Cina: La Legge sul figlio unico è lo strumento con cui il Partito può restare al potere. Intervista a Reggie Littlejohn

imagesCAXB0IDEL’attivista americana fondatrice di Women’s Rights Without Frontiers racconta come ha iniziato la sua battaglia contro la politica cinese di pianificazione familiare, e le sue battaglie per fermare gli aborti forzati e le sterilizzazioni forzate. A causa del controllo sulle nascite, spiega l’avvocato Littlejohn, “il sistema locale cinese rischia il collasso”.

Roma – “Mantenere la legge sul figlio unico non ha ragioni logiche, ma è il modo con cui il Partito comunista può controllare la popolazione cinese, instaurando una cultura del terrore”. È quanto afferma ad AsiaNews Reggie Littlejohn, avvocato statunitense che da anni si batte contro gli aborti forzati e le sterilizzazioni forzate in Cina, risultato della politica di pianificazione familiare imposta dal governo. In occasione della 10ma Conferenza internazionale sulla salute materna (Roma, 18-22 settembre), l’agenzia di stampa AsiaNews ha intervistato la fondatrice di Women’s Rights Without Frontiers, che ha raccontato perché ha deciso di impegnarsi contro gli orrori della legge sul figlio unico. Dall’incontro con alcuni rifugiati cinesi fuggiti negli Usa per chiedere asilo e dalla lotta contro una grave malattia è nato il suo impegno “per tutte quelle persone che stavano peggio di me, come le donne vittime di aborti forzati e sterilizzazioni forzate, o le persone perseguitate per la loro fede”. Oggi è promotrice della campagna “Save a girl” e porta in giro per il mondo il documentario “It’s a girl!“, dove le vittime di aborti selettivi – in India e in Cina – raccontano le loro storie. Di seguito, l’intervista di Reggie Littlejohn.

Come è arrivata a occuparsi della legge sul figlio unico? Qual è la sua storia?

Io sono un avvocato, mi sono laureata a Yale e per circa otto anni mi sono occupata di diritto fiscale e commerciale a San Francisco. In quel periodo ho rappresentato pro bono alcuni rifugiati cinesi nella loro richiesta di asilo politico negli Stati Uniti. La prima fu una donna, che era stata perseguitata perché cristiana e sterilizzata con la forza. Era mingherlina, sarà stata alta sì e no 1,50 m. Aveva già avuto due figli e le autorità facevano pressione affinché si facesse sterilizzare. Bussavano alla sua porta ogni giorno e ogni volta lei si rifiutava, perché molte donne del suo villaggio avevano gravi problemi di salute per le sterilizzazioni subite. Ha resistito finché non l’hanno presa di peso e trascinata via dalla sua casa, letteralmente. L’hanno gettata su un tavolo, le hanno aperto l’addome e legato le tube, senza anestesia. Mi raccontò che il dolore provato era inimmaginabile. Quella sterilizzazione le ha provocato un’infezione estesa, che l’ha lasciata con emicranie e dolori cronici alla schiena e all’addome. Ricordo che sedevo alla mia scrivania, nel mio bellissimo ufficio di San Francisco, circondata dalla civiltà e dalla libertà, e pensavo: “Non posso credere che cose del genere accadano sul serio, oggi, a un quinto della popolazione femminile mondiale”. Perché in Cina una donna su cinque è costretta ad abortire o a essere sterilizzata.

In seguito ho seguito altri due casi di donne vittime della legge sul figlio unico. Poi mi sono ammalata. Nel 2003 ho subito una mastectomia bilaterale, ma l’operazione ha avuto delle complicazioni e ho sviluppato un’infezione da stafilococco Mrsa resistente agli antibiotici. Per oltre 10 settimane sono stata sottoposta ad altri interventi e trattamenti antibiotici molto aggressivi. Non sapevo se sarei sopravvissuta o meno, e ho iniziato a pregare per tutte quelle persone che stavano peggio di me, come le donne vittime di aborti forzati e sterilizzazioni forzate, o le persone perseguitate per la loro fede.

Quando mi sono ripresa ho iniziato a scrivere una sceneggiatura, poi diventata il film Pearls of China, in cui racconto il dramma di queste donne. E ho fondato Women’s Rights Without Frontiers. Molte persone sanno che in Cina vige la legge sul figlio unico, ma non sanno che per attuarla il governo costringe le donne ad abortire e a farsi sterilizzare. Sentivo di dover far conoscere questa realtà ed è così che ho iniziato a occuparmi di questo. Women’s Rights Without Frontiers cerca di unire i movimenti pro-scelta e pro-vita contro gli aborti forzati. È qualcosa su cui tutti dovrebbero essere d’accordo, perché gli aborti forzati non sono una scelta e nessuno può sostenere gli aborti selettivi femminili. Ogni organizzazione che si occupa dei diritti riproduttivi delle donne deve opporsi agli aborti forzati e alla sterilizzazione forzata delle donne. Qualunque organizzazione si occupa della salute riproduttiva delle donne deve opporsi alle sterilizzazioni forzate, perché esse non distruggono soltanto l’apparato riproduttivo della donna, ma compromettono la salute nella sua totalità.

Perché la Cina non elimina la legge sul figlio unico?

Non ci sono ragioni logiche per cui mantenere la legge sul figlio unico. In primo luogo perché questa politica ha ridotto la forza lavoro disponibile, e il Paese sta già perdendo molti affari, in favore di altri Paesi che hanno una manodopera più numerosa ed economica. In secondo luogo per quello che io chiamo “China senior tsunami”. La legge ha dato un duro colpo al tasso riproduttivo: dopo il boom demografico dell’epoca di Mao – dove le donne avevano in media 5,9 figli – oggi la media è di 1,7 a testa. Ma i figli di quel boom stanno invecchiando e andando in pensione, e non ci sono abbastanza giovani che possano prendersi cura di loro, né un programma di sicurezza sociale. Sembra di assistere a un disastro demografico a rallentatore. Infine, c’è un problema di squilibrio di genere. Oggi in Cina ci sono 37 milioni di uomini in più rispetto alle donne e questo destabilizza la società: genera traffico di esseri umani, dentro e fuori del Paese; favorisce la criminalità; molte donne vengono rapite e vendute come mogli. A differenza degli uomini, le donne possono migliorare la loro condizione sposando uomini di livello sociale più alto. Questo ha creato i cosiddetti “villaggi degli scapoli”, dove vivono solo uomini. Sono zone molto remote e questi abitanti vengono chiamati bare branches, “rami nudi”, perché non porteranno mai avanti il loro albero genealogico.

Tutto questo non ha senso, ma dubito che la legge sul figlio unico sarà abbandonata in breve tempo, perché permette al Partito comunista di restare saldo al suo posto, per diversi motivi. Anzitutto, questa legge tocca tutti i cittadini: attraverso aborti forzati e sterilizzazioni forzate il Partito si assicura la sua autorità e afferma il suo potere. Un potere che parte da Pechino, si irradia in tutto il Paese e dà il potere di dichiarare la vita o la morte di chiunque. Questo crea una cultura del terrore, che consente al Partito di controllare la popolazione attraverso il terrorismo. Gli stessi funzionari della pianificazione familiare agiscono come dei terroristi: possono fare qualunque cosa, anche uccidere chi si oppone, senza subire alcuna ripercussione.

C’è poi un sistema di informatori pagati: una donna può essere denunciata dai suoi vicini, colleghi, amici. Questo sgretola i rapporti umani: se non sai a chi puoi credere, perché chiunque potrebbe denunciare la tua gravidanza, come puoi instaurare una democrazia? Inoltre l’attuazione della legge sul figlio unico coinvolge milioni di persone: queste strutture di coercizione vanno mantenute, perché sono una grande macchina per soldi. Ogni anno il Partito guadagna miliardi di dollari grazie alle multe che le persone pagano per aver violato la legge sul figlio unico. È un controllo sociale mascherato da controllo della popolazione.

Come funziona la campagna “Save a girl” e come si lega al documentario “It’s a girl!”?

In Cina abbiamo una rete sotterranea di attivisti che lavorano sul campo e riescono a identificare donne che si sono sottoposte a test per la determinazione del sesso, che non vogliono avere una bambina, che stanno per avere un aborto, o hanno già avuto una bambina e hanno deciso di abbandonarla. Quando le troviamo, diciamo loro di non abortire e di non abbandonare queste creaturine solo perché sono femmine. Offriamo loro uno stipendio mensile per un anno con il quale crescere la bambina. Nel 90% dei casi queste donne decidono di tenere le loro figlie. Il momento più vulnerabile per una bambina è tra il quinto mese di gravidanza – quando puoi stabilire se è un maschio o una femmina – fino a quando ha tre-quattro mesi di vita, perché è quando inizia a sviluppare la sua personalità, a sorridere, a interagire di più. Se si riesce a intervenire in quel lasso di tempo, possiamo salvare la vita di una bambina. Questo è quello di cui si occupa la campagna.

Women’s Rights Without Frontiers sostiene anche le donne che scappano da aborti forzati; donne così povere che anche i loro figli sono a rischio; figli di dissidenti perseguitati. Ci occupiamo anche dei “bambini dimenticati” (forsaken children): a volte quando una coppia divorzia e si risposa, abbandona i figli del primo matrimonio, sia che siano maschi o femmine. Anche questi bambini sono vittime della legge sul figlio unico, che vieta di avere figli nel secondo matrimonio se già ne hai avuto uno nel primo.

Il film It’s a girl! è associato a una campagna d’azione. L’obiettivo non è solo denunciare un problema, ma anche coinvolgere le persone e spingerle a fare qualcosa. In Cina la campagna legata al documentario è la nostra Save a girl.

Come mai India e Cina, due Paesi radicalmente diversi, hanno in comune una pratica come gli aborti selettivi e gli infanticidi femminili?

India e Cina sono molto molto diversi tra loro, ma in tutta l’Asia c’è una preferenza nei confronti del figlio maschio. Nel caso dell’India e della Cina si dice che crescere una figlia è come innaffiare il giardino di qualcun altro. Una ragazza è considerata inutile per diverse ragioni. Anzitutto è il maschio che compie i riti funebri per la famiglia, quindi hai bisogno di un figlio quando morirai. Tuttavia, [avere un maschio] è ancora più importante in una prospettiva matrimoniale. Secondo la tradizione, in entrambi i Paesi con il matrimonio la donna diventa parte della famiglia del marito. I genitori dello sposo guadagnano una nuora e la nuova coppia sosterrà i genitori di lui per tutta la loro vita. Al contrario, la famiglia della sposa perde una figlia.

Nel caso della Cina, con la legge sul figlio unico – se hai un solo figlio  e quel figlio è una femmina – molte coppie si sentono divise tra il praticare un aborto selettivo o affrontare la povertà quando saranno anziani. Nel caso dell’India c’è un ulteriore fattore: la dote. Quando una donna scopre di essere incinta di un maschio, lei sa che quando lui si sposerà, la famiglia si ritroverà con un mucchio di soldi dalla famiglia della futura moglie. Quando una donna resta incinta di una femmina, sa che per far sposare sua figlia dovrà dare molti soldi alla famiglia dello sposo. Quindi in India c’è un forte incentivo economico a non avere una bambina. Ma in Cina il non poter avere più di un figlio è una forza ancora più potente. E nelle campagne è anche peggio: lì è possibile avere due figli se il primo è una femmina. Ma secondo le analisi demografiche, è proprio quando si cerca di avere il secondo figlio che avviene la maggior parte degli aborti selettivi. Perché sanno che quel secondogenito è la loro ultima possibilità per avere un maschio. 

Fonte: Asia News


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