Canale di Sicilia, 70 miglia a Nord delle coste libiche: stavolta il numero degli annegati non si conosce ancora. Le squadre di soccorso affermano di dover cercare i sopravvissuti in mezzo ai cadaveri che galleggiano nel Mediterraneo centrale.E’ l’ennesima tragedia delle carrette del mare e potrebbe essere anche la peggiore: su una barca di 20 metri che trasportava più di 700 emigranti (altri testimoni parlano addirittura di 950 passeggeri), solo 28 sono stati recuperati vivi. Il bilancio del naufragio è dunque nell’ordine delle centinaia di vittime.
La dinamica dell’incidente è ancora poco chiara. Secondo le testimonianze finora raccolte, la barca si sarebbe capovolta nel momento in cui un numero esagerato di emigranti è corso su una fiancata per attrarre l’attenzione di una nave mercantile portoghese, a poche miglia dalla costa di Lampedusa. La causa è però abbastanza evidente: non è neppure pensabile stipare 700 emigranti su una barca da 20 metri. E’ un’azione da pazzi. Ma è una follia lucida di scafisti calcolatori, che mirano a ridurre al minimo le loro spese di viaggi, impiegando natanti piccoli, vecchi e pericolosi, caricandoli a dismisura di emigranti che, avendo già dovuto pagare fino in fondo il caro e salato prezzo del viaggio, sono ormai considerati merce a perdere.
Questa immane tragedia dovrebbe far riflettere ancora una volta sull’emigrazione clandestina nel Mediterraneo. Da parte della classe dirigente europea e italiana, tuttavia, sentiamo ripetere sempre gli stessi concetti. Joseph Muscat, premier di Malta, non è immune da ipocrisia nel momento in cui dichiara alla Bbc: “Stiamo assistendo a un evento di proporzioni epiche. Se l’Europa, se la comunità mondiale continuano a chiudere gli occhi, noi tutti saremo giudicati nello stesso modo con cui è giudicata l’Europa quando chiuse gli occhi di fronte al genocidio del secolo scorso di quest’ultimo secolo”. Il suo paese, Malta, non è impegnato in alcuna operazione di soccorso comparabile a quella italiana. La giustificazione del governo di La Valletta va dalla mancanza di fondi alla mancanza di spazio sul proprio territorio. Anche Muscat sarà giudicato in base ai criteri che lui stesso cita? Il premier italiano Matteo Renzi, dal canto suo, ripete la sua richiesta d’aiuto all’Unione Europea, perché “non ci lasci soli” di fronte all’emergenza. Per tutto il 2013, il 2014 e l’inizio di quest’anno, l’Ue non ha mostrato alcuna intenzione di aiutarci.
Ma di fronte a un’emigrazione così massiccia dall’Africa all’Europa, le classi politiche mediterranee possono effettivamente fare la differenza? Sì. Non stiamo parlando di un fenomeno naturale, come una marea o un terremoto, di fronte al quale possiamo solo cercare riparo. In questo caso parliamo di uomini, che agiscono secondo loro scelte e sono condizionati dalle leggi a cui devono obbedire. A seconda delle leggi in vigore e della puntualità della loro implementazione, abbiamo comportamenti diversi da parte degli emigranti. I dati lo dimostrano.
Secondo i Migrant Files, frutto del lavoro di un team internazionale di giornalisti di inchiesta, sulla rotta del Mediterraneo centrale, che interessa soprattutto la Libia e l’Italia, gli emigranti che hanno tentato la fortuna sono stati 39mila nel 2008, 11mila nel 2009, 4500 nel 2010. Questi cambiamenti non sono casuali. L’emigrazione nel Mediterraneo centrale è un affare strettamente politico e questi numeri lo dimostrano. Nel 2008 non c’era ancora alcun accordo fra la Libia di Gheddafi e l’Italia, dunque il numero di emigranti che salpavano dalle coste libiche era altissimo. L’anno successivo i migranti sono improvvisamente diventati un terzo rispetto a quelli del 2008: era in corso la trattativa fra Berlusconi e Gheddafi e in Italia veniva annunciata la politica dei respingimenti. Nel 2010, l’anno in cui venne firmato il Trattato di Amicizia e Cooperazione fra Italia e Libia, il numero di emigranti si è ridotto a meno della metà rispetto a quelli del 2009.
Questo cosa vuol dire? Che la polizia di Gheddafi era perfettamente in controllo della sua costa e che il dittatore libico apriva o chiudeva il rubinetto del flusso migratorio a seconda dello stato dei rapporti con l’Italia. Quando era in cattivi rapporti ne lasciava partire a decine di migliaia, per ricattarci. Quando era in trattativa o in buoni rapporti, ne lasciava partire meno. L’anno in cui il Mediterraneo è stato meno percorso dalle carrette del mare è stato il 2010, quello delle intese italo libiche. La politica dei respingimenti, annunciata dall’allora ministro degli Interni Maroni nel maggio del 2009, in un anno e mezzo ha ridotto drasticamente i tentativi di attraversamento, come si può constatare dal crollo verticale degli avvistamenti. Nel 2010 si poteva affermare che la situazione fosse ormai relativamente sotto controllo.
Lo scenario è cambiato drasticamente dal 2011, anno dello scoppio della guerra civile libica. Da quel momento in poi, ritorniamo a vedere le cifre apocalittiche dei periodi precedenti agli accordi fra Gheddafi e Berlusconi: addirittura 64mila nel 2011, calati drasticamente a 10mila nel 2012 (l’anno del dopoguerra e della ricostruzione post-Gheddafi, presumibilmente caratterizzato da maggiori speranze), poi tornati alla cifra incredibilmente alta di 40mila nel 2013, l’anno in cui in Libia si è ricominciato a combattere duramente e gli jihadisti hanno iniziato a mettere le mani diffusamente sul traffico di esseri umani. Nel 2014 è stata varata l’operazione di soccorso in mare Mare Nostrum. Per l’ultimo anno, i dati di Migrant Files sono carenti. Questa volta ci dobbiamo rifare ai dati dell’Unhcr: il Mediterraneo (nel suo complesso) è stato attraversato da 218mila emigranti, di cui 3500 sono morti, nella media rispetto agli anni precedenti. Nel 2015. Gli emigranti salvati nel Mediterraneo sono 13.500. I morti sono già 900, a cui se ne potrebbero aggiungere altri 700, se la conta dei morti di Lampedusa dovesse arrivare a quella cifra.
Quale lezione dovremmo trarne? Che la politica dei salvataggi in mare non risparmia vittime e aumenta enormemente il numero degli scafisti che cercano di attraversare il Mediterraneo assieme alla loro “merce” umana. Dopo l’ultima tragedia di Lampedusa, la richiesta principale sarà sicuramente quella di riavviare l’operazione Mare Nostrum, in modo da intensificare le operazioni di soccorso in mare. Ma il periodo in cui l’emigrazione era maggiormente controllata, come abbiamo visto, non era quello caratterizzato da una politica dell’accoglienza, ma da una dell’accordo con la Libia, volta a impedire che gli scafisti prendessero il mare. Sicuramente è più difficile prendere accordi con due governi (Tripoli e Tobruk) che controllano al massimo le loro rispettive capitali e sono in guerra fra loro. Occorre dunque agire al più presto, rivolgendoci a tutte le sedi internazionali possibili, per istituire una fascia di sicurezza in Libia, gestita dai caschi blu (o dai militari italiani sotto l’egida dell’Onu). Un territorio in cui dare accoglienza ai profughi, in cui distinguere i rifugiati politici dagli emigranti economici. Una zona in cui gli scafisti non troverebbero spazio alcuno per il loro business.
di Stefano Magni
Tratto da: http://www.lanuovabq.it/
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