Lo stesso Laham ha detto di sperare che questo progetto, dai tratti pionieristici, possa fare scuola e incoraggiare le altre Chiese locali e internazionali a collaborare agli obiettivi desiderati. Fra questi vi è in primis “il ritorno degli sfollati e dei rifugiati nelle loro città e villaggi di origine”, unito al “consolidamento della presenza cristiana che affonda le proprie origini nell’apparizione del cristianesimo in questa regione del mondo”.
Dal canto suo Wilbert van Saane, rappresentate di Kerk in Actie, fra i principali finanziatori del programma, ha voluto sottolineare che la Chiesa evangelica nei Paesi Bassi è cosciente della profonda solidarietà che unisce le Chiese orientali e quelle occidentali. Questo comporta che costruire le une significhi al contempo dare alle altre motivi di proseguire nel cammino. “Come pietre vive – ha sottolineato – noi continuiamo a essere costruite nel tempio spirituale, anche se non siamo tutti nello stesso luogo fisicamente”. Egli ha poi rimarcato il carattere profondamente ecumenico dell’iniziativa, che riunisce tutte le Chiese in Siria, avvalendosi anche degli incoraggiamenti del Consiglio delle Chiese del Medio oriente.
Le varie missioni della Chiesa condotte in Siria rivelano l’urgenza di un processo di ricostruzione non solo materiale, ma al tempo stesso umana, civile e spirituale. Nel corso di una di queste missioni, la Congregazione delle Chiese orientali ha espresso la propria “preoccupazione” per il “dramma di un Paese pesantemente ferito nelle proprie strutture”, con quartieri e villaggi distrutti per intero. Sottolineando la “totale desolazione” di certe zone, essa si domanda “se e come quelli che hanno lasciato le loro case, vi possono ritornare”.
Inoltre, secondo le stime fornite dalle Nazioni Unite il 69% dei siriani vive in condizioni di estrema povertà. Una delle preoccupazioni principali della popolazione locale è “l’emigrazione massiccia all’estero, in particolare dei giovani, dei professionisti, dei medici”. Una delle conseguenze è “un enorme impoverimento” delle strutture sanitarie.
Nell’immagine: Bambini di Aleppo, foto tratta dall’account Twitter di Cor Unum
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