Non solo burocrazia, ma forse una mancanza di volontà politica.
Secondo i dati del Dipartimento di giustizia minorile, negli ultimi anni abbiamo assistito a una diminuzione del numero di adozioni di bambini da parte delle coppie italiane. Complice la crisi economica, ma soprattutto i tempi lunghi e le difficoltà burocratiche: «fino a ieri l’Italia è stato un grande paese di accoglienza, la famiglia è sempre stata disponibile ad accogliere dei bambini – racconta Gianfranco Arnoletti, presidente di Cifa, una delle più grandi Ong italiane che si occupa di adozioni internazionali – siamo sempre stati ai primi posti per numero di adozioni dietro gli Stati Uniti».
A cosa è dovuta questa diminuzione, dal vostro osservatorio?
«Le motivazioni sono diverse: sicuramente c’entrano la crisi economica e quella della famiglia, che frenano chi desidera avere figli, sia naturali che adottati. La madre ha paura ad abbandonare il posto di lavoro con una maternità per l’insicurezza di ritrovarlo, purtroppo; recentemente ci sono stati provvedimenti di legge che hanno aiutato la maternità, come la procreazione assistita. Ma la maternità adottiva è considerata leggermente di serie B, a parte un piccolo aiuto economico stabilito da leggi di più di 20 anni fa. Il costo dell’adozione viene rimborsato fiscalmente di circa un 20%, ma un’adozione costa parecchio ed evidentemente il Governo non ritiene di incentivare economicamente questa pratica. La burocrazia è pesante, sia in Italia che all’estero, e rappresenta un elemento di per sé demotivante, così come i tempi lunghi di attesa, che vanno dai due ai quattro anni. Questi sono campi in cui il Governo, attraverso la Commissione per l’Adozione Internazionale, che è un organismo della Presidenza del Consiglio dei Ministri, potrebbe fare molto».
In che modo?
«Questo organismo ha la funzione di interloquire con tutti i paesi esteri da cui provengono i bambini, stipulare degli accordi per facilitare le procedure burocratiche, presentandoci come un paese importante per adozioni. Ma in questi anni questo elemento è totalmente venuto a mancare: le relazioni con i paesi stranieri sono ridotte a mera burocrazia, e stiamo pagando il fatto di non avere iniziato ad adottare con Paesi nuovi. L’adozione è un fatto residuale, dunque ci sono paesi che man mano che si sviluppano evitano l’adozione internazionale, perché le famiglie del paese iniziano ad adottare internamente i bambini: se un paese dunque diminuisce le adozioni, come è successo con la Russia o la Cina ad esempio, ci sono altri paesi che avrebbero bisogno di essere aiutati e questi rapporti sono compito della Commissione, ma negli ultimi tre anni sono stati inesistenti. È terminato il periodo della vicepresidente attuale, ora aspettiamo che ci sia una nuova nomina e che si abbia la voglia di cambiare le cose».
Oltre ai problemi delle famiglie, quali sono gli altri problemi per chi si occupa di adozioni?
«Siamo inseriti in un contesto internazionale in cui l’Italia ha dei ruoli marginali, per alcuni paesi contiamo poco. Noi rappresentiamo le istituzioni, quando andiamo a fare attività di cooperazione dobbiamo avere la sicurezza di avere alla spalle lo Stato italiano, e non sempre è così, come nei momenti di incertezza politica e di cambi di responsabilità ai vertici, che non agevolano nessuno, né del profit, né del non profit».
Quella del numero delle adozioni è una strada solo in discesa o c’è la possibilità di ripresa?
«Credo che dobbiamo parlare anche dell’adozione e dei suoi aspetti positivi, di migliaia di famiglie che hanno cambiato le vite dei bambini. Non si può solo parlare solo degli aspetti negativi. La possibilità di ripresa c’è, ma bisogna fare un coro tra i vari soggetti che si occupano di adozioni internazionali oltre a parlare una lingua sola per essere davvero una squadra».
Immagine: via Pixabay
di Matteo De Fazio | Riforma.it
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