Una bambina affetta da un morbo incurabile. Una famiglia disperata. Una terapia sperimentale. Mancava solo il sensazionalismo delle Iene e di Celentano per rendere il caso del metodo Stamina un disastro mediatico.
«Se vostro figlio stesse morendo, giorno dopo giorno, a causa di una malattia gravissima e l’istituzione che dovrebbe garantire il diritto alla salute di vostro figlio vi impedisse di accedere all’unica terapia che forse può salvarlo, voi, che cosa fareste?». Comincia tutto da qui, da un servizio del giornalista delle Iene Giulio Golia sul caso della piccola Sofia andato in onda il 3 marzo scorso. Sofia è una bellissima bambina di tre anni e mezzo affetta da leucodistrofia metacromatica, una grave malattia neurodegenerativa per la quale, ad oggi, non esiste una cura. La malattia si manifesta solo a un anno e mezzo di vita e compromette a poco a poco tutte le funzioni fisiche e mentali della persona. Così Sofia, da bambina come tutte le altre, in soli sei mesi si ritrova paralizzata, cieca, in grado di nutrirsi solo per via endovenosa.
LABORATORIO STAMINA INADEGUATO. Stando alle evidenze scientifiche attuali, si diceva, la malattia è incurabile. Ma Davide Vannoni, professore di neuroscienze cognitive, sostiene di «avere una cura a base di cellule staminali che funziona per 60 malattie gravi e che porta alla guarigione». La terapia è del tutto sperimentale e viene somministrata attraverso Stamina Foundation, onlus di cui Vannoni è presidente, e che ogni giorno «lotta contro la burocrazia e gli enti preposti al controllo di queste cure». Ovvero il ministero della Salute e l’Aifa, Agenzia italiana del farmaco. I genitori di Sofia cominciano con Vannoni negli Spedali Civili di Brescia una terapia lunga un anno composta da cinque infusioni a base di staminali mesenchimali. Dopo la prima somministrazione, la piccola sta meglio e presenta qualche miglioramento, ma la seconda infusione viene bloccata dal tribunale di Firenze perché l’Aifa dopo un’ispezione condotta con i carabinieri del Nas vieta le somministrazioni secondo il metodo Stamina valutando «il laboratorio di Brescia assolutamente inadeguato».
LA STORIA SECONDO CELENTANO. I genitori di Sofia si ribellano: tribunali in tutta Italia hanno permesso a 22 famiglie su 26 di seguire il metodo Stamina di Vannoni, per quanto non supportato da prove scientifiche, mentre a loro è proibito. Il caso di Sofia diventa di portata nazionale. Oltre alle Iene, i media e molti vip si schierano a favore di Vannoni: intervengono Leonardo Pieraccioni, Gina Lollobrigida, Rosario Fiorello e soprattutto Adriano Celentano. Secondo il cantante «il ministero della Salute condanna senza pietà una bambina di tre anni a morire (…) perché un giudice di Firenze, chissà per quale motivo, ha deciso di proibire le cure». Alle Iene Celentano lo spiega così: «La bambina è migliorata e quando il giudice e il ministro l’hanno visto, hanno detto: “La bambina sta migliorando. Bisogna subito bloccare la cura altrimenti guarisce”». E chiosa in un articolo sul Corriere della Sera: «Mi domando se le Iene, quelle “VERE”, non siano alla Sanità». Il ministro della Salute Renato Balduzzi prima blocca il trattamento perché «dannoso per la salute di Sofia», poi accetta che la piccola prosegua «le cure con le staminali in un laboratorio autorizzato dall’Aifa» e non a Brescia, poi permette una seconda infusione di staminali di emergenza sempre a Brescia, anche se «assolutamente inadeguato», e infine, in seguito alla decisione del giudice di Livorno Francesca Sbrana, permette a Sofia e a tutti quelli che hanno già cominciato la terapia Vannoni di completarla «anche se le cellule sono preparate in laboratori non conformi (…) e in difformità dalle disposizioni del decreto ministeriale 5 dicembre 2006». Cioè contro la legge. Lo schema con cui i media presentano la storia di Sofia è semplice: la piccola è malata, un professore ha trovato una cura e il ministro, in combutta con gli organi competenti, vuole impedire per «motivi burocratici» che «Sofia guarisca».
SERVE LA SCIENZA. «Questo caso deve essere affrontato sotto il profilo scientifico e non mediatico: è molto pericoloso fare leva sugli aspetti più emozionali della vicenda, che nulla hanno a che vedere con la ricerca. Ascoltare la scienza è l’unico modo per difendere e aiutare la famiglia e la piccola Sofia». A parlare a Tempi è Alberto Fontana, presidente di Arisla (Agenzia di ricerca per la sclerosi laterale amiotrofica) e membro del consiglio direttivo di Aisla (Associazione italiana sclerosi laterale amiotrofica), che si battono entrambe per cercare una cura per la Sla e aiutare le famiglie che si trovano ad affrontare la grave malattia neurodegenerativa. «Non si può cedere al richiamo di un servizio televisivo e mettere in dubbio tutto quello che a oggi la ricerca dice. Dobbiamo stare vicini alla famiglia di Sofia e per questo comprendiamo che i genitori di Sofia vogliano la cura, meno comprensibile è che il ministero non assuma posizioni chiare. Nel caso del metodo Stamina, purtroppo, mancano i requisiti richiesti dalla legge». In Italia, nel caso di una malattia grave, per la quale non esistono alternative terapeutiche, si può ricorrere a «cure compassionevoli», trattamenti non ancora completamente sperimentati. Non tutto è permesso però, e per tutelare i pazienti la legge richiede che vengano rispettati dei requisiti, affinché le persone non siano trattate come cavie.
INTERVIENE TELETHON. «Innanzitutto – spiega Fontana – bisogna valutare con metodi scientifici l’efficacia di un trattamento. Prima di guardare ai possibili benefici, si deve dimostrare che il trattamento non è nocivo per il paziente. Ad oggi, questa evidenza non ce l’abbiamo. Una domanda che la scienza si fa da anni è questa: le cellule staminali che non esercitano un ruolo attivo che trasformazione possono avere nel nostro corpo? Per ora, ci sono solo pubblicazioni che rivelano l’alta probabilità che diventino tumori. A queste condizioni non si può sperimentare sulle persone». Fontana si domanda: «Quali sono le scale di valori con cui il metodo Stamina valuta i miglioramenti nelle persone? Esistono protocolli internazionali ma i ricercatori di Stamina non hanno mai rivelato quali scale usano, né come trattano le cellule staminali, né che risultati hanno avuto in precedenza». È la stessa obiezione di Francesca Pasinelli, direttrice di Telethon, fondazione che finanzia la ricerca sulle malattie genetiche. «Noi non abbiamo niente contro Stamina, perché non ne sappiamo niente », spiega a Tempi. «E non lo conosciamo perché Stamina non mette a disposizio ne della comunità scientifica i dati ottenuti e le tecniche impiegate. Non sappiamo neanche da dove prendono le cellule. Chiediamo solo che Stamina segua le regole. È chiaro che parlare così può sembrare freddo e poco compassionevole, ma le logiche che usiamo sono le uniche che differenziano una ricerca ragionevole e sensata da una approssimativa, qualunquista e pericolosa».
SPERIMENTAZIONI FALLITE. Nel novembre scorso, sono stati pubblicati sulla rivista scientifica più importante al mondo in materia, Neuromuscolar Disorders, i risultati della prima sperimentazione con cellule staminali per guarire una patologia neurodegenerativa. L’esperimento è stato fatto in Italia, su ordine di un tribunale, all’Ospedale Burlo Garofalo di Trieste, dove le staminali prodotte dall’istituto specializzato San Gerardo di Monza sono state somministrate a cinque bambini fra i 3 e i 20 mesi nati con la Sma (atrofia muscolare spinale) del tipo 1, il più grave. La ricerca ha dato questi risultati: uno dei cinque bambini, che ha cominciato la cura a 13 mesi, è morto a 18 mesi, un mese dopo la seconda iniezione. Un secondo ha interrotto la terapia dopo la quinta iniezione all’età di otto mesi, ed è morto a 12 mesi. Gli altri tre hanno completato la terapia lunga sei mesi peggiorando. Nell’articolo, i ricercatori criticano aspramente i «lanci dei giornali» che hanno indotto una falsa «speranza» nelle famiglie «già provate», con la complicità di tribunali «troppo sensibili».
VANNONI INDAGATO. L’unico atto ufficiale riguardante Stamina è quello già citato dell’Aifa del 15 maggio 2012. L’ispezione dell’Aifa è stata ordinata dal pm Raffaele Guariniello, che da quattro anni indaga Vannoni e Stamina per truffa e somministrazione di farmaci pericolosi. Secondo un «ex collaboratore di Vannoni», come riportato dalla Stampa, quella del professore non sarebbe un’attività «senza fini di lucro, umanitaria, compassionevole» perché Vannoni avrebbe preteso «sino a 50 mila euro» da pazienti o loro familiari per praticare infusioni di staminali secondo il suo metodo. Ancora, però, non c’è stato nessun rinvio a giudizio. In una situazione complessa dove il ministero della Salute dà retta a un servizio delle Iene e a un cantante, il rischio più grave lo corrono le famiglie dei malati e i pazienti.
IL TUTTO PER TUTTO. Fontana, che è anche malato di Sma, sa bene che cosa passa per la mente di una persona quando si scopre affetto da una patologia incurabile: «La prima cosa a cui si pensa è: sono disposto a tutto pur di guarire. Ma non è tutto accettabile e i medici devono aiutare il malato a capire che non è vero che non c’è nulla da perdere. Non si può provare “il tutto per tutto”. Io come malato sono spaventato perché andando avanti su questa strada si arriva ad affermare che c’è sempre una vita che vale meno delle altre e sulla quale si può sperimentare qualunque cosa. Così si mette in gioco il rispetto della vita». Gli fa eco Pasinelli: «Noi affrontiamo ogni giorno l’urgenza e il dolore che stanno dietro malattie così gravi, però la cura miracolistica non risolve nulla, bisogna analizzare il rapporto tra costi e benefici. Io chiedo: la gravità di un paziente giustifica un trattamento meno rigoroso di quello che viene applicato a una persona meno malata? Comprendo il desiderio dei genitori ma noi non possiamo accettare di tentare il tutto per tutto, perché in quel “tutto” ci sono anche cose molto brutte».
MEGLIO L’AIFA O LE IENE? Ecco perché un gruppo di ricercatori ha scritto a Balduzzi di fare attenzione ad autorizzare «sull’onda di un sollevamento emotivo» trattamenti anche se «non esiste nessuna prova che queste cellule abbiano alcuna efficacia», perché «ci sembra uno stravolgimento dei fondamenti scientifici e morali della medicina». Pasinelli lo spiega con un’immagine: «Al bar sport siamo tutti allenatori, poi quando viene il momento di scegliere chi gioca tutti accettano che la decisione spetti al commissario tecnico. Qui invece diciamo che il mondo competente, quello della scienza, non risponde ai bisogni della società, mentre l’opinione pubblica sì. È falso». Oltre a minare la salute dei pazienti, si ingenera un corto circuito: «Oggi la comunità dei malati, invece di interpellare gli organi competenti, va da un giudice di lavoro per avere la “guarigione”», lamenta Fontana. «Succede perché ci sono persone che pubblicamente promettono la “guarigione”. Ma questo mina il rapporto di fiducia tra medico e paziente: perché dovrei fidarmi del mio medico che mi dice che non posso guarire quando ce n’è un altro che sostiene il contrario?». Conclude il ricercatore: «Noi stiamo dalla parte dei malati, ecco perché leggiamo i rapporti dell’Aifa e non gli articoli di Celentano. Quanto alle Iene, ricordo che anni fa pubblicizzavano i trattamenti miracolistici in Cina e Thailandia incentivando i viaggi della speranza. Hanno illuso tante persone. E non mi risulta che abbiano mai chiesto scusa».
Fonte: http://www.tempi.it/
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