CHI È IL PASTORE?

Nel 1994 esce nellle sale cinematografiche il film Forrest Gump con un grande Tom Hanks nella parte del protagonista diretto da Robert Zemeckis. Una pellicola che riscosse grande successo e ben 6 premi Oscar.

Il film è intriso sino alle midolla del sentire statunitense, dove lo sfortunato Forrest, nonostante il suo deficit, è protagonista attivo di un pezzo di storia americana ed incarna la filosofia del chiunque può farcela.

La mamma di Forrest è una donna forte e coraggiosa che aiuta il figlio a superare i preconcetti e gli da una buona educazione, tanto che il figlio spesso la cita nel film iniziando sempre con l’espressione “mia mamma dice…”.

La citazione di questo tipo che mi è rimasta più impressa è “Mamma dice che stupido è, chi lo stupido fa !”.
Già, questa frase definisce una inoppugnabile realtà, una cosè è in quanto tale ed il termine che la definisce non può cambiare di significato sulla base arbitraria di chi lo usa.

A questo proposito mi sono chiesto, ma cosè un pastore o un ministro del Signore? Sono, come dice qualcuno, degli eletti, degli unti del Signore? Sono delle professioni? E poi chi li fa tali, il Signore? Gli uomini?

Nella Bibbia il termine “pastore”, con riferimento a degli uomini è citato pochissime volte, mentre più spesso tale parola è usata per Gesù, il divino Pastore.

Nella Bibbia vi sono aggettivi (es. “santo”,”unto”,”pastore”) che sono propri di Gesù ma che a volte vengono usati anche per descrivere delle persone. Questo non perché tali soggetti siano effettivamente come Gesù, relativamente all’aggettivo usato, ma perché si suppone che dovrebbero esserlo.

Insomma il termine indica più un auspicio, un richiamo o una aspettativa che non una realtà oggettiva.

Ad esempio Paolo chiama i salvati di santi, non perché Paolo li abbia voluti promuovere tali sul campo, ma perché ci si aspetta che un salvato sia effettivamente santo in quanto proteso verso la santificazione.
Ma tra l’essere una cosa e l’auspicare che lo sia ce ne corre.

Gesù in Matteo 23:1-11, rivolgendosi alla folla ed ai discepoli dice:

“Gli scribi e i farisei siedono sulla cattedra di Mosè. Fate dunque e osservate tutte le cose che vi diranno, ma non fate secondo le loro opere; perché dicono e non fanno. Infatti, legano dei fardelli pesanti e li mettono sulle spalle della gente; ma loro non li vogliono muovere neppure con un dito. Tutte le loro opere le fanno per essere osservati dagli uomini; infatti allargano le loro filatterie e allungano le frange dei mantelli; amano i primi posti nei conviti, i primi seggi nelle sinagoghe, i saluti nelle piazze ed essere chiamati dalla gente: “Rabbì!” Ma voi non vi fate chiamare “Rabbì”; perché uno solo è il vostro Maestro e voi siete tutti fratelli. Non chiamate nessuno sulla terra vostro padre, perché uno solo è il Padre vostro, quello che è nei cieli. Non vi fate chiamare guide, perché una sola è la vostra Guida, il Cristo; ma il maggiore tra di voi sia vostro servitore. Chiunque si innalzerà sarà abbassato e chiunque si abbasserà sarà innalzato.”

La cattedra di Mosè, rubando un termine al gergo militare, venne da questo guadagnata sul campo, la sua non fu una cattreda fatta di retorica ma di genuino sacrificio.

Da questo passo sembrerebbe aver preso vita il detto popolare “fai quel che il prete dice e non quello che il prete fa”.

Alcuni riconducono l’intero passo al fare dei farisei, annullando così il significato di tutto il discorso.

Gesù qui usa termini come Rabbì, Maestro, Guida, Padre, tutti assimilabili al significato di pastore, esortando i suoi a non promuovere nessuno, nella propria vita di crente, al ruolo di insegnante o di guida spirituale e questo per il semplice fatto che tutti siamo chiamati a servire ed a crescere nella fede e nella santificazione.

Concetto che ritroviamo espresso anche nella teologia del segreto messianico.
Per essere più chiari Gesù non dice che non dobbiamo ascoltare i buoni consigli, siano essi provenienti dal fratello più giovane o da quello più anziano, ma che dobbiamo crescere spiritualmente ciascuno sulle nostre gambe attraverso la meditazione delle Scritture con la guida dello Spirito Santo ed avendo come unico punto di riferimento e modello ispirativo Gesù.

Questo concetto sarebbe apparentemente in contrasto con tante figure bibliche che ricoprono nei secoli la veste di guide del popolo di Dio, a partire proprio da Mosè sino ad arrivare agli Apostoli.
In realtà però questi personaggi sono da vedere come propedeutici e non funzionali per giungere dalla transizione del vecchio al nuovo patto che prevede una chiesa cosciente e responsabile.

Occorre tenere presente che dalla chiesa primitiva sino in epoca relativamente recente l’alfabetizzazione impediva di fatto che la Parola fosse pienamente fruibile da tutti i credenti. Per ragioni pratiche era necessario che nelle chiese vi fossero delle persone preparate, in grado di leggere e di saper spiegare il senso delle Scritture.

Nella chiesa primitiva dunque il pastore era persona già istruita o portata ad essere preparata, dotata ovviamente anche delle giuste doti spirituali e che poi avrebbe servito i fratelli.
Il pastore era “eletto” dalla chiesa e nasceva in seno alla chiesa.

Con l’avvento della chiesa cattolica il pastore diviene parte di una sorta di casta. Il prete cattolico è parte di un sistema di potere politico e religioso, è spesso ricco e conduce una vita agiata. Inizialmente non è neanche tenuto alla castità e spesso è sposato con prole, come vuole la tradizione cristiana.

Questo sino a quando non compaiono i monaci, nuovo ordine religioso che, conducendo una vita povera ed austera, mette in cattiva luce la vita non proprio monacale del clero cattolico.
Così anche i preti, loro malgrado, dovranno adeguarsi all’esempio dato dai monaci e rinunciare almeno nelle apparenze ai piaceri della carne ed abbracciando la castità.

Da qualche decennio la Bibbia è fruibile praticamente da tutti eppure le chiese hanno pressochè mantenuto inalterata la tradizione ecclesiale con i preti nella chiesa cattolica e con i pastori nella chiesa riformata.

Per quanto concerne al cattolicesimo come sappiamo questo è ingessato da una religione/stato, fatto di tradizioni, di regole, di potere e via discorrendo.

La chiesa riformata invece è quantomeno concettualmente fluida, anche se in realtà poi ci sono casi di denominazioni che ricalcano gli stessi schemi autocratici della chiesa cattolica.

Torniamo così alla domanda iniziale, oggigiorno cos’è il pastore o il ministro nella chiesa riformata?

E’ il laureato in teologia?
No, del resto ci sono molti Dottori teologi che di servire la chiesa non ci pensano proprio.
Del resto una laurea non fa di un uomo un uomo di fede ne un servo di Dio.

Allora forse il pastore è il ministro di culto, così come indicato dalla legislazione italiana che regolamenta le chiese riconosciute non cattoliche?

Certo che no, perchè ci sono tante chiese non riconosciute dove esercitano pastori che non godono dello status legale di “ministro di culto”.

Di fatto lo Stato sembrerebbe voler inquadrare il pastorato come una professione, così come avviene nella chiesa cattolica, pur lasciando nei fatti piena libertà alle varie chiese su come gestire la cosa. Questo dal punto di vista pratico o laico ma biblicamente parlando chi è il pastore?

Un credente dotato di particolari doti venutegli da una speciale unzione, uno studioso, un eletto dalla chiesa o cosa?

Forse la definizione più calzante di pastore è colui che per disposizione spirituale ha in cuore di servire la chiesa; deve nascere in seno alla chiesa, che ovviamente deve supportarlo, e deve avere una adeguata preparazione teologica e culturale.

Da sottolineare che biblicamente parlando il pastore o ministro è un servo, non una guida ne una figura gerarchica o autocratica.

Esistono tanti buoni servi ma haimè, anche tanti pochi imitatori e ciò che è peggio è che per tanti bravi servi ci sono arcor più tanti cattivi pastori; ora professionisti della religione, ora ambiziosi capitani di ventura.

La chiesa ovviamente non è innocente ma connivente a certe situazioni di comodo, difatti il comandante di turno è vero che spesso pone gravi carichi sulle spalle dei credenti, così come vuole la tradizione faresaica, ma oggi si tratta solo di carichi virtuali che la chiesa ignora e rimanda al mittente.

La figura del pastore su cui scaricare le proprie responsabilità è una situazione di comodo, una gioiosa recita, parodia del mondo che dovrebbe essere così estraneo ai nati di nuovo.

La nuova chiesa non necessita di supereroi dell’Evangelo ma di veri, semplici ed autentici imitatori di cristo o, come si direbbe più comunemente, di cristiani.

Già, è curioso come il significato di un termine possa mutare in funzione di chi lo utilizza.

Disse Gesù:
“Un discepolo non è più grande del maestro; ma ogni discepolo ben preparato sarà come il suo maestro”
(Luca 6:40)

ma a quanto pare ai discepoli spesso non basta essere come il Maestro oppure non si impegnano ad imitare il Maestro ma allora, siano essi pastori, servi o salvati, che razza di cristiani sono?

Insomma, parafrasando Forrest potremmo dire che pastore è chi il pastore fa. O ancora, cristiano è chi il cristiano fa.

No, non sono i pezzi di carta, i corsi di teologia, il parlare in lingue o le grandi capacità oratorie a fare di un uomo un pastore ma sopratutto i gesti, le azioni, insomma, il pastore è chi come Mosè siede su una “cattedra” guadagnata sul campo.

Fabrizio Colapietro

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