Hanno un’età compresa tra i quindici e i ventinove anni e sono talmente scoraggiati dalla situazione economica e lavorativa del proprio paese che non solo non studiano e non lavorano, ma un’occupazione ormai non la cercano neanche più. Le statistiche li definiscono con l’acronimo Neet, che significa appunto “Not in Educational Employement or Training”, e sono l’emblema del momento di crisi globale che l’Italia e l’Europa stanno vivendo, caratterizzato dalla recessione economica e dall’assottigliarsi delle opportunità lavorative anche per i ragazzi più qualificati.
Sempre più economisti e sociologi definiscono i Neet una “generazione a rischio”, e se i dati europei non sono incoraggianti, quelli italiani rischiano di diventare addirittura deprimenti, come depressi sono molti di questi ragazzi che non nutrono più alcuna speranza per il proprio futuro.
Tra le ultime analisi nazionali di questa nuova categoria sociale, c’è non solo il Rapporto sulla coesione sociale elaborato dall’Istat, ma anche quella effettuata sempre dall’Istituto italiano di statistica insieme al Cnel, ovvero il primo rapporto sul Benessere equo e sostenibile in Italia (Bes), presentato l’11 marzo alla Camera dei Deputati. Il rapporto, che ha l’obiettivo di misurare la situazione del paese andando oltre i meri parametri economici (e quindi oltre il Pil), non poteva infatti ignorare importanti indicatori quali le speranze e le aspettative giovanili, e il disagio che la mancanza di prospettive provoca, a livello individuale e dell’intera società.
Si scopre così che nel 2009, anno in cui la crisi ha iniziato a farsi sentire, i Neet erano il 19,5%, per poi arrivare al 22,7% nel 2011. Ciò significa che oggi in Italia abbiamo ben 2 milioni 100 mila giovani completamente immobili. Anche perchè della formazione non si fidano più, e il fatto che di questi, l’8,8% sia costituito da laureati, mostra come la situazione stia diventando pericolosa soprattutto a livello psicologico. Questi ragazzi, infatti, delusi dal fatto che nemmeno il titolo di studio abbia ripagato gli anni di sacrificio al momento di trovare un lavoro, si rifugiano sempre più nell’apatia, vivendo alla giornata, i più ancora nella casa dei genitori (di nuovo la famiglia come ammortizzatore sociale), usufruendo ancora della “paghetta”, senza alcuna speranza di crearsi una vita autonoma.
I dati mostrano che molti restano in questo limbo anche per anni, anche se spesso hanno alle spalle almeno un anno di “ricerca”, con valanghe di curriculum inviati, peregrinazioni tra Informa Giovani e agenzie per il lavoro, tirocini gratuiti e senza sbocchi, precedenti impieghi finiti nel nulla. Dall’altra parte, l’aumento dell’abbandono scolastico è un altro indicatore dell’alto grado di delusione complessiva dei giovani italiani. In tutte queste tipologie, il minimo comune denominatore è la decisione, a un certo punto, di fermarsi, con costi sociali ed economici enormi per il paese. L’Ilo, infatti, l’Istituto internazionale per il lavoro legato alle Nazioni Unite, definisce “allarmante” la situazione italiana dei Neet e il divario determinato dalla provenienza geografica.
Perchè anche in questo caso assistiamo alla solita Italia divisa in due, in cui la maggioranza dei Neet è costituita da donne, con titoli di studio poco richiesti sul mercato del lavoro, per lo più residenti nel Mezzogiorno. Qui la categoria raggiunge la percentuale del 31,9 per cento, un valore quasi doppio rispetto a quello del Centro Nord, con Campania e Sicilia in testa, seguite a ruota da Calabria e Puglia.
Per quanto riguarda l’Europa, secondo un recente rapporto della Fondazione europea per il miglioramento delle condizioni di vita e di lavoro, nel 2011 erano esclusi dal mondo del lavoro e dell’istruzione circa 7,5 milioni di giovani di età compresa tra 15 e 24 anni, e altri 6,5 milioni di giovani tra i 25 e i 29 anni. Questi numeri segnano un incremento dei Neet in entrambe le fasce di 2-3 punti percentuali rispetto al 2008. I paesi più colpiti da questo problema sono Bulgaria, Irlanda, Italia e Spagna, mentre quelli che stanno meglio da questo punto di vista sono Lussemburgo e Paesi Bassi, più attenti alle politiche sociali, economiche e del lavoro.
Sempre secondo il rapporto europeo, i Neet rappresentano una popolazione molto eterogenea: “Il gruppo più esteso tende a essere quello dei disoccupati tradizionali. Altri gruppi vulnerabili includono i malati e disabili e i giovani che accudiscono altri familiari”. Mentre dei gruppi non vulnerabili fanno parte coloro che scelgono volontariamente di prendersi una pausa e le persone che sono impegnate in maniera costruttiva in altre attività. Inoltre, alcuni giovani sono più esposti di altri al rischio di entrare a far parte dei Neet: quelli con bassi livelli d’istruzione presentano una probabilità tre volte più elevata rispetto a quelli che hanno conseguito un’istruzione superiore, per non parlare dei giovani immigrati, che hanno il 70% in più di probabilità di diventare Neet rispetto ai residenti. Anche il contesto familiare, secondo il rapporto, riveste un ruolo determinante.
Il report precisa che la condizione di Neet comporta gravi conseguenze per l’individuo, la società e l’economia, e “può tradursi in tutta una serie di svantaggi sociali”, quali disaffezione, prospettive professionali precarie, criminalità giovanile e problemi di salute mentale e fisica.
“Questi ragazzi hanno scarsa fiducia nelle istituzioni e nel prossimo. Sono isolati socialmente e politicamente. E hanno anche maggiori probabilità di finire in reti malavitose” commenta su PressEurope Massimiliano Mascherini, della Fondazione europea per il miglioramento delle condizioni di vita e di lavoro. L’agenzia ha notato anche come i Neet dei vari paesi europei reagiscano in maniera diversa alla loro condizione. “Nei paesi anglosassoni e dell’Europa centrale e orientale, i Neet sono passivi: sono delusi dalla società e dalle istituzioni. Ciò che meglio li definisce è presto detto: guardare la televisione, isolarsi dalla società, starsene da soli”. Nei paesi dell’area mediterranea, come Spagna e Grecia, sono invece più politicamente attivi, e la loro frustrazione e ben motivata sfiducia nella politica e nella società, secondo gli analisti tende in certi casi a sfociare nell’estremismo.
A questa situazione sembra non esserci via di uscita, se non attraverso un cambiamento netto che va dal valore legale dei titoli di studio, al rapporto tra università e lavoro fino al complesso del sistema economico. Ai Neet si contrappongono giovani tuttofare, che devono collezionare contratti e lavori precari per sopravvivere, cercando però di migliorare la propria condizione. Sarà possibile trovare una via di mezzo tra questi due estremi?
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