Negli Atti degli apostoli sono descritti diversi momenti in cui la Chiesa era estremamente sotto attacco della persecuzione.
Dalla narrazione, però, è molto evidente che più grande era la persecuzione, più forte era lo zelo dei credenti nel restare ancorati a Cristo e predicare il Vangelo in ogni luogo: “Allora quelli che erano dispersi (a causa della persecuzione) se ne andarono di luogo in luogo, portando il lieto messaggio della Parola” (Atti 5:42).
La storia ci fa partecipi di come sotto gli attacchi, la Chiesa abbia sempre cercato con carattere di dare comunque un impatto forte nel mondo, resistendo alla persecuzione senza piegarsi a essa, ma continuando a essere presente con la predicazione della Buona Notizia e con le opere che l’accompagnano.
Oggi, invece, in questi tempi seppur difficili che ci hanno colpito a livello mondiale, molte comunità cristiane locali hanno deciso di restare chiuse, nonostante lo Stato non glielo abbia imposto.
Personalmente, non condivido affatto questa decisione dei ministri di Dio. Il coronavirus ci pone in una situazione di emergenza, ma nelle situazioni di emergenza il ruolo dei ministri è analogo a quello dei medici. I pastori devono svolgere sul piano spirituale e morale quello che i medici svolgono sul piano sanitario. I pastori per la cura delle anime, i medici per la cura dei corpi. E le pecorelle devono essere a disposizione della comunità.
Il problema è che la chiusura delle chiese sembra essere espressione di una certa impermeabilità spirituale, che oggi dimostrano di avere alcune autorità ecclesiastiche italiane e non. Chiudendo le chiese, riducendo i culti, sconsigliando legittimamente assembramenti di fedeli, si rinuncia alla missione che Cristo ha dato alla Sua Chiesa.
In questo momento, molti ministri e credenti, purtroppo, si stanno giustificando che “bisogna essere sottomessi alle autorità”. Ma sottomessi a quali autorità? Alle autorità di questo governo anticristo che sta avanzando sempre più nel mondo?
Nei momenti di catastrofe naturale – come questo che riguarda un’epidemia – è giusto che siano prese tutte le precauzioni possibili, ma accanto alle precauzioni indispensabili e materiali esistono anche quelle spirituali. Una di queste è la preghiera, che dovrebbe rimanere pubblica e comunitaria. Dove non arriva la medicina, può arrivare Dio, cui tutto è possibile.
Nella storia della Chiesa, dai tempi dei primi credenti a oggi, i cristiani si sono sempre riuniti per contrastare le epidemie. Come? Invocando l’aiuto di Dio. Non si tratta di non avere paura della morte, ma per scampare dalla morte spirituale e fisica bisogna usare soprattutto il rimedio della preghiera.
Capisco benissimo il disagio che questo momento difficile porta a tutti noi, ma chiudere le chiese, nonostante lo Stato non l’abbia ancora imposto, è sintomo di arresa a questo governo che vive nell’ateismo teorico e pratico.
Ringraziato sia comunque Dio poiché, anche se i locali di culto chiudono, la vera Chiesa non chiude mai, perché la Chiesa siamo noi!
Alessio Sibilla
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