Carenza di riso in Asia, FAO: prezzi mai così alti negli ultimi 15 anni

Ad agosto l’agenzia delle Nazioni unite per l’alimentazione e l’agricoltura ha registrato un aumento dei costo del 9,8% rispetto a luglio, nonostante un calo generale dei prezzi dei beni alimentari. Il riso è vulnerabile agli sconvolgimenti climatici che l’anno scorso hanno devastato il Pakistan e la Cina, ma il recente aumento è stato determinato dal divieto di esportazione imposto dall’India. I Paesi del sud-est asiatico, che subiscono il maggiore impatto, stanno cercando diverse soluzioni.

Milano (AsiaNews) – Ad agosto i prezzi del riso hanno raggiunto il loro massimo degli ultimi 15 anni, uguagliando quelli del 2008, quando era in corso una crisi economico-finanziaria globale. Ad annunciarlo è stata nei giorni scorsi la FAO, l’agenzia delle Nazioni unite per l’alimentazione e l’agricoltura, che ha registrato un aumento del 9,8% rispetto al mese precedente, nonostante in generale i prezzi dei beni alimentari stiano continuando a diminuire rispetto al 2022. Ma secondo alcune previsioni il 2023 potrebbe concludersi come l’anno della più grande carenza globale di riso degli ultimi 20 anni, a causa degli sconvolgimenti climatici (a cui il riso è particolarmente vulnerabile) che l’anno scorso hanno colpito Pakistan e Cina e hanno ridotto la produzione.

L’indice generale dei prezzi alimentari della FAO ha rilevato a livello globale una diminuzione dei prezzi del 24% rispetto al picco di marzo dello scorso anno, causato dalla pandemia da Covid-19, guerra in Ucraina e cambiamenti climatici. Una tendenza da cui però sono esclusi alcuni alimenti di base con lo zucchero e il riso, principale fonte di sostentamento in Asia. Sono i Paesi del sud-est asiatico a patire oggi le peggiori conseguenze: il 30% del raccolto mondiale proviene da questa regione, mentre il riso fornisce il 50% dell’apporto calorico della popolazione.

A determinare questo improvviso aumento dei prezzi, spiega la FAO, è stato il divieto di esportazione imposto a luglio dall’India sul riso non basmati, che rappresenta circa un quarto del proprio export di riso: “L’incertezza sulla durata del divieto e le preoccupazioni sulle restrizioni all’esportazione hanno portato gli attori della catena di approvvigionamento a trattenere le scorte, rinegoziare i contratti o smettere di fare offerte di prezzo, limitando così la maggior parte dei piccoli volumi di scambio alle trattative che erano già state concluse”, ha comunicato l’organizzazione. Il 40% del riso esportato in tutto il mondo proviene dall’India, mentre i principali acquirenti del suo riso sono il Bangladesh, l’Arabia Saudita, l’Iran, l’Iraq e il Benin.

Secondo le previsioni della FAO, anche con una revoca del divieto da parte dell’India, l’abbassamento dei prezzi del riso in Asia rischia di essere modesta nel 2024 a causa di possibili interruzioni dei commerci causate dai cambiamenti climatici. L’aumento dei prezzi del riso ad agosto, infatti, è stato determinato anche dalle scarse piogge in Thailandia, secondo più grande esportatore di riso al mondo (che ha visto un aumento dell’export di quasi il 12% quest’anno) e anche tra i principali esportatori di zucchero. Nelle regioni centrali le precipitazioni sono state inferiori del 40% rispetto al normale, mentre l’area dedicata alle colture si sta progressivamente riducendo di anno in anno, al punto che la resa agricola potrebbe ridursi fino al 6%, pari a 25 milioni di tonnellate.

Di conseguenza, secondo dati di Bloomberg, il riso thailandese ha raggiunto il prezzo di 648 dollari a tonnellata, il più alto mai registrato da ottobre 2008, pari a un aumento di quasi il 50% nell’ultimo anno. Altre analisi hanno sottolineato il ruolo delle inondazioni in Cina e in Pakistan nella seconda metà dello scorso anno. Le alluvioni hanno colpito le principali regioni produttrici in Cina e hanno devastato centinaia di ettari di campi in Pakistan, la cui produzione su base annua è calata del 31%, un impatto peggiore di quello inizialmente previsto.

In Asia la volatilità dei prezzi ha portato i vari Paesi a trovare diverse soluzioni. Le autorità thai hanno incoraggiato gli agricoltori a concentrarsi su un solo raccolto, piantando meno riso, e a convertirsi a colture che necessitano di meno acqua. Anche la Malaysia si è ritrovata a fare i conti con una carenza di riso che nelle ultime settimane ha portato i prezzi del riso (per forza di cose importato) a 33 ringgit (6,60 euro) per 10 chilogrammi. Secondo i coltivatori le ragioni di tale carenza sono da ricercare nella mancanza di acqua pulita per l’irrigazione e nella scarsa qualità dei semi, che generano una resa scarsa.

In un contesto di crescente inflazione, le Filippine – maggiore importatore di riso del sud-est asiatico insieme a Malaysia e Indonesia – hanno imposto un tetto sul prezzo del riso e poi annunciato un accordo di cinque anni con il Vietnam, dopo India e Thailandia terzo principale esportatore di riso al mondo. A inizio mese il presidente filippino Ferdinand Marcos jr. ha parlato di un “allarmante aumento del prezzo al dettaglio” del prodotto, che ha superato i 60 pesos al chilogrammo (0,99 euro), e ha imposto un tetto massimo di 45 per il riso raffinato e di 41 per quello normale. In campagna elettorale il figlio dell’omonimo dittatore aveva promesso di far scendere il prezzo a 20 pesos al chilo. Ieri oltre 300 piccoli rivenditori di riso dell’area metropolitana della capitale Manila e di Zamboanga del Sur hanno cominciato a ricevere sussidi statali di 15mila pesos per far fronte alle perdite economiche.

Allo stesso tempo Marcos, dopo aver incontrato a margine dell’ultimo vertice Asean in Indonesia il primo ministro del Vietnam, Pham Minh Chinh, ha annunciato di aver accolto l’offerta di Hanoi per una fornitura di riso quinquennale per garantire la sicurezza alimentare del Paese. Le Filippine riescono a soddisfare con le importazioni di riso vietnamite il 90% del proprio fabbisogno alimentare, ma le risaie del delta del Mekong (ritenute la “ciotola di riso” del Paese) si stanno anch’esse progressivamente prosciugando.


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