I servizi d’intelligence occidentali e nordafricani riferiscono da anni degli stretti legami tra i criminali delle organizzazioni che trafficano esseri umani verso le coste italiane ed europee e i gruppi jihadisti legati ad al-Qaeda e allo Stato Islamico. Un dato certo non nuovo che però non ha fermato la politica europea dell’accoglienza generalizzata agli immigrati clandestini neppure quando è evidente che accogliamo non certo i più bisognosi, ma solo chi ha disponibilità finanziarie per pagare i trafficanti.
Non ha indotto l’Europa a cambiare registro neppure la consapevolezza che i proventi generati da ogni clandestino che accogliamo finanzia i jihadisti che ci colpiscono con attentati terroristici e dichiarano di volerci distruggere. Basterebbero queste brevi valutazioni per documentare il “suicidio” dell’Europa in termini di sicurezza e di stabilità sociale: non è un caso, infatti, che Stati Uniti, Canada e Australia non accettino di accogliere nessuno dei clandestini giunti in Europa appoggiandosi su criminali legati ai jihadisti, ma inviano proprie commissioni nei campi profughi ai confini della Siria a selezionare le persone (veri rifugiati) da accogliere.
Del resto, Emma Bonino, all’epoca ministro degli Esteri del governo Letta, già nel 2013 parlò di legami stretti ed evidenti tra trafficanti e qaedisti in Libia. Un’equazione non certo difficile da calcolare considerato che le rotte che dal Sahel portano sulle rive del Mediterraneo armi, droga e immigrati clandestini sono esattamente le stesse e sono gestite dalle stesse organizzazioni criminal-jihadiste (al-Qaeda nel Maghreb Islamico, Boko Haram, Morabitùn….) in affari con trafficanti e contrabbandieri spesso legati alle diverse tribù che controllano i territori attraversati da questi traffici. Nel 2012 alcuni magistrati libici dell’epoca post Gheddafi evidenziarono come alla testa delle organizzazioni che portavano i clandestini dai confini del Niger alle spiagge della Tripolitania di fronte a Lampedusa fossero uomini legati alle milizie di al-Qaeda.
Ciò nonostante, neppure la scoperta che alcuni scafisti catturati dalla Marina Militare erano affetti da un ceppo di tubercolosi diffusa solo nel sud dell’Afghanistan (dove ci sono i campi d’addestramento talebani e di al-Qaeda) ha indotto Roma a sospendere le operazioni di accoglienza in mare di trasferimento in Italia dei clandestini. Non sono state sufficienti neppure la documentata presenza di “rifugiati” appena giunti in Europa tra i gruppi terroristici e tra gli estremisti islamici già radicati nel Vecchio Continente a determinare una svolta nella gestione dei flussi migratori, anche se cominciano a emergere reazioni, soprattutto in Germania, alla vasta gamma di violenze e reati compiuti da molti “profughi” musulmani.
Neppure di fronte a queste evidenze, confermate da fonti della Nato e dell’intelligence britannico (infatti Londra non ha mai fatto mistero di considerare sciagurata la politica italiana di accoglienza per tutti attuata dall’operazione Mare Nostrum in poi) l’Italia e l’Europa hanno varato un programma di respingimenti sulle coste libiche dei clandestini. O su quelle turche nel caso dei ben più numerosi sbarchi sulle isole greche gestiti dalla malavita turca e sfacciatamente favoriti o non ostacolati dalle autorità di Ankara. Probabilmente neanche le ultime evidenze emerse a questo proposito in seguito al raid aereo americano sulla base dello Stato Islamico di Sabratha, che dieci giorni or sono provocò la morte di 40 jihadisti (incluso un comandante dell’Isis) e di due ostaggi serbi modificherà la politica di accoglienza dell’Italia che continua a impiegare la flotta (Operazione Mare Sicuro) per aiutare e arricchire i trafficanti e quello Stato Islamico che solo a parole Roma dice di voler combattere.
La vicenda è esemplare e, forse proprio per questa ragione, è poco pubblicizzata. Le autorità di Belgrado hanno, infatti,m confermato lo stretto rapporto tra i trafficanti di immigrati clandestini e lo Stato Islamico rivelando che i due dipendenti dell’ambasciata serba a Tripoli, rapiti nei pressi di Sabratha, erano nelle mani del clan di Ahmed Abashi, uno dei boss dei barconi e gommoni riempiti di immigrati illegali diretti verso l’Italia. Il fatto che i due prigionieri si trovassero nella palazzina che fungeva da comando del campo d’addestramento dello Stato Islamico a Sabratha la dice lunga circa gli stretti rapporti tra trafficanti e terroristi jihadisti. Secondo fonti serbe e libiche, Abashi non sarebbe un membro dello Stato Islamico anche se collabora strettamente con l’organizzazione jihadista, probabilmente anche come finanziatore.
Quindi Italia ed Europa non solo non muovono un dito in termini militari contro il dilagare dell’Is in Libia ma, con l’accoglienza a tempo pieno degli immigrati clandestini continuano da anni ad arricchire lo Stato Islamico e i gruppi jihadisti che lo fiancheggiano.
di Gianandrea Gaiani | Lanuovabq.it
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