Non esiste «alcun dovere generale» per scuole e college inglesi di ratificare la carriera alias. Un cambio di passo significativo che sta suscitando non poche polemiche, soprattutto tra i sostenitori dell’agenda Lgbtq+ – in particolare le associazioni Barnardo’s, NSPCC e Children’s Society – all’indomani dell’emanazione delle nuove Linee guida promosse dal segretario all’Istruzione Gillian Keegan e dal ministro per le Pari opportunità Kemi Badenoch.
Si tratta infatti giustamente, secondo gli stessi promotori delle Linee guida, di tenere in considerazione anche l’incidenza dei fattori sociali e l’influenza dei social media o dei coetanei nel desiderio di bambini e adolescenti di cambiare il proprio sesso. In sostanza a chi manifesta una difficoltà a identificarsi con il proprio Sé, soprattutto durante una fase di continui cambiamenti quale è l’adolescenza, non si può consentire semplicisticamente di cambiare nome, pronome o uniforme scolastica sulla base della sua mera autopercezione e, per di più, all’insaputa dei genitori. Tali Linee guida ritengono pertanto opportunamente che siano necessari cautela, soprattutto perché si tratta di minorenni, e il coinvolgimento dei genitori, come tra l’altro accade nelle scuole anche riguardo a scelte con ricadute decisamente inferiori rispetto al desiderio di ‘transizione sociale’.
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Di qui le Linee stabiliscono sul piano operativo che le scuole mantengano distinti servizi igienici e spogliatoi; che le attività sportive siano separate per sesso qualora insorgano problemi di sicurezza e, soprattutto, che personale scolastico e compagni di classe siano autorizzati a ignorare eventuali pronomi preferiti dai bambini ma non rispondenti al loro sesso biologico.
Al contrario in Italia, stando ai dati diffusi da AGEDO – associazione di genitori, parenti e amici di persone Lgbtq+ – sarebbero attualmente 314 le scuole che hanno già adottato misure in favore della ‘carriera alias’. Con il pretesto di evitare discriminazioni e scoraggiare episodi di bullismo tra studenti sono numerosi gli istituti che, abusando del principio di autonomia scolastica, hanno attuato procedure per l’inserimento nel registro elettronico di classe del nome scelto dall’adolescente ‘in transizione sociale’ al posto di quello anagrafico, assecondandone l’autopercezione talvolta anche contro il parere della famiglia. La strategia ideologica di tale operazione, sollecitata dalle associazioni Lgbtq+, è sempre la stessa: presentare casi sporadici come modelli di ‘prassi consolidate’ così da preparare il terreno, in specie attraverso il ricorso alla propaganda mediatica, all’accoglienza di nuove Linee guida in materia da parte del MIM che si limitino a delineare un quadro normativo per protocolli di fatto già vigenti.
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