Charlie deve morire: lo Stato condanna a morte i disabili

Accade in Gran Bretagna, precisamente a Londra: i giudici dell’Alta Corte sentenziano che Charlie Gard, un bimbo di soli otto mesi, deve morire. Deve morire contro la volontà dei suoi genitori. E deve morire di fame e di sete. Accade anche che, a pretendere la “condanna a morte” (perché di questo si tratta), siano stati gli stessi medici che hanno in cura il bambino affetto da una malattia grave e rarissima. Sono loro ad aver intentato la causa, trascinando in tribunale i genitori Gard, la cui unica colpa rimane quella di voler curare ed amare la loro piccola creatura. Lascia poi del tutto sgomenti la superbia con cui i primi, i giudici, e i secondi, i medici, abbiano deciso  che l’unica “dignità” possibile per Charlie stia nel provocargli la morte e che questo coincida con il suo bene. Risulta impossibile non domandarsi: ma che mondo è quel mondo in cui, coloro che per definizione e vocazione dovrebbero essere i garanti terreni della giustizia e della vita, si trasformano nei peggiori servi della morte? Ma del resto, lo ripetiamo: accettare di legiferare sulla vita e sulla morte, seppur in forme blande e mascherate, così come è accaduto in Inghilterra, significa indirettamente e inevitabilmente aprire le porte all’eutanasia.

Charlie è gravemente malato, quindi va eliminato – Charlie nasce il 4 agosto del 2016, accolto dall’amore della sua famiglia: mamma Connie e papà Chris. Apparentemente è un bambino sano e robusto, ma ben presto inizia a manifestare segni di sofferenza: il piccolo perde progressivamente peso e forze, tanto che a soli due mesi viene ricoverato al Great Ormond Street Hospital – il principale centro pediatrico nella capitale britannica – e dal quel momento non tornerà più a casa. Il verdetto è impietoso: Charlie è affetto da una malattia grave e rarissima di cui si conoscono solo 16 casi in tutto il mondo. Si tratta della sindrome di deperimento mitocondriale, che genera un importante e progressivo indebolimento dei muscoli, tanto che il bambino viene subito trasportato in terapia intensiva e intubato ai fini della nutrizione e dell’idratazione. Stante che la scienza sappia dire molto poco sulla malattia in questione e considerato che i medici non possano nemmeno stabilire se il bambino senta o meno dolore, non si comprende su quali basi l’ospedale londinese sostenga con certezza che il miglioramento delle condizioni di Charlie sia impossibile, tantomeno la sua guarigione. Ma tant’è e da qui la decisione inamovibile: “Charlie ha una malattia molto rara e complessa per la quale non c’è una cura riconosciuta – ha spiegato un portavoce dell’ospedale – Riteniamo di aver esaurito tutte le opzioni di trattamento disponibili. Continuiamo a sostenere i genitori in tutti i modi possibili, ma allo stesso tempo raccomandiamo ciò che riteniamo sia la cosa migliore per Charlie”. Ovvero: “staccare la spina”. Che, è bene ricordarlo, nel caso di Charlie come in tutti i casi analoghi, significa propriamente lasciarlo morire di fame e di sete.

Si scrive Dat, si legge eutanasia – Sarebbe questa la “morte dignitosa” invocata dell’Alta Corte di Londra? Il giudice Nicholas Francis, leggendo il dispositivo della sentenza, lo ha spiegato proprio così: “È con la più profonda tristezza nel cuore, ma anche con la più grande delle attenzioni per l’interesse del piccolo Charlie, che ho preso la decisione. Va permesso a Charlie di morire con dignità”. Sono parole che colpiscono nel profondo, non solo perché risulta oltremodo inaccettabile che la vita e la morte siano messe ai voti in un’aula di tribunale, ma soprattutto perché alla vittoria della morte sponsorizzata su un innocente, vengano associate parole come “interesse del piccolo”, “cuore”, “dignità”, facendo così passare il peggior atto criminale come il supremo gesto d’amore. Come si è arrivati a tanto? Occorre ricordare che il suicidio assistito e l’eutanasia nel Regno Unito sono illegali e punibili sino a 14 anni di reclusione, anche se nell’ultimo decennio le spinte per renderli accettabili sono state incessanti. E’ invece presente da anni una legge sul fine vita  – simile a quella in discussione al Parlamento Italiano – la quale è necessaria e sufficiente ad imporre la morte per via giudiziaria. Lo dimostra appunto il caso di Charlie, ove persino i genitori sono completamente estromessi dalla decisione sulla vita e la morte del proprio figlio su cui lo Stato e la magistratura hanno l’ultima parola.

Sperare contro ogni speranza – Dal canto loro i coniugi Gard stanno regalando al mondo la testimonianza di una forza e di una speranza sovrumane, eppure possibili. Al verdetto di morte dei medici hanno risposto con una campagna online che ha riscosso un successo incredibile dimostrando la presenza attiva di un popolo che si oppone alla cultura della morte imposta dal potere. Oltre a numerosissime manifestazioni di affetto e solidarietà, i genitori di Charlie sono riusciti a raccogliere 1,25 milioni di sterline da oltre80mila donatori per coprire le spese di un trattamento sperimentale negli Stati Uniti. Trattamento che, dopo la sentenza di martedì, Charlie non potrà più iniziare. Il tempo corre, la malattia procede, ma la famiglia Gard non si arrende ed è pronta a combattere in appello per ribaltare il verdetto dei giudici. Continuando a sperare contro ogni speranza.

di Costanza Signorelli | Lanuovabq.it

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