Editoriale tratto da Notizie Evangeliche
Lampedusa, isola di transito per centinaia di persone, è un crocevia in cui si mescolano i volti, le storie, le aspettative di un’umanità in cammino. Circondata dal Mar Mediterraneo, l’isola raccoglie chi esausto cerca di attraversare i confini marittimi di quella definita da molti come “la fortezza Europa”. Negli ultimi giorni ad esempio, abbiamo incontrato ragazzi in prevalenza etiopi, sudanesi, somali e yemeniti che dopo esser partiti dall’Egitto hanno affrontato fino a 18 giorni di navigazione.
Ci risulta infatti che tra aprile e maggio di quest’anno si sia andato definendo un importante cambiamento nelle strategie adottate dai trafficanti per permettere alle persone migranti di raggiungere l’Europa. La situazione di stallo nel conflitto libico, dove l’esecutivo di Serraj non ha ancora ricevuto il sostegno formale del Parlamento di Tobruk e dove le milizie continuano a combattere, ha favorito l’apertura di una nuova rotta più sicura rispetto a quella libica almeno nel suo tratto di terra. Molte persone invece di dirigersi in Libia scelgono in numero crescente di attraversare l’Egitto fino ad arrivare sulle sue coste mediterranee.
Il viaggio in mare, notevolmente più lungo e pericoloso inizia per molti sulle coste della città di Alessandria da dove si imbarcano a bordo di navi da pesca di una certa grandezza. Dopo qualche giorno, alcuni raccontano di trasferimenti in alto mare su di imbarcazioni più piccole, fino al momento in cui intercettati da unità navali vengono recuperati e salvati dalle acque. Solo pochi giorni fa, siamo stati testimoni diretti della difficoltà che questa nuova rotta implica. Durante un approdo a Lampedusa abbiamo visto persone affamate dopo lunghi giorni di viaggio chiederci pressantemente del cibo, situazione questa che non avevamo mai affrontato prima. I ragazzi con cui abbiamo avuto modo di parlare ci hanno riferito inoltre di centinaia di persone in attesa di partire dalle coste egiziane.
Come suggeritoci dai dati pubblicati dal progetto “Missing Migrants”, dell’Organizzazione mondiale sulle migrazioni, il numero dei morti e dispersi nel Mar Mediterraneo è drammaticamente aumentato nel corso degli ultimi anni. Si è passati, difatti, dalle circa 2.000 vittime nel 2011 (United), alle 3.279 del 2014, fino a raggiungere i 3.770 morti nel 2015 (Oim). Nonostante la scarsità di statistiche ufficiali e complete, alcuni immaginano che l’intensificazione dei controlli alle frontiere possa aver spinto i migranti a scegliere rotte e strategie di mobilità sempre più rischiose. Che cosa succederà di qui in avanti è difficile saperlo ma ciò che è certo è che i trafficanti continuano a rinnovare le loro strategie.
Risulta evidente ancora una volta come la mancanza di vie sicure e legali per raggiungere l’Europa metta a rischio la vita di migliaia di persone, continuando nel frattempo ad alimentare una fitta rete di trafficanti e organizzazioni criminali che speculano sulle vite dei migranti. Come Mediterranean Hope, di concerto con la Comunità di Sant’Egidio, stiamo portando avanti il progetto dei “corridoi umanitari” per permettere a chi è in fuga da conflitti, persecuzioni ed estrema povertà, un futuro migliore in Europa, sperando che questo non rimanga l’unico esempio.
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