Il cinema al servizio dell’azione evangelizzatrice

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charlton-heston-as-moses-in-the-ten-commandmentsDavide Zordan, La Bibbia a Hollywood. Retorica religiosa e cinema di consumo, coll. Sguardi, Edizioni Dehoniane, Bologna 2013, pp. 112, €8,50.

Recensione di Federica Gramiccia, DiRS-GBU.

Bibbia, cinema e storia nei film di DeMille Nel 1922 il regista Cecile B. DeMille bandì un concorso sulle pagine del quotidiano Los Angeles Times attraverso il quale i partecipanti potevano suggerire un’idea per il suo nuovo film. Il vincitore suggerì l’idea di un film sui dieci comandamenti, e a quanto pare egli non fu l’unico a dare questa indicazione. Per esaudire pienamente le attese suscitate, DeMille progettò di portare sullo schermo la vicenda biblica dell’Esodo, con un impegno produttivo enorme e un impianto spettacolare di grande richiamo. Nasce così il successo de I dieci comandamenti (1923), film di cui lo stesso DeMille dirigerà un remake sonoro e a colori, ben più noto al pubblico odierno, nel 1956.

L’analisi dei rapporti che il cinema ha istituito con il testo biblico è un campo di ricerca ampio e variegato. Proprio a Hollywood si concentra l’indagine dei rapporti tra cinema e Bibbia condotta dal ricercatore del Centro per le Scienze Religiose della Fondazione Bruno Kessler di Trento, Davide Zordan, e più precisamente alla figura emblematica di Cecil Blount DeMille (1881-1959), che di Hollywood fu padre prima di diventare figlio, e che ha contribuito più di ogni altro a istituire il film a tema biblico come un genere riconoscibile e standardizzato.

Anzitutto, perché guardare al cinema americano? Perché storicamente spetta agli americani come “popolo della Bibbia”, dall’identità soprattutto religiosa derivante dai Padri pellegrini e dai coloni, l’aver assicurato al protogenere sull’antichità classica come fonte principale il Libro dei libri. A questa matrice cristiana va senza dubbio abbinata quella ebraica, fortemente presente nella produzione americana. In queste condizioni culturali, e tenuto conto della fame di racconto del cinema delle origini, l’idea di potersi appellare al “Libro” per poter fare qualcosa che bene o male andasse bene per tutti dovette imporsi in maniera molto naturale.

L’audacia di DeMille, ci ricorda Zordan, non stava tanto nelle vicende illustrate quanto nella capacità di trattare la materia in un modo nuovo, in grado di soddisfare i desideri del pubblico lavorando soprattutto su piaceri sostitutivi e immaginari succedanei.

Tra la prima e la seconda trasposizione de I dieci comandamenti c’è uno scarto di due generazioni e una transizione storico-sociale d’enorme portata per gli Stati Uniti. Passando attraverso la Grande Depressione e il New Deal, Pearl Harbor, la guerra e la caccia alle streghe del comunismo, il Paese impara a convivere con la disillusione anche nel buio delle sale di proiezione. DeMille mette dunque in scena per la seconda volta la storia dell’Esodo, e ribadisce con forza il suo progetto più ambizioso e sentito: fornire al pubblico uno schermo mitico in cui ritrovare il nucleo ideologico del sogno americano, cementato dai semplici e sani principi della storia biblica.

È però con Il re dei re (1927) che DeMille compie il passo decisivo verso la definizione dei caratteri basilari dell’epica religiosa.

In realtà, il cinema aveva fatto ricorso alla vicenda di Gesù fin dai suoi esordi, e non aveva mai smesso di farlo, ma come declinare la sobria sacralità delle narrazioni evangeliche con i codici scenografici e spettacolari dei prodotti di Hollywood? Non i limiti tecnico-linguistici, ma i canoni cinematografici imposti dal sistema di Hollywood conducono DeMille a una rappresentazione di Gesù sbilanciata verso gli elementi più eloquenti e spettacolari; non l’incapacità di rendere complessa la materia ma la volontà d’accentuarne i contrasti per stimolare le emozioni più forti. La controprova è data dal fatto che il medesimo atteggiamento si riscontra nei registi americani che tornano a rappresentare Gesù direttamente o indirettamente negli anni Cinquanta e Sessanta, da Henry Koster a Nicholas Ray, da Richard Fleischer a George Stevens fino a William Wyler.

Del resto, l’ispirazione biblica è l’elemento fondante del cinema di DeMille, riconoscibile già ben prima che egli giunga ad affrontare tematiche esplicitamente religiose e s’imponga come uno dei registi di riferimento della Hollywood classica. L’educazione biblica ricevuta durante l’infanzia ha certo segnato nel corso della sua lunga carriera molte delle scelte di regista e produttore, non meno però della sua capacità d’interpretare le logiche dell’industria cinematografica e di rimanere in sintonia con i desideri e le attese di un pubblico in continua mutazione.

Il cinema si pone dunque al servizio dell’azione evangelizzatrice nella quale Gesù ha impegnato i suoi discepoli e la Chiesa intera, cosciente di possedere l’universalità del messaggio e la capacità di penetrazione necessarie per arrivare proprio fino ai confini estremi della terra, e attraverso il testo di Zordan è possibile servirsi dell’esempio di DeMille per riflettere sul cinema biblico in quanto fenomeno culturale complesso e per misurare i diversi motivi della sua durevole attestazione.

Federica Gramiccia

Fonte: http://www.cristiani.info/


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